LO SPETTACOLO
Veronica Pivetti porta al Verdi la provocazione de 'L’inferiorità mentale della donna'

Lo spettacolo ispirato a un testo di Moebius porta in scena disuguaglianze e luoghi comuni sull'universo femminile a condizione e le presunte 'ragioni' delle disuguaglianze.
Figlia del regista Paolo e dell’attrice e doppiatrice Grazia Gabrielli – nonché sorella dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti – l’attrice Veronica Pivetti esordisce come doppiatrice all’età di sei anni, per poi lavorare nell’universo dello spettacolo e degli audiovisivi al fianco di registi o presentatori del calibro di Fazio, Verdone, Wertmûller, Vianello e molti altri. A Gorizia calcherà il palcoscenico del teatro Verdi con lo spettacolo provocatorio “L’inferiorità mentale della donna”, in programma martedì 25 marzo alle 20:45. Una pièce ispirata al testo omonimo di Moebius, per la regia di Giovanna Gra e Walter Mramor, che analizza la condizione femminile rileggendola attraverso lo sguardo degli intellettuali avvicendatisi nei secoli. L’abbiamo intervistata durante la sua tournée teatrale, in questi giorni in replica al teatro Carcano di Milano prima di attraversare il Veneto e quindi la nostra regione, dove approderà anche a Tolmezzo e Grado.
Dal “Dizionario del diavolo” di Bierce a “L’inferiorità mentale della donna” di Moebius, fino alla donna lombrosiana, la letteratura trabocca di definizioni e aforismi offensivi. Con queste premesse, il tuo personaggio ruota intorno allo stesso perno: una riflessione sulla condizione femminile, ancora oggi drammaticamente diversa da quella del maschio. È uno spettacolo-denuncia, che intende scuotere la società attuale?
«Lo spettacolo che sto portando in giro per l’Italia, “L’inferiorità mentale della donna”, nasce da scritti ahimè esistenti e, proprio per questo paradossali. Così come paradossale è lo stesso titolo del trattato che dà il nome allo spettacolo. Ho pensato fosse giusto raccontare al pubblico quanto è stato postulato da personaggi così detti “illustri” – nello spettacolo si cita persino Voltaire – in merito alla donna. Il trattato di Moebius risale al 1901, quindi è stato scritto non moltissimo tempo fa, raccontando con ironia, leggerezza e grande lucidità storica qualcosa che leggero non è affatto: quelle discriminazioni inaccettabili subite dalle donne nel corso dei secoli. A raccontarle è il mio personaggio, Aura D’Antan, unica invenzione in un testo che cita soltanto persone realmente esistite. Lei è l’immaginaria assistente del professor Moebius, devotissima e paradossalmente più maschilista di lui. Ad Aura è affidato il compito di citare le mostruosità scritte dal “maestro” con il candore della devozione. Lentamente prenderà coscienza di quanto afferma, e allora… ».
In occasione dell’8 marzo il Presidente Mattarella ha rimarcato come «le donne non devono scegliere tra famiglia e lavoro». C’è da dire che spesso sono costrette a scegliere entrambe, in un funambolesco esercizio di sopravvivenza. Pensi che un giorno possano camminare accanto agli uomini, piuttosto che avanzare in solitudine s’una corda tesa?
«Il mio spettacolo intende infatti rassicurare le donne, far prendere loro coscienza del proprio valore, delle capacità e delle loro infinite possibilità. Siamo state limitate dalla prepotenza altrui, ma è giunto il momento di dire “basta”. E se uno spettacolo teatrale può servire anche a questo, siete tutti invitati ad assistere!».
“Le donne, prese nell’insieme, sono veramente deficienti rispetto agli uomini? Un vecchio proverbio ci dà la risposta: ‘Capelli lunghi, cervello corto’, ma la sapienza moderna non vuol saperne; per essa, l’intelligenza femminile sta, per lo meno, all’altezza di quella degli uomini”. Una citazione estrapolata dal testo di Moebius del 1901, estremamente attuale nella misura in cui oggi vengono pronunciate frasi sessiste e - con la stessa naturalezza - si ammazza la moglie, la sorella o la fidanzata. Dove comincia, la libertà della donna, e dove quella dell’uomo? Sono due libertà che possono coesistere oppure restano condannate alla lotta e alla sopraffazione?
«In questo spettacolo di sopraffazione culturale ce n’è parecchia. Gli sproloqui sulla sottomissione ritenuta “necessaria” da Moebius e dai suoi “compari” rappresentano un aspetto che il personaggio di Aura affronta con appassionata partecipazione. Secondo Moebius “la donna impara pochissimo e in brevissimo tempo dimentica ciò che ha imparato”. Inoltre, ritiene “casi patologici” quelle donne che intendono “restare libere”. Fortunatamente, negli anni le donne sono state in grado di compiere alcuni passi verso la libertà e l’affermazione di sé. Se la nostra condizione fosse dipesa da Moebius, saremmo messe malissimo! È per questo motivo che non dobbiamo mai abbassare la guardia, pretendendo rispetto e pari diritti. In scena lo rimarco tutte le sere anche con molte canzoni, alcune delle quali famosissime. Che fra le righe nascondono un pensiero maschilista travestito da canzone d’amore. Si tratta di canzonette che tutti abbiamo almeno una volta canticchiato sotto la doccia, ma se ci fermiamo ad analizzare i testi…».
L’immagine provocatoria di Taffo - affidata ai social in occasione della Festa della Donna - ritrae una mano che stringe un mazzetto di mimose, sorgendo dalla terra, con la scritta “Non sono morte per una festa”. Il paradosso femminile è fondarsi su due estremi: un fiore donato e un coltello piantato nel petto. C’è davvero speranza perché un giorno possa trionfare soltanto la vita, in tutte le civiltà? L’emancipazione dovrebbe iniziare a partire dallo stesso linguaggio, anche se nella comunicazione pubblicitaria la donna rimane relegata a oggetto. In questo senso, ritieni che il teatro possa mediare ed educare le masse?
«Il teatro è una potentissima forma di cultura, quindi sono pienamente d’accordo, in quanto può educarci a un pensiero nuovo, diverso. Racconta altri punti di vista, apre la mente. E poi, se lo spettacolo cui assistiamo ci affascina, ci cattura, ci “prende”, allora il gioco è fatto. Il lavoro che abbiamo tentato con “L’inferiorità mentale della donna” è stato proprio questo: raccontare qualcosa di scomodo e a tratti terribile nella maniera più accattivante possibile, ma attraverso l’ironia. Che è il veicolo maggiormente efficace per affrontare i concetti più incredibili e urticanti. Sotto questo aspetto, notiamo che il pubblico rimane entusiasta ed esce da teatro appagato e leggero, in barba a Moebius e al suo oscurantismo».
Foto Assunta Servello
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