I Visionari e il sogno del ritorno della provincia: ampio dibattito a Gorizia

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I Visionari e il sogno del ritorno della provincia: ampio dibattito a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 14 Nov 2024
Copertina per I Visionari e il sogno del ritorno della provincia: ampio dibattito a Gorizia

Gremita Sala Incontro per il confronto tra rappresentanti politici. Roberti rimarca, «legge introdotta su spinta mediatica».

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Era il 7 aprile del 2014, quando con la legge Delrio venne stabilita una riforma radicale degli enti locali, con l’istituzione delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province. Un percorso di riforme avviato nel 2013 e proseguita con la riforma dello Statuto regionale sancita nel 2016, prevedendone l’esplicita soppressione. Il riordino nel tempo ha disorientato la cittadinanza, mentre nell’ottobre di quest’anno la Camera ha dato l’ok per un futuro ripristino. Si è svolto nella serata di mercoledì – nella gremita Sala Incontro di Borgo San Rocco – la riflessione incentrata sul tema “Gorizia e la nuova Provincia”, organizzata dalla comunità I Visionari.

A moderare il meeting i referenti Roberto Furlanut e Adelino Adami, che hanno rimarcato come nel giro di un paio d’anni sarà possibile ottenere la reintroduzione di un ente intermedio fra la Regione e il Comune. «Come Visionari cerchiamo di essere un gruppo di impegno politico non partitico - hanno rimarcato – e non ci interessa fare propaganda, ma approfondire un argomento di attualità, così che ciascun cittadino assuma consapevolezza dei confini che lo attendono». Un territorio che in vista della Capitale della cultura possa diventare più ampio, abbracciando anche l’area confinaria.

«C’ero anch’io, quando hanno tolto le province – racconta l’assessore al Welfare Silvana Romano – e ho potuto verificare quanto mancano, e toglierle non è stato di certo positivo, dimezzando le potenzialità del voto decisionale». A delineare gli anni sfociati nella soppressione delle Province è anche l’assessore regionale alle autonomie locali Pierpaolo Roberti. «Nel 2016 il consiglio regionale si decise all’unanimità per l’abolizione – spiega – Stiamo parlando di un’era geologica diversa». Fu un voto trasversale in cui centrodestra e centrosinistra decisero di concerto l’abolizione individuando le autonomie locali come soggetti onerosi.

E nel citare un frammento di testo di legge depositato in Senato dal partito democratico ricorda come le province, più di altri enti, siano state oggetto di «campagne fuorvianti a tratti denigratorie». Con la volontà di risanare il debito pubblico e risparmiare miliardi di euro si ritenne così di abolirle, senza considerare le difficoltà che sarebbero ricadute sulla cittadinanza. «Era una discussione superficiale – rimarca – perché si faceva intendere che il denaro fosse legato alle classi politiche».

Una legge introdotta su spinta mediatica, dove la classe politica ha compiuto – secondo Roberti - l’errore d’inseguire tendenze populiste. «Oggi Go2025 si traduce in un dialogo fra tanti comuni, perché la Capitale europea della cultura non riguarda solo la nostra città». Un vuoto che si riflette anche sull’edilizia scolastica, dove «le scelte politiche devono essere compiute dietro una volontà popolare». Mentre Furlanut lamenta «l’astensionismo» come espressione della distanza fra cittadini ed esponenti eletti, Roberti ribadisce come «non bisogna rassegnarsi. Stiamo discutendo di province, ma altri provvedimenti sono illogici. Io mi sono schierato contro la riduzione del numero dei parlamentari, in seguito alla quale abbiamo subito solo danni. La politica non è un peso, e la democrazia costa».

Secondo Roberti la soluzione sta nel creare un’architettura istituzionale in cui inserire ciascun elemento nella giusta casella, considerando anche il tema dell’identità territoriale. Un lavoro che potrebbe giungere a traguardo nel 2026, ma per il quale si inizierà a discutere in Senato già nel mese di gennaio.

