la recensione
Vladimir Luxuria è Princesa, le lacrime e l'amore di Fernanda al Verdi di Gorizia

Ieri sera lo spettacolo di Vladimir Luxuria sul palco del Verdi, una storia che indaga impietoso il mondo della prostituzione e dei transessuali.
Princesa, princesa per sempre. Come nel film di Marco Risi. Vladimir Luxuria è Fernanda Farias De Albuquerque, personaggio e al contempo persona realmente esistita. Ha preso vita nella serata di ieri – al Teatro Verdi di Gorizia – la storia tratta dal testo autobiografico scritto dalla stessa Fernanda Farias De Albuquerque insieme all’ex brigatista Maurizio Jannelli. Uno spettacolo che ha inizio nella penombra azzurra del sogno, con una Princesa che ha una nostalgia tanto bruciante dell’essere donna, da immaginarsi in gravidanza. Visione onirica durante la quale parla a sua madre quasi dall’aldilà.
Il sogno viene brutalmente interrotto dalla sveglia della guardia che le porta la colazione, mostrandoci un Fernando che indossa una felpa sopra i pantaloni, costretto a scontare «sei anni e mezzo» per tentato omicidio. Pubblicato nel 1994 “Princesa” ispirò persino Fabrizio De André, che ne scrisse una canzone affrontando per la prima volta il tema della transessualità senza i veli della censura. Fernando è un bambino che cresce senza il padre, vittima di abusi sessuali. In fuga dalla miseria diverrà Fernanda, iniziando a prostituirsi lungo le strade di Milano, sopravvivendo al marasma della metropoli con il supporto dell’eroina.
Trasferitasi a Roma in cerca di maggior fortuna, verrà derubata dei propri risparmi, per poi finire in carcere dopo aver tentato di aggredire la sfruttatrice che le aveva sottratto il denaro. Un testo teatrale scritto dallo stesso regista e attore Fabrizio Coniglio, adattandolo dal libro originario e dalle interviste rilasciate da Giovanni Tamponi, ex compagno della casa di reclusione. «Mi sono avvalso del libro e delle interviste – spiega Coniglio – sia quelle fatte a Jannelli, che mi ha raccontato la storia di Fernanda, sia a Giovanni, compagno di carcere e suo vicino di cella, ora agli arresti domiciliari».
Man mano che il monologo procede, si assiste a una lenta trasformazione: quella di Fernanda, che da “crisalide maschio” si avvia a divenire farfalla. «All’inizio è vestita con una tuta da uomo – specifica il regista – Poi indosserà una gonna lunga e una camicetta da signora». Divenendo sempre più effeminata grazie all’amico, che le salverà la vita da quel misero sacchetto di plastica con il quale tenta il suicidio. «Sarà Giovanni a farle avere abiti femminili. Nel carcere troverà il suo momento migliore, perché si allontanerà dalle dipendenze e verrà ascoltata senza che nessuno le chieda nulla in cambio». Ma la vita, si sa, non fa sconti a nessuno.
Fernanda è malata di Aids e condannata a morte da uno dei suoi tanti uomini che l’hanno posseduta e poi gettata. «Chi è stato? Chi è che tra voi mi vuole ammazzare?!», dice interrogando il pubblico in sala. Costretta a sfogare la propria frustrazione in un lungo monologo, si strapperà i peli del mento innanzi alla platea che simboleggia lo specchio. Da Rio de Janeiro alle metropoli italiane e infine alla disperazione della cella, c’è soltanto un passo. La scenografia scarna di Paola Castrignanò ci mostra un letto, una parete nera e un riquadro a mezz’aria, metafora della finestrella con le sbarre attraverso cui Giovanni si mostrerà senza profferir parola.
