L'uomo senza colpe, il noir sull'amianto di Gergolet a Gorizia: «Arrivare al perdono»

Al cinema di Gorizia il noir sull'amianto, Gergolet: «Arrivare al perdono»

l'intervista

Al cinema di Gorizia il noir sull'amianto, Gergolet: «Arrivare al perdono»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 03 Apr 2023
Copertina per Al cinema di Gorizia il noir sull'amianto, Gergolet: «Arrivare al perdono»

Domani la presentazione al Kinemax con il regista e l'attrice Rossana Mortara. Il racconto noir tra ricerca di vendetta e perdono.

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“Era una storia che aveva bisogno di un linguaggio di finzione per essere raccontata”. Descrive così Ivan Gergolet la scelta di girare “L’uomo senza colpa”, film che racconta la piaga sociale e sanitaria dell'amianto a Monfalcone. Mostrato in anteprima propria nella Città dei cantieri, lo scorso venerdì, l’opera arriverà domani, martedì 4 aprile alle 20, al Kinemax di Gorizia. Insieme al regista ci sarà l’attrice protagonista, Rossana Mortara, per raccontare com’è nata questa storia, frutto di quasi dieci anni di lavoro.

Lei è un regista che ha girato molti documentari, questa volta però ha scelto una tecnica diversa. Perché?
“Ci sono stati già documentari e inchieste giornalistiche, volevo un approccio che partisse dal sentimento di chi ha provato tutto ciò sulla proprio pelle. Ho scelto il genere noir, per andare a trattare non solo la giustizia ma tutto ciò che una cosa simile provoca, come la rabbia e frustrazione, il desiderio di farsi giustizia da soli. È una storia ancorata fedelmente a questo territorio, mancava un film che partisse dall’indagine su quella zona oscura senza giustizia ma nemmeno innocenza. Questa racconta il viaggio di una donna che parte dal desiderio di vendetta e si trasforma in qualcos’altro. Volevo mettere vittima e carnefice nella stessa stanza, dove i ruoli si alternano”.

Il titolo indica chi non aveva colpe in quanto poi si è scoperto sulla malattia, ma non solo…
“In realtà l’uomo senza colpa indica proprio lui (il protagonista, impersonato da Branko Završan, ndr). La mia riflessione è sulla colpa e colpevolezza. La giustizia umana non è stata in grado di condannarlo, lui non è senza colpevolezza perché non è riuscito a dimostrare nemmeno di essere innocente”.

Negli anni ci sono stati diversi documentari sul tema, ma mai una storia così. Perché?
“Io ci ho lavorato tanti anni, nei dieci anni di lavoro nessuno ha fatto un film simile. È un tema difficile da trattare, lo vedo nelle persone che l’hanno subito. Una testimonianza forte me l’hanno data i volontari dell’associazione Amianto mai più, che hanno istituito uno sportello psicologico a Monfalcone per ammalati e familiari ma pochi ci vanno. Questo testimonia che pochi vogliono parlarne, c’è un istinto di rimozione comprensibile. È una spada di Damocle sul fatto che ci si può ammalare. Ho conosciuto operai che mi hanno detto non volerlo sapere, se dovessero morire. Il cinema ha la possibilità di incarnare questa tematica con personaggi di finzione ma che portano in sé aspetti veri, in cui potersi riconoscere”.

Il film è stato presentato anche fuori regione, vincendo il Premio Ettore Scola come miglior regia. C’è stato un modo diverso di accogliere l’opera tra qui e altrove?
“Nessuna differenza, anzi. Tutti mi dicevano che anche in quelle zone c’erano problematiche simili ed è una cosa che ho capito mentre ancora stavo lavorando al film. È venuto fuori anche in Messico. È un tema globale e io l’ho reso prettamente locale, ma è storia che poteva essere in tutte le parti del mondo. Per questo ho deciso di ancorarla fedelmente al territorio, così che il pubblico possa capire bene di cosa si tratta”.

C’è una sottotrama legata ai figli, dove quelli dei due protagonisti hanno comportamenti diversi…
“È legata alla diversa maniera di affrontare un lutto. C’è il rapporto conflittuale tra Angela (la protagonista, ndr) e sua figlia quando viene a mancare la figura del padre e gli equilibri si rompono. Viene a mancare un punto di riferimento. Non è nemmeno giusto che questa croce venga messa addosso ai ragazzi, la figlia ha un modo diverso di voltare pagina e la madre un altro. Il figlio del protagonista, invece, ha rimosso tutto e gli viene scaricata addosso la cosa. Alla fine sarà quello che cerca di redimere il padre, prendendosi la responsabilità di qualcosa che non ha fatto”.

Nell’opera è forte il tema del perdono. È un qualcosa a cui si potrà arrivare anche nella vita reale?
“Non è un processo semplice ma doloroso. Angela passa le pene dell’inferno, arrivando al riconoscimento dell’errore della controparte. Altrimenti il perdono non ci può essere. Ci sono luoghi e spazi dove la giustizia umana non può arrivare, l'amianto è uno di questi a causa della prescrizione e delle responsabilità diffuse nella vicenda, inoltre chi oggi è sotto processo ha già 80 anni. Manca questo, ossia dire che anche loro hanno sbagliato e sofferto. Senza questo non ci può essere perdone. Il mio è un film molto laico, di un regista ateo che pone una domanda etica”.

In effetti non c’è nemmeno un prete ai funerali, ma c’è un sindacalista, impersonato da Paolo Rossi.
“Quella è forse l’unica scena politica che ho messo. Angela gli sputa addosso delle colpe ma è frutto della sua impotenza, non credo si possa addossare tutto ciò ai sindacalisti ma è un tema di discussione. Effettivamente c’è questo spirito tra chi soffre”.

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