A riportare la propria esperienza è poi il consigliere regionale Diego Moretti. «C’ero, nel 2013, e sono l’unico consigliere regionale che votò quella norma – specifica – È giusto fare un esercizio di memoria. È vero che il clima generale portò alla soppressione delle province, ma nella legislazione Renzo Tondo ci fu la petizione Pedicini che già si esprimeva a favore di quest’abrogazione. In Friuli Venezia Giulia decidemmo all’unanimità con un assunto diverso, che non era quello dei costi. In una regione con 200mila abitanti e con allora 216 comuni (oggi qualcuno in meno), avere i tre enti elettivi di comuni, province e regioni poteva sembrare un di più. Allora il dibattito regionale non nasceva dallo spreco, ma dall’esigenza di avere in una regione enti e autonomie locali che si fondassero sulla regione e sui comuni. L’abrogazione delle province derivò da questo, non dal furore populista».

In merito all’astensionismo attuale Moretti osserva come gli stessi comuni incontrino difficoltà nel riavvicinare i cittadini al voto, attestandosi s’una media del 55-60% di votanti. Ad appoggiare il ripristino delle Province è anche il giornalista Antonio Devetag, secondo il quale «non si tratta solo di un problema d’identità. Nessun’altra provincia come quella di Gorizia ha un autoporto, un aeroporto, un porto come Monfalcone e un interporto. Il tesoro del Friuli Venezia Giulia è questa provincia, e la stessa autonomia regionale deriva dalla complessità linguistica di Gorizia». L’auspicio di Devetag sarebbe una piattaforma turistica in grado di raccogliere anche la bellezza di Grado e Aquileia. «Vedo che la storia si ripete – riflette il presidente del Gect Paolo Petiziol – Non sta cambiando nulla, dal maggio del 1921».

Una data che segnò le prime lezioni della Contea di Gorizia in seguito all’annessione al Regno d’Italia, quando il partito Concentrazione slava inviò a Roma quattro deputati. «Il partito slavo prese il 60,02% dei voti, quello comunista il 17,52%, mentre il socialista crollò al 7,43%. Mi pare di rivedere le tabelle dei risultati elettorali di allora, quando si stava affermando il fascismo. La distruzione e lo smembramento della provincia di Gorizia originarono da un fatto politico, e la storia di quell’antagonismo si ripete oggi. Anche Cervignano, Chiopris, Aiello e il Friuli orientale hanno un’identità che sta con Gorizia». Un «francobollo di terra unico in Europa», in cui tedesco, sloveno, friulano e italiano convivevano insieme all’ebraico.

«A Gorizia vivevano 400 ebrei, con la loro sinagoga, il loro quartiere e il proprio cimitero – prosegue – Ci hanno diviso anche da quello». Una serata densa di interventi, che secondo il deputato nella XVIII Legislatura Guido Germano Pettarin rappresenta «un’occasione preziosissima per comprendere il da farsi».

«Avevo 18 anni, quando nel 1976 ci fu il terremoto in Friuli. Oggi constato con orgoglio come il Friuli terremotato abbia contribuito a creare la Protezione civile, un esempio per l’intera Europa. Allora scrissi un articolo, “Brutti storti e malfatti” contro coloro che non risolsero granché, finché non mandarono Zamberletti». E nel sottolineare l’importanza del Gect, ribadisce come non sia stato assegnato per i 70 anni di storia, quanto per i duemila. «La provincia di Gorizia venne cancellata, per poi essere ripristinata nel 1924, mutilata del cervignanese, quando ci fu la deportazione dei preti, che avevano fondato movimenti a carattere cooperativo. Oggi Gorizia ha il diritto di dire la sua. L’obiettivo non è la Storia, ma la collocazione del servizio giusto nella casella corretta».

A intervenire è stato poi don Ruggero, che ha manifestato il proprio affetto e riconoscimento verso la storia della città. «Eravamo la massima espressione della Contea di Gorizia – ha ricordato – La scuola e la diocesi era qui, nessuno di noi pensava di appartenere a Udine. Le categorie che hanno insistito per quest’appropriazione ci hanno sottratto la possibilità di essere ciò che oggi siamo». 

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