l'incontro
Storie e angoli sloveni di Gorizia, «un bellissimo prato con colori diversi»
Presentata ieri la traduzione italiana della guida, curata da Aldo Rupel. Lo sguardo al 2025: «Dopo tanto sangue versato, possiamo divenire un faro».
Da Srečko Kosovel a Simon Gregorčič e Alojz Gradnik, «brilla il sole dorato su di noi/ e senti di non essere più solo». Una città – Gorizia – che può dirsi pienamente multietnica nella sua diversità culturale, quel sole metaforico che la fa risplendere di consapevolezza. Mai come oggi lo sta gridando a piena voce, per far fronte a una delle più grandi sfide, quella della capitale della cultura insieme a Nova Gorica. Si è svolta ieri sera – presso un affollato Trgovski dom di Gorizia, dove parte del pubblico è rimasta in piedi – la presentazione della guida “Il volto sloveno di Gorizia” nella traduzione italiana.
L'opera è edita dalla Zveza slovenskih kulturnih društev e curata da Aldo Rupel. «Un gioiellino – commenta il presidente Živka Persi – La cui pubblicazione porta a prendere consapevolezza di quanto sia importante il rispetto reciproco. Solo la conoscenza può condurre a una convivenza pacifica». Un grido che non è solo retorica, ma affonda le sue radici in quella «forte consapevole e innata persuasione», rimarca Persi ricordando Michelstaedter. Una striscia di terra che chiede di essere vissuta nella sua integrità, nella sua «realtà e concretezza, non solo come mito, che ne ridurrebbe la bellezza», ancora il presidente.
Gorizia nasce dalla storia del viandante letta da tre studentesse. Tra un boccone e l’altro il viandante ammira «il colle» e «il verde prato», e se pure oggi di lui resta solo qualche traccia nella carta stampata, senza sapere «quando depose il bastone», in questo luogo si mescolarono numerose altre lingue. Stupito della massiccia presenza di pubblico, Andrea Bellavite ha moderato l’incontro, osservando come la presenza sia «testimonianza di quanto la città sia amata». Una zona di vicinanza degli animi con intenti comuni, «accomunata spiritualmente». Con una meravigliosa metafora Bellavite dipinge Gorizia «un bellissimo prato con colori diversi, a volte calpestato, che oggi vorrebbe tornare a risplendere nella bellezza della diversità».
Disegno comune nel quale ciascun cittadino debba sentirsi accorto, sottolinea Bellavite. «Ognuno di noi deve sentirsi corresponsabile di questo progetto straordinario, un grande segno per tutta l’Europa». E spiegando quanto l’interesse dei due Paesi confinanti possa rappresentare un simbolo per la storia mondiale, ribadisce come sia «l’Europa stessa a darci questa responsabilità. Dopo tanto sangue versato, possiamo divenire un faro. Non cancellando le diversità, ma superando il passato per costruire un mondo migliore».
Mille fiori, un unico universo multicolore a rappresentare quella meravigliosa tela di opportunità da costruire assieme. «Alcuni di questi fiori possono essere colti più profondamente». In questo panorama s’inserisce la guida tascabile, per assistere il viandante che è in noi in quattro diversi percorsi. Così da meglio comprendere «in quali luoghi risplende la bellezza e la storia della cultura slovena». Una guida pubblicata nelle tre lingue: italiano – con traduzione di Sara Terpin - sloveno e inglese, in maniera da accogliere anche quanti fuggono dalla guerra e a Gorizia trovano riparo.
«In questi giorni in cui tutti viviamo nella preoccupazione per quanto accade nel mondo, la nostra è una controtendenza. Non c’è possibilità di raggiungere la pace con la guerra, ma con piccole pubblicazioni come questa», evidenzia, per poi lasciare la parola a Rupel. «Avevo 19 anni – racconta l’autore – stavo concludendo gli studi allo scientifico prima di andare a Roma, quando venni contattato da un istituto di movimento di liberazione per tradurre di documenti di guerra. Da allora ho tradotto interi libri. Io sono di origini triestine, mi sono meravigliato che Trieste fosse organizzato in “rioni” e Gorizia in “quartieri”».
Insegnante per lungo tempo, iniziò ad approfondire il territorio goriziano interessandosi alla toponomastica, proponendo anche alcuni nomi. Tra questi spicca Andrej Budal, traduttore de “I promessi sposi” e Valentin Stanič che fu, tra le altre cose, sacerdote e alpinista. Parte importante della guida è infine il glossario, dove è possibile reperire i nomi sloveni di vie e quartieri e le denominazioni ufficiali. Tre direzioni per quattro percorsi, che rendono conto alla storia e accompagnano chi intende approfondire il senso della comunanza. «Perché il filo spinato? Le ciliegie maturano di qua e di là», si domandano i poeti.
«Dal punto di vista culturale, la varietà va al di là della constatazione di persone che vivono di qua e dall’altra parte del confine. Come la regata sull’Isonzo/Soča, che univa la gente nella gioia di stare assieme e condividere lo stesso fiume», ricorda Bellavite. Per poi porre a Rupel l’interrogazione sul grado di consapevolezza dello stare assieme. «Avevo 20 anni, quando si diceva “Con la prossima generazione tutto si supererà”. L’altra settimana ne ho compiuti 83. Rimango perplesso. Bisogna ammettere che, se Trieste era una realtà complessa, Gorizia è maggiormente calma. In questo momento si avvertono segnali positivi».
«Ci stiamo proiettando verso la capitale della cultura, ma un mese fa ci siamo ritrovati in piazza Transalpina con lo striscione di chi sottolineava l’italianità. Noi della comunità slovena ci stiamo chiedendo in che direzione si potrà andare, con i grandi cambiamenti sociopolitici. Ma non si dica che qui ci fosse il “muro di Berlino”. Non c’era nessuna cortina di ferro». A intervenire è stato poi il professor Sergio Tavano, secondo cui «ci sono documenti - di cui uno del 1781 – che descrissero Gorizia come città di interesse climatico. Si parlavano diverse lingue, anche il francese, che era la lingua dell’illuminismo. La più antica testimonianza del friulano è Cinquecentesca. Per lo sloveno bisogna ricordare il 1459. Gorizia si identificava nella varietà del parlare».
Secondo l’assessore ai quartieri Maurizio Negro, i goriziani sono «cittadini multilingue». Una convinzione che lo ha spinto a cancellare il termine “etnia” per utilizzare quello di “minoranza”. «Cosa siamo? È necessario viaggiare, per conoscere l’altro. Conoscere la storia locale e muoversi nel mondo».
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