«Io farò di questo carcere il mio bosco, il bosco di quand’ero piccola», s’illude l’ex prostituta. Uno spettacolo duro, che indaga impietoso il mondo della prostituzione e dei transessuali. I quali non stanno né da una parte né dall’altra, eppure rimangono sotto gli occhi di tutti, dei padri di famiglia e della società intera che con ipocrisia tende a rimuoverli dalla coscienza collettiva. «Andrà a trovare la madre per poi andarsene – prosegue Coniglio - Non è proprio un monologo, perché io sono in scena e interpreto Giovanni, quando la salva dal suicidio in carcere. Di questo dettaglio sono venuto a saperlo durante le interviste».
«L’ha salvata togliendole il sacchetto di plastica. Per donarle una seconda vita, anche se poi morirà un mese dopo». Un personaggio interpretato dall’eclettica Luxuria, che in qualche misura interpreta se stessa e mette in scena il proprio percorso doloroso. «Vladimir lo interpreta mettendoci tantissimo, di sé. Non c’è uno scollamento, lo spettatore non assiste a una rappresentazione, ma alla potenza dell’esperienza. Non c’è menzogna né teatro, è la storia nuda e cruda», rimarca Coniglio. «Di notte giocattolo e di giorno mostro», Princesa resterà sempre «una fuori posto».
Le note allegre di “Acquerello” cantate da Toquinho accompagnano il tentativo di suicidio, per poi cedere a “La casa in riva al mare” di Lucio Dalla, e infine “Princesa” di Fabrizio De André, «quando Vladimir ricomincia con la dipendenza anche a battere per la strada». Scendendo ancora una volta in mezzo al pubblico, a contaminare la realtà con la finzione in un equilibrio continuo, la protagonista riverserà la strada e tutto il suo percorso interiore nella sala del teatro, fino alla discesa agli inferi. «Faccio la puttana, ma so anche amare», ammette Vladimir/Fernanda senza remore. «Vuole essere donna a tutti gli effetti, vorrebbe partorire, sogna di essere incinta, ma è solo il cuscino della prigione», rivela con amarezza Coniglio.
«La sua è in realtà una recitazione contro il femminismo, perché i modelli mostrano quei cliché caratteristici della donna all’antica. Dice “Io batto, ma so anche amare, cucinare, stirare, cucire. Giovanni le passa una sua felpa e lei gliela mette a posto. Anche i vestiti che le arrivano non sono volgari. La gonna lunga e la camicetta sono abiti da signora». Uno spettacolo che intende mettere a nudo l’amore in tutte le sue forme e quell’estenuante ricerca del sé che sempre ci sfugge.
«È una disperata ricerca di felicità e di se stessi, come accade di fatto un po’ a tutti, chi nel lavoro chi alle prese con i figli – chiosa il regista - Ma in lei questa felicità è irraggiungibile, lo scollamento è troppo grande. Di tanto in tanto ci si avvicina, e tuttavia quando la polizia le spacca il seno questa forbice si allarga nuovamente. Poi in carcere non ha gli ormoni e le ricrescono i peli. È un elastico continuo». L’anelito di divenire pienamente Princesa non può che rivelarsi una sconfitta. Fernanda scende lungo le scale che la separano dal pubblico, tenta di accendersi una sigaretta, cerca di mettere il rossetto. Ma ormai allo sbando si lascerà andare per sempre all’ultima iniezione di eroina, bucandosi davanti a tutti.
«La fortuna di questa storia è questa, la forza di mostrarsi senza moralismi né cattedre. È la storia di una persona che cerca se stessa. Vladimir lo rivive fin dal giorno prima, per me è stata una scoperta molto particolare, normalmente questo lato di Vladimir non si vede. Qui emerge l’aspetto più sensibile e fragile, soprattutto nel rapporto con la madre e nel suo giudizio». Lo spettacolo si chiude con una narrazione postuma, a spiegare che Princesa verrà ritrovata impiccata in un bosco come nella realtà. Quel bosco in cui trovò la libertà dei suoi primi amori e dei primi clienti, perché «in un bosco tutte le foglie sono diverse, ma fanno tutte parte dello stesso bosco».
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