La vita al contrario di Benjamin, il ticchettio della storia a Gorizia con Lupano

La vita al contrario di Benjamin, il ticchettio della storia a Gorizia con Lupano

la recensione

La vita al contrario di Benjamin, il ticchettio della storia a Gorizia con Lupano

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 17 Apr 2024
Copertina per La vita al contrario di Benjamin, il ticchettio della storia a Gorizia con Lupano

Un’opera andata in scena nell’ultima data di una tournée prodotta proprio da Artisti associati, ieri sera al Teatro Verdi con Giorgio Lupano.

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Una valigia con cui attraversare il mondo. Ciascuno ha la sua, con i ricordi intrecciati a costituire il tessuto della memoria. Uno straordinario e instancabile Giorgio Lupano è entrato in scena con la sua valigia, nella pièce rappresentata al Verdi ieri sera “La vita al contrario – Il curioso caso di Benjamin Button”, per la regia di Ferdinando Ceriani. Figlio di Umberto Ceriani e Martine Brochard, Ferdinando muove i suoi primi passi sul palcoscenico, come ci racconta: «Mi hanno fatto nascere nel mondo del teatro. Ho iniziato prima a fianco di mio padre Umberto e in seguito con Franco Molè con cui mia madre si era risposata, e poi Maurizio Scaparro».

Un’opera andata in scena nell’ultima data di una tournée prodotta proprio da Artisti associati. «Siamo felici di poter finire qui a Gorizia – ha ringraziato Lupano a conclusione – Perché è stato uno spettacolo prodotto da Walter Mramor, che ringrazierò sempre». La sua è una recherche proustiana capovolta che prende vita attraverso i fogli sparpagliati sul palcoscenico, quella narrazione di voci molteplici che confluiscono nell’unica voce narrante di Nino Cotone. Da un lato abbiamo la prosa, tratta dal racconto scritto nel 1922 da Francis Scott Fitgerald - il quale a sua volta pare essersi ispirato al poeta Giulio Gianelli, che nel 1911 pubblica a puntate la “Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino” - Dall’altra il protagonista, che non sarà Benjamin né Pipino, ma “Cotone”, cui Pino Tierno sceglie di dar vita nella sua elaborazione teatrale.

Una patologia che realmente esiste, quella della progeria, anche se con un decorso inverso e un’aspettativa di vita molto più breve. Mentre una decina d'anni addietro Lupano vestiva i panni del mostruoso “Elephant man” (tratto dal film di David Lynch), con la gobba e il cranio deformi voluti da Marinelli, qui la scelta registica ha condensato la metamorfosi attraverso l’espediente della potenza evocativa. «La forza del teatro è data dalla parola – chiosa Ceriani - Non abbiamo deciso alcun trucco, o ruga. Tutto viene trasmesso attraverso l’interpretazione e la voce, la postura del corpo, ma soprattutto la forza della parola, che in teatro acquista una tale potenza immaginifica da far risultare superflua la finzione del trucco».

Fin dall’incipit il ticchettio del tempo diventa presenza ossessiva, che spinge Giovannino (Nino) a riflettere sul come «tutti abbiamo una vita speciale, ciascuno a suo modo, siamo tutti fatti di carne e di sangue». L’intento è raccontare al pubblico la sua storia prima che sia troppo tardi, perché «se è vero che la memoria dà l’immortalità io questa sera voglio cercare di non morire».

Un testo «abbastanza fedele alla storia originale – prosegue Ceriani – in quanto il film con Brad Pitt e Cate Blanchett (2008, David Fincher) si concentrava s’una storia d’amore, mentre qui siamo proprio legati a Scott Fitgerald. La differenza basilare qual è? Che Pino Tierno l’ha trasposto in una cornice italiana. Nino Cotone richiama la storia subito successiva all’unità d’Italia, fino a toccare gli anni Sessanta». Con un rapido passaggio si avvicenderanno le rivolte operaie del primo Novecento, la Prima guerra mondiale e poi la Seconda, scandite da effetti sonori e canzonette che alternano “Quel motivetto che mi piace tanto” a “Ma le gambe”, fino a “Baciami piccina”.

Una vicenda che si colloca in una città dai contorni sfumati «che forse potrebbe essere Roma», ma che in fondo è solo un luogo in cui il passato confluisce nel presente: la mente stessa di Nino. «Racconta tutto lui, fa tutte le voci dei personaggi, anche femminili», attraverso una recitazione che alterna l’anziano al bambino all’infermiera e alla moglie, rendendo Cotone uno nessuno e centomila altri personaggi. Un uomo destinato a non essere mai in sintonia con il proprio tempo - mai accettato dagli altri -Rifiutato persino dal suo stesso figlio ormai adulto, che lo trascinerà via «per le orecchie» rosso di vergogna per quel padre ormai ragazzino.

Con una lenta e progressiva spoliazione, Luparo toglie via via gli abiti «per finire lo spettacolo quasi in calzoncini corti», con quella valigia magica che, come un’estroflessione del sé, rappresenta l’unico elemento di scena in grado di tenerlo ancora in vita. Se il film di Brad Pitt vinse l’Oscar per gli effetti speciali «qui in teatro la potenza del racconto ha la funzione di sopperire», con un scenografia ridotta all’osso.
Una recitazione, quella di Luparo, rigorosamente senza microfono – invece fornito a Lucrezia Bellamaria – La quale canta seguendo alcune basi rappresentando quella «figura femminile che è sempre evocazione di un ricordo fantastico e onirico. Lucrezia rappresenta figurativamente il mondo dei ricordi».

«È lei che tiene questo fagotto in braccio – Benjamin Button/Nino Cotone – la stessa che impersona l’infermiera che vede per la prima volta il bambino e si spaventa. Ma Lucrezia è anche Bettina, la donna della sua vita, quell’elemento femminile che nella vita di Cotone è stato fondamentale. Un’evocazione aggraziata, leggera, onirica, per questo si limita a cantare e ballare. Non parla mai, perché è Giorgio che la racconta». Ricca la colonna sonora curata da Giovanna Famulari e Riccardo Eberspacher, a sottolineare «il passaggio del tempo, dato dal cambio della particolarità musicale.

Dalle prime marce o dai valzer dell’Ottocento fino alle prime canzoni di Mina». Un tema del ricordo che apre l’inizio e si ritrova alla fine, quando in modo nostalgico Nino – ormai bambino – lascia scorrere «una serie di immagini che si incasellano l’una nell’altra, che rappresentano un po’ la vita di tutti noi, tante piccole immagini che si inanellano come perle di una collana». Fino al momento drammatico, quando «tutto diventa un grande adesso, né bello né brutto». Il ticchettio che segna il fluire del tempo rallenta - come il battito di un cuore in procinto di fermarsi - fino all’ultimo colpo, quello che cede il passo al buio.

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