teatro
La stagione del Verdi chiude con 14.500 presenze, Teocoli super show a Gorizia
Ieri sera l'ultimo grande appuntamento della stagione con il celebre comico milanese, il racconto della sua vita artistica e i personaggi più famosi.
Il teatro come purificazione, mezzo per affievolire l’apprensione per i conflitti mondiali. È stata una serata di spensieratezza e allegria, quella che ha chiuso la stagione teatrale al Verdi in compagnia del celebre Antonio Teocoli, accompagnato dalla sua band nello spettacolo “A tutto Teo”. «È stata una stagione di altissimo livello che ci ha riportato ai numeri del periodo prepandemia», ha commentato l’assessore alla cultura Fabrizio Oreti. Una stagione che ha registrato più di 14.500 presenze, mentre solo per quanto concerne le collaborazioni con il Comune si sono superate le 7mila unità, dimostrando ancora una volta come il teatro non sia soltanto «occupazione del tempo libero, ma un mezzo per produrre indotto».
Ed eccolo, Teo, a confessare come «sono passato molte volte qui vicino, mentre andavo al Casinò», per poi domandare ironicamente al pubblico in sala: «Ma quanti siete, qui a Gorizia? Siete tutti qua?». Pugliese di nascita, ma adottato dalla città meneghina all’età di cinque anni, Teocoli – in arte Teo – raggiungerà il traguardo degli 80 anni il prossimo anno. Una prima vittoria la ottiene proprio a Milano, dove a soli vent’anni firma un contratto musicale con il singolo “Una mossa sbagliata”. A segnare una svolta sarà invece il 1973, quando inizierà a collaborare con la Rai nel programma “Il poeta e il contadino”, che lo proietta verso il cielo del successo.
Inarrestabile, parteciperà come ospite fisso a diversi spettacoli d’intrattenimento televisivo, da Drive In a Scherzi a parte, Paperissima, Quelli che il calcio, fino ad affiancare nel 2000 Fabio Fazio per la cinquantesima edizione di Sanremo, accanto all’intramontabile Luciano Pavarotti e all’iconica Ines Sastre. I successi proseguiranno con Che tempo che fa, Ballando con le stelle e finalmente un suo programma, Teo in the box. Una serata musicale durante la quale con frizzante nostalgia ripercorre le tappe della sua vita, narrando fin dei primi esordi nel gruppo “I quelli”.
«Poi mi cacciarono, perché andavo solo a donne e mi divertivo – racconta – Quando arrivò la minigonna si andava a Londra da Harrods, si viveva di musica, di scherzi, si stava da Dio. Poi mi rifugiai in un locale di Milano che si chiamava “Derby”», alludendo all’incontro con Iannacci, Cochi e Renato. «Il tempo passava lento, ma bello. Tornavo a casa dal cinema Ischia – periferia di Milano – e rimanevo sotto al tunnel a provare l’eco», e fra le risate inizia a cantare l’incipit di “Smoke gets in your eyes” dei Platters.
Dai concerti dei gruppi londinesi presso il Vigorelli - spettatore fra i 20mila presenti - allo studio della musica, al quale si dedica nonostante le umili origini della famiglia: «Mi davo da fare come un pazzo. Ero il più ignorante e non avevo niente. Vivevo in periferia, in uno scantinato, con mio padre disoccupato e mia madre sarta. Venivamo da Reggio Calabria, dove avevamo lasciato gli ulivi, i bergamotti e i limoni». Poi fa il suo ingresso in un altro gruppo, col quale ha la fortuna di esibirsi all’Hollywood di Torino. Tutto accade per caso, persino l’incontro con quel ragazzo che lo aiuta a caricare il furgone con gli strumenti musicali.
«Io mi chiamo Teo Teocoli, e tu? “Io mi chiamo Lucio Battisti”», risponde quel ragazzo. «Dissi una bugia: “Ti ho sentito nominare” … Dopo una settimana lo rividi in piazza Pattari, dove c’era la Ricordi e le altre case discografiche. Gli dissi “Qui siamo alla Ricordi, e il proprietario di questa casa musicale si chiama Rapetti. Lui ha un figlio che si fa chiamare Mogol». E il resto è storia, quella di un gigante nato dal sodalizio con Mogol e dall’incontro fortuito con Teo.
Non può mancare il «pot-pourri di Battisti», con tutte le sue più note canzoni rivisitate “in chiave Teocoli” per far morire dalle risate, frullando “Non è Francesca” con “Una donna per amico”, “Con il nastro rosa”, “I giardini di marzo”. Tornano a ondate i ricordi con Lucio, ma anche «la regina, la bossanova» Ornella Vanoni che sta incidendo una canzone in via dei Cinquecento. Notevole il grande successo “Acqua e sale” di Mina e Celentano, cantata dalla grandiosa voce di Katia De Felici insieme a quello che fa il suo ingresso in scena con cappello, occhiali e stivaletti da cowboy: «Io non lo imito, lo sostituisco», rimarca Teo imitando Celentano.
Grande coinvolgimento di pubblico, fino a spingere il comico a chiamare sul palco tre donne scelte fra le prime file, compreso un uomo, per accompagnarlo negli ultimi brani. Uno spettacolo che ha raggiunto il clou con il mitico e scalcagnato giornalista napoletano Felice Caccamo, da lui creato. «Io mi chiamo Felice Caccamo, e sono di Napoli, Capodimonte – si presenta dopo aver tirato su e giù il microfono, reggendolo come la coppa dell’acqua che bagna il prato - Sono giornalista sportivo e ho due giornali: O’ Vicolo, che ha venduto diecine e diecine di copie – un record – e Financial reports, che n’a venduto manco ‘na cazz e copia e dalle rotative finisce nei cessi».
Felice organizza un viaggio surreale verso Milano, a 25 o 30 chilometri orari. «Siamo passati pure da Gorizia, se mi ricordo bene. Abbiamo passato 40 città, e ancora non siamo in Lombardia. Andiamo avanti: Slovenia, Salisburgo. Con il vaporetto ci hanno portato a Cipro», finché si abbandona a cantare “O’ surdato ‘nnammurato” e “Simm ‘e Napule paisà”, per poi concludere con “Napule è” e “Quando” di Pino Daniele. «A Napoli i bambini li chiamano “creature”, usano questo modo altissimo per indicarli. L’ho cantata tante volte, perché mi emozionava sempre».
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