Vita e morte nella mafia giapponese, i segreti della Yakuza raccontati dalla bisiaca Martina Baradel

Vita e morte nella mafia giapponese, i segreti della Yakuza raccontati dalla bisiaca Martina Baradel

La ricerca

Vita e morte nella mafia giapponese, i segreti della Yakuza raccontati dalla bisiaca Martina Baradel

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 18 Mar 2025
Copertina per Vita e morte nella mafia giapponese, i segreti della Yakuza raccontati dalla bisiaca Martina Baradel

Dalla curiosità, nata grazie a un libro trovato ai tempi del liceo a Monfalcone, è nata una ricerca decennale sul tema. Ora il libro per i tipi Rizzoli.

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È bisiaca la maggiore esperta mondiale di Yakuza, la mafia plurisecolare, tentacolare, potente. E lo è diventata partendo, quasi casualmente, dalla lettura di un libro giapponese trovato nella biblioteca del proprio liceo, il Buonarroti di Monfalcone. Lei, Martina Baradel, classe 1988, è nata a San Canzian d’Isonzo dove e ha vissuto in terra bisiaca fino all’inizio degli studi universitari, svolti a Venezia, alla Ca’ Foscari.

Da quel volume, “Kitchen” di Banana Yoshimoto, è partita la curiosità per il Giappone e per quanto correlato al mondo nipponico, tanto da convincerla a laurearsi in Lingua giapponese alla Ca’ Foscari, proseguendo con la laurea specialistica in Inghilterra. Un’esperienza di insegnamento di lingua inglese proprio in Giappone la porta lì qualche anno per rientrare in Inghilterra seguendo un corso di dottorato concluso con una tesi sulla Yakuza. Martina, poi, rientra a Tokyo per sei mesi, durante i quali conosce persone realmente connesse alla mafia giapponese e, grazie al fondo di ricerca della Commissione europea “Marie Curie”, tramite Oxford, può passare due anni all’estero e formarsi ancora di più sul tema, decisamente poco conosciuto a livello italiano ed europeo.

Baradel, criminologa presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Oxford e Fellow del Nissan Institute of Japanese Studies, ha deciso, poi, di rielaborare i propri studi, pubblicati sempre in lingua inglese in ambito accademico, in un volume in lingua italiana, edito dalla Rizzoli. Nasce, così, “Yakuza Blues – vita e morte nella mafia giapponese”, uscito ufficialmente l’11 marzo 2025 per i tipi Rizzoli.

«Il Giappone, per noi italiani, per noi europei, sembra sempre un paese pulito e ordinato e mi incuriosiva il fatto che vi fossero dei gruppi ‘parasociali’ laterali», racconta Baradel. È durante il primo viaggio in Giappone che viene a contatto proprio con alcune persone appartenenti a gruppi interni alla Yakuza. Da quel momento in poi sono passati ben dieci anni di studio, ricerca, interviste e viaggi. Raccolti, come detto, nell’opera finale che, tra l’altro, sarà presentata, per la prima volta nel territorio, venerdì 21 marzo alle 19 alla Locanda Italia di Staranzano (qui l'articolo).

Tornando al lavoro, il libro si struttura su tre linee narrative, seguendo la vita di un boss fittizio, Tanaka Jun’ichiro, e suddividendosi in flashback sulla storia del Giappone stesso. Dalle parole di Tanaka, intervistato da Baradel, si dipana la ricerca. Il tutto nell’arco di un anno solare, da gennaio a dicembre, seguendo le stagioni che scandiscono il tempo. Ampia la digressione sulla storia del Giappone del secondo dopoguerra e sulla Yakuza di quegli anni.

Una struttura in grado di «avere uffici direttamente sulle strade e in grado di fornire servizi, lavoro, manodopera. Basti pensare che dopo l’incidente di Fukushima è stata la Yakuza a fornire operai per sistemare il danno. Chiaramente c’è anche tutta la parte illegale, dalle frodi alle scommesse fino ai casinò clandestini, ai giri di prostituzione e allo spaccio di droga», racconta Baradel. Lei stessa si è immersa nel mondo di questi gruppi intervistando e facendosi raccontare le loro storie. «Non è mai stato pericoloso perché mi sono sempre fatta presentare da persone fidate. Oltretutto ai boss non interessa far del male a qualcuno che chiede una storia e non crea loro danni economici», rivela la ricercatrice.

Uno studio sociologico, dunque, in grado di gettare luce su un’organizzazione che vive e prolifica a lato dello Stato, complice anche una mancanza di legislazione specifica sulle organizzazioni di stampo mafioso all’interno della legge giapponese. «Mi sono molto focalizzata sulla parte sociale, che è quella che a me interessava. Un aspetto particolare, ad esempio, sono i tribunali gestiti dalla Yakuza che fa da risolutore di dispute in settori non ben regolamentati e nei quali un tribunale sarebbe troppo lento».

Baradel colma, insomma, una lacuna di ricerche in lingua italiana: «L’interesse di scrivere una storia tale in italiano nasce dall’esigenza di fornire luce su chiaroscuri di un paese che è un po’ sentito lontano un po’ visto come perfetto: abbiamo una visione un po’ stereotipata e serviva un po’ di profondità. Sarebbe bello in futuro – conclude – ci fosse qualche ricercatore in più che si occupi del tema».  

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