Trieste è bella di notte e i migranti sul confine, «è anche una storia goriziana»

Ieri sera la presentazione del film con il regista, le storie di chi ha tentato decine di volta la traversata.

“È un piacere tornare a Gorizia, per condividere la storia di un confine che ci è vicino e storie di vita che qui si incrociano” ha esordito il regista Andrea Segre, nel presentare ieri sera al Kinemax il nuovo documentario Trieste è bella di notte. Con lui i co-registi Matteo Calore, Stefano Collizzolli e il collaboratore Gianfranco Schiavone: “È grazie all’avviso di Gianfranco che questa storia ha inizio” continua Segre “che ci ha convocati denunciando le operazioni di riammissione informale che avvengono sul confine”.

Sul confine tra Italia e Slovenia - all’interno dell’area europea - sono moltissimi i migranti che arrivano dopo lunghissimi e massacranti viaggi a piedi, attraversando spesso senza cibo e acqua la rotta balcanica, e che rischiano di essere infine respinti dalle forze dell’ordine italiane fino in Bosnia, senza avere la possibilità di fare richiesta di asilo né di portare il proprio caso di fronte ad un’entità giudiziaria statale. Le riammissioni informali sono state introdotte nel maggio 2020, periodo nel quale l’attenzione pubblica era rivolta a tutt’altra crisi.

Sono rimaste vigenti fino alla loro sospensione nel gennaio 2021, successivamente alla disposizione del Tribunale di Roma, che ne ha riconosciuto l’illegalità. Il 28 novembre la sospensione, però, cade: è Matteo Piantedosi, l’attuale ministro dell’interno del governo Meloni, a riconfermarne la legalità, riattivando le sospensioni. Andrea Segre, Matteo Calore e Stefano Collizzolli hanno incontrato i protagonisti del documentario nella Casa Malala, struttura di accoglienza di Trieste gestita dal Consorzio Italiano di Solidarietà.

Hanno qui conosciuto numerosi profughi e ascoltato le loro storie, racconti di speranza di un nuovo inizio che si è trasformato in ciò che è stato descritto come un’apocalisse. Hanno così compreso la necessità di raccontare questa storia, che, come ricordato da Schiavone “è anche una storia goriziana”. Si intrecciano nella pellicola le storie di chi ha tentato anche 30, 40, 50 volte i game, ossia i tentativi di attraversamento della frontiera: un sapiente montaggio che ha unito diversi video ripresi dai cellulari di chi ha compiuto i game mostra una realtà al limite del vero.

Se il viaggio inizia con due bottiglie d’acqua, si continua bevendo dalle pozzanghere, spesso vomitando in seguito; quando il cibo finisce si sopravvive condendo di ketchup e maionese le foglie degli alberi, anche secche. Si prosegue il viaggio anche con le vesciche e ferite ai piedi, con zaini di 30 chili sulle spalle, perché fermarsi non è un’opzione contemplabile. Ma ogni game potrebbe fallire, se si viene intercettati in anticipo o si arriva alla frontiera e si viene successivamente respinti: si aggiungono allora i racconti dei soprusi delle autorità croate e serbe, le gambe bruciate e le violenze fisiche subite.

Il limite dell’opinione pubblica, secondo le parole di Segre, è un’attenzione che si ferma ad un rapido manicheismo sul volerli o meno, senza andare oltre a quello che è un problema endemico del confine italiano. Da ciò un film che vuole essere dedicato a chi, a differenza di chi ha potuto parlare, non è riuscito ad arrivare, e chi, anche arrivato, è in attesa di una protezione che troppo spesso non viene concessa.

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