Le storie di donne tra petali e spine, sold out per Ambra Angiolini a Gorizia

Le storie di donne tra petali e spine, sold out per Ambra Angiolini a Gorizia

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Le storie di donne tra petali e spine, sold out per Ambra Angiolini a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 25 Gen 2024
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Tutto esaurito ieri sera al Teatro Verdi. Ambra Angiolini rievoca i personaggi a uno a uno, facendoli parlare attraverso la propria memoria.

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Per tutte le donne che pensano di non avere alternative. Cadute, sempre pronte a rialzarsi, a ricucire un rapporto oppure in bilico s’un filo invisibile. È andato in scena ieri sera, al Teatro Verdi di Gorizia – registrando il tutto esaurito – il toccante spettacolo “Oliva Denaro”. Tratto dal romanzo di Viola Ardone e ispirato alla vicenda di Franca Viola, prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore, il monologo narra la storia di una rivoluzione culturale. A interpretare Oliva un’agguerrita e poliedrica Ambra Angiolini – con la regia di Giorgio Gallione – che dipinge a tinte delicate una ragazzina quindicenne, violentata e rapita alla famiglia.

Un’interpretazione sorprendente fin dal suo ingresso dalla platea, attraverso gli spettatori seduti. Perché Oliva è ciascuna di noi, con il proprio bagaglio e le cicatrici interiori, a cominciare dal «marchese» che detta le «regole» e segna il repentino passaggio all’età fertile, con il rischio di ritrovarsi «un bambino dentro la pancia». In una scenografia scarna, con l’arancio e le canne al vento intorno a cui s’innalzano stilizzate case bianche, Angiolini rievoca i personaggi a uno a uno, facendoli parlare attraverso la propria memoria.

«Deve essere scelta – recita il Nobel per la letteratura Wisława Szymborska nei versi “Ritratto di donna” – Legge Jaspers e le riviste femminili. / Non sa a che serve questa vite, e costruirà un ponte». La donna, da sempre caricata di doveri e soverchiata da una morale, che resta immobilizzata in un ruolo paradigmatico disegnato dagli uomini - quello riproduttivo - perché «femmina che non sgrava s’ammala di nervi», e «galline, siamo. Femmine da pollaio, e io non sono favorevole al pollaio».

Un ruolo all’ombra del maschio, in cui l’istruzione non dà valore, ma al contrario sminuisce: «Io nemmeno a vedere un film sono andata, mia madre dice che ti fanno venire i grilli nella testa». E poi, «la femmina che sa troppe cose non è seria». Come la maestra Rosaria, che osa chiedere l’analisi grammaticale della frase “La donna è uguale all’uomo e possiede i medesimi diritti”, per poi essere considerata in paese «la rossa che può dare amicizia a tutti quanti, la svergognata».

A seguire l’incipit di “Città vuota”, gli altri grandi successi di Mina, come “L’importante è finire”, “Renato”, “Canta ragazzina”. Nient’altro che «maledette canzonette che sono un inganno», con cui Oliva prende consapevolezza «che tanto tutto passa, anche l’amore». Era il lontano dicembre del 1965, quando Franca venne rapita. L’articolo 544 – che prevedeva l’estinzione del reato con il “matrimonio riparatore” – venne abolito solo nel 1981, ma Franca assurse a simbolo del riscatto femminile. Un fatto reale intersecato a un racconto di finzione, che nasce da quell’universo torbido e maschilista secondo cui «la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia».

Un viaggio a ritroso nel passato, compiuto da quella ragazzina che sta appena sbocciando alla vita. Strappata alla giovinezza dalla violenza e dal sopruso, avrà il coraggio e la forza di opporsi alla “paciata”, nonostante lo scandalo suscitato. Viene il giorno del suo compleanno, Oliva porta fra le braccia un mazzo di rose. Rapita brutalmente, i petali piovono in strada (e sul palco), mentre a lei rimangono solo le spine. Piange, rinchiusa in una stanza, in attesa che si compia il fatto. «Prima fa male e poi non senti nulla più», si ripete Angiolini, cercando «qualcosa a cui tenermi per non andare in frantumi».

Il dramma si è compiuto, l’uomo ha posseduto la donna con la forza, senza il suo consenso, svilendola. È nello svilimento che Oliva prende consapevolezza di quanta distanza ci sia dal vero amore. «Mi aggrappo a lui, perché lui è vivo, io invece sto morendo. Ora sono una brocca rotta». Da quella rottura s’innalzerà più forte, lottando con tenacia contro lo stesso codice penale italiano. «Sua figlia dovrà dimostrare di non essere più integra e di non aver voluto la fuitina», rimarca il maresciallo attraverso il racconto di Oliva, ricordando che «se volete fare il processo a Paternò dovete farlo al codice penale».

Conscia del cambiamento necessario a tutte le altre donne, Oliva accetterà di andare avanti «in nome della verità. Ma io non lo so se sono favorevole alla verità», rivela titubante. Fino a trovare la forza di gridare innanzi al giudice «io non lo voglio sposare», la virtù di ribadire il proprio dissenso alla violenza.

«Ogni volta finisco distrutta, ma me ne vanto – ammette in lacrime Angiolini, davanti al pubblico altrettanto commosso, in piedi ad applaudire - Preferisco mostrare questo. Questa sono davvero io. Un testo che ho avuto l’onore di scrivere insieme a Gallione, tratto dal libro di Viola Ardone, un’opera che vi rimette a posto le emozioni. Franca Viola è un personaggio reale, intriso di consapevolezza. Simbolo di quella libertà che ancora oggi ci viene negata, quando un maschio interpreta il “no” in modo sbagliato. In teatro tutto funziona. Qui ci possiamo ancora sentire vivi».

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