La dura vita di Urška nel film di Seliškar a Gorizia, «l'arte aiuta a non mollare»

La dura vita di Urška nel film di Seliškar a Gorizia, «l'arte aiuta a non mollare»

la serata

La dura vita di Urška nel film di Seliškar a Gorizia, «l'arte aiuta a non mollare»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 15 Mar 2024
Copertina per La dura vita di Urška nel film di Seliškar a Gorizia, «l'arte aiuta a non mollare»

Ieri sera ospite la regista slovena al Kinemax, il racconto del film girato con l'amica Urška Marolt: processo di gestazione protratto per 20 anni.

Condividi
Tempo di lettura

Bolle in superficie, affiorate sul pelo di un’acqua scura. È il lago di Prespa, incastonato tra Macedonia del Nord, Grecia e Albania. Il luogo della memoria, quello che nell’arco di vent’anni segnerà le vite di due grandi amiche, Urška Marolt e Petra Seliškar. Si è svolta ieri - presso la sala del Kinemax - la terza serata della rassegna di cinema sloveno proposta da Kinoatelje a Gorizia. Una kermesse che proseguirà l’11 aprile con la proiezione di “Sterkijada” del regista Igor Sterk.

Dedicato a Darko Bratina – di cui a ottobre si celebra la XXV edizione del premio omonimo - il festival propone anche vincitori di passate edizioni. Come la stessa Petra Seliškar nel 2008, autrice di “Corpo”, con musiche curate da Vladimir Rakíc e sceneggiatura scritta insieme al marito Brand Ferro. Un docu-film intenso e commovente fin dall’incipit dedicato «alle madri e alle figlie», il cui processo di gestazione si è protratto per ben vent’anni nonostante il «lungo periodo in giro per il mondo» ricordato dalla regista.

«La vita dei documentaristi non sai mai dove ti porta – ha commentato Seliškar prima della proiezione – Ti ritrovi a fare riprese senza sapere davvero come potrà nascere il film, che intreccia la vita degli altri con la propria». Un film sconvolgente per mezzo del quale la macchina da presa si addentra nel dolore di una malattia implacabile: dall’infezione virale che conduce Urška in coma per poi costringerla sulla sedia a rotelle, fino a una lenta ripresa, seguita dalla ricaduta per vasculite infiammatoria e ictus.

Un lungometraggio in equilibrio su quelle voragini che la vita ci para innanzi, quel bivio di fronte cui scegliere, stabilendo con coraggio di gettarsi appieno nel mondo per riprendersi quanto la malattia ci ha vilmente sottratto. «È un film che parla di come l’arte possa essere un mezzo per andare avanti e non arrendersi mai – prosegue la regista – Urška ama il pianoforte, e già quest’amore per la musica le dà forza», aiutandola nella sua faticosa ripresa.

Fatica evidenziata fin dalla prima inquadratura, preceduta dal respiro fuori campo della protagonista. Un respiro affannoso, testardo, mentre una mosca le passeggia sulla pelle. Sullo sfondo – quasi a monito - si staglia l’inquietante Isola dei Serpenti, quella che sembra essere un traguardo e al contempo una tomba cui abbandonarsi. «Scappata di casa a sedici anni», Marolt si ritrova in un ospedale psichiatrico per poi rimanere incinta. Sarà la piccola Zoja a darle forza, spronandola a interrogarsi sul senso dell’essere madre: «Diceva che è venuta dalle stelle e che è stata lei, a scegliermi», racconta della figlia.

Sul lungolago Petra e Urška ricordano il passato, mentre i fotogrammi del mondo attuale si sovrappongono a quelli di ieri e le libellule posano indisturbate sulla cima di steli d’erba. Urška si tuffa nelle acque del lago, immergendosi nelle tenebre verdi: «Questa sono io. Ho un herpes», rivela la protagonista mentre cede all’abbraccio dell’acqua. La macchina da presa la insegue per qualche istante, per poi scendere a scandagliare l’abisso di alghe. «In ospedale mi chiedono di compilare un questionario per le malattie sessualmente trasmesse», prosegue la voce fuori campo, prima di raccontare il vuoto del coma, simboleggiato dal buio sul fondo del lago.

«Le scene sott’acqua servono per mostrare come Urška stia andando a fondo», spiega Seliškar. Quello che la cinepresa ci mostra «è il suo subconscio, un viaggio nel suo corpo», realizzato anche intercalando le registrazioni ottenute con un microscopio ottico, dove sul vetrino vengono inquadrate cellule di cipolla, bolle d’aria e fibre, a ricreare quell’universo parallelo che è ormai il mondo di Urška. «Durante il periodo di Covid non potevano essere fatte riprese, e lei non poteva vedere nessuno per non ammalarsi – chiosa Petra – Quando ti ritrovi con le spalle al muro sei costretto a diventare creativo».

Laggiù in fondo all’abisso Urška non conosce nessuno, eppure non intende mollare la presa sulla vita. «Non voglio morire, non voglio nemmeno vivere – aggiunge con voce accorata – Non voglio vagare nei miei pensieri psicotici». È l’encefalite, che le brucia dentro ottenebrandone la mente, portandola a respirare con affanno. «Poi arriva una bambina. Mi dicono che è mia figlia. Lì ho capito che la mia vita non è niente male». Ingrassata a causa dei corticosteroidi, porta rancore verso il mondo intero, «mantenuta a galla» dalla piccola Zoja. Presso il centro riabilitativo dove l’amica andrà a trovarla prenderanno forma «incubi, sogni pesanti».

Come quello del balcone «che si affaccia s’una grande massa azzurra, poteva essere il mare, ma credo fosse un lago». Qualcuno la spinge, prosegue, mentre viene mostrata una murena che sinuosamente s’incunea fra le rocce. «Quel che è stato è stato», le ripetono, finché davvero riuscirà a riprendersi e a incontrare Bojan, che presto diverrà il suo futuro marito. Nasce la seconda figlia Mia, la macchina da presa indaga ancora una volta nel miracolo delle manine rosa e delle meraviglie d’infanzia. E tuttavia non c’è storia che non si ripeta, così che tornerà a ripiombare in un sordo dolore.

«Qualcosa cominciò a ribollire dentro, in un tranquillo inizio d’autunno». Cedevoli canne al vento vengono squassate dalle onde del lago, quando sulla riva le due donne rinvengono la carcassa di un pellicano. Grumi di nuvole si rapprendono in certezza: dall’epilessia alla miseria mentale è un attimo. E così non resta che scegliere di andare avanti, ancora una volta, nonostante tutto. «Non sei più la stessa. Accetti di avere dei limiti», comprende Urška, ritrovando se stessa in quel lago della Macedonia dove la grande amicizia aveva iniziato il suo corso. «La narrazione è stata tratta dal suo diario, e racconta il suo subconscio. Nuoterà per sette chilometri verso l’isola. Le sue sono lacrime di vittoria», conclude Seliškar a riprova dell’avvenuta rivincita sulla malattia.

Il pullulare di uccelli acquatici cederà all’inquadratura di un marangone solitario in cima al palo, di fronte all’Isola misteriosa. La voce narrante porta a conclusione la lunga riflessione sul senso del vivere, chiudendo il cerchio magico. «Ci sarà un senso, sul perché siamo qui». Il senso di quel seme che ciascuno serba in fondo al cuore, pronto a germogliare e a portare speranza.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione

×