Lo spreco di cibo e il virus dell'obesità, Segrè: «Cultura alimentare a Gorizia»

Lo spreco di cibo e il virus dell'obesità, Segrè: «Cultura alimentare a Gorizia»

l'intervista

Lo spreco di cibo e il virus dell'obesità, Segrè: «Cultura alimentare a Gorizia»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 13 Mar 2024
Copertina per Lo spreco di cibo e il virus dell'obesità, Segrè: «Cultura alimentare a Gorizia»

Il professore e attivista contro lo spreco alimentare sarà sabato in città, ospite anche dell'assemblea di Confcooperative al Conference center.

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Arriva alla scrittura del suo primo romanzo dopo una lunga esperienza con i saggi. Come spiega lui stesso, infatti, «per temi universali servono delle forme più coinvolgenti». Ecco quindi che il professore e divulgatore Andrea Segrè arriverà sabato 16 marzo a Gorizia per presentare il suo libro ‘Globesity. La fame del potere’, un food thriller che potrebbe essere l’inizio di una serie, con al centro la storia di un giovane ricercatore universitario, Giorgio Pani, e una pandemia mondiale di obesità sempre più diffusa.

Oltre all’appuntamento letterario, in programma alle 17.30 in mediateca Ugo Casiraghi, Segrè sarà ospite all’assemblea di Confcooperative Fvg sempre a Gorizia. Qui l’evento, presso il Conference center della sede dell'Università degli studi di Trieste in via Alviano 18, inizierà alle 9 per i delegati e alle 11.15 per il resto del pubblico.

Perché ha deciso di passare alla narrativa?
Ho scelto una forma di scrittura creativa nuova, con il genere del food thriller, per parare di un problema grosso. Oltre alla pandemia c’è quello dell’obesità che porta a problemi cardiovascolari, di cui si sa poco. Colpisce più il dato che chi non riesce a raggiungere il cibo, che sono 900 milioni nel mondo secondo la Fao. Ma gli obesi sono più del doppio. Ho voluto costruire qualcosa di inventato ma che potrebbe succedere, dove il mio eroe non è un investigatore o un magistrato ma un giovane ricercatore che inizia il suo percorso di dottorato. È quindi al primo anello d’ingresso all’università, un mondo che conosco bene, e si ritrova in un complotto internazionale che vuole bombardare il mondo di calorie.

Lei è abituato a scrivere testi scientifici, com’è stato questo cambio?
Le pubblicazioni scientifiche sono rinchiusi nel loro mondo, ma per temi universali servono forme più coinvolgenti. Potevo scrivere un saggio ma lo avrebbero letto in pochi. Con questa forma narrativa spero di essere avvincente e punto soprattutto ai più giovani, con cui ho a che fare per il mio lavoro. Quelli che incontro sono comunque una piccola parte della società, ma entro anche nelle scuole con dei contenuti molto forti. Credo che questa possa essere una chiave lettura che possa vincere. I primi commenti ricevuti sono positivi. È un thriller ma non un tomo di 500 pagine, da leggere in un pomeriggio.

Ha pensato anche a un seguito?
L’avventura rimane aperta e voglio continuare a far crescere il mio protagonista e fargli risolvere altri temi globali sul cibo e sull’ambiente. Conosco il mio ambiente, che resta sullo sfondo con pregi e difetti, ed è uno spaccato importante della società contemporanea.

Guadando al tema del libro, se c’è chi vende ‘cibo spazzatura’ c’è anche chi lo compra. C’è quindi un concorso di colpa sul mangiare male?
Direi di sì, noi consumatori siamo abbastanza maleducati nel senso letterale del termine. C’è una maleducazione alimentare di fondo, perché diamo poco valore al cibo. Vogliamo pagare pochissimo, pretendiamo qualità e il marchio ma non ci interroghiamo da dove viene quel cibo. Giorgio Pani vuole ripercorrere invece la dieta mediterranea e si chiede perché non la seguiamo più. Da una parte c’è il focus sulla consapevolezza del singolo e dall’altra la spinta delle multinazionali: è difficile capire chi guida. Se si vende, però, a monte c’è stato un percorso per farlo arrivare al supermercato. Il mio campanello d’allarme mette insieme chi produce e chi consuma, produrre schifezze è più facile e si guadagna di più ma ha un impatto negativo sulla società. Da qui al 2035, si stima che più di metà della popolazione mondiale sarà in sovrappeso.

Si dice che il cibo è anche cultura. L’appuntamento di GO! 2025 cosa può fare per riportare un po’ di ordine in questo scompenso?
Parliamo di cibo continuamente, lo pubblichiamo sui social, glorifico il patrimonio enogastronomico ma poi, guardando come mangiamo, l’indice di aderenza alla dieta mediterranea in Italia mostra che ci siamo allontanati da quel modello. Gli adolescenti in sovrappeso nel nostro Paese sono concentrati in Campania, proprio il luogo dov’è stata scoperta la dieta mediterranea. Gorizia potrebbe essere l’occasione di promuovere una cultura alimentare applicata, promuovendo iniziative per educare. Dobbiamo rendere le persone consapevoli dell’impatto che il cibo ha sull’ambiente. È una cosa che non ho scoperto io ma cerco di metterlo in evidenza.

Quando si parla di cibo c’è spesso lo scontro tra chi vuole innovare e i tradizionalisti. Come se ne esce?
Dobbiamo rendici conto dell’impatto del cibo sulla salute. La produzione agricola impatta sul riscaldamento globale per il 22%, un quinto del cambiamento climatico è legato all’agricoltura. Invece ci affidiamo alle diete: nei Paesi sviluppati si spende di più per mettersi a dieta che mangiare. Per noi mangiare è un atto naturale ma ha un effetto multiplo con dimensioni diverse. Possiamo anche difendere la nostra alimentazione e le tradizioni, che certamente sono importanti, ma basterebbe un comportamento più consapevole, riducendo le quantità in base alle proprie necessità. Qui non si tratta di dire di essere tutti vegetariani o vegani, le diete estreme confondono. Sullo sfondo c’è l’educazione alimentare e, se la seguissimo, l’impatto sull’economia sarebbe più positivo.

A quasi 10 anni di distanza, allora, qual è l’eredità lasciata dall’Expo di Milano, dove si parlava proprio di trovare nuovi modi per sfamare il mondo?
Quell’evento ha concentrato l’attenzione del mondo sull’Italia per sei mesi, ma la legacy subito dopo si è molto smorzata. Le varie crisi hanno molto lontanato consumatore dai temi trattati in quell’arco di tempo, che sono stati comunque positivi. Io stesso ho contributo a scrivere la Carta di Milano, voluto dall’allora ministro delle Politiche agricole Martina. È stato un grande lavoro ma si è un po’ perso.

Come mai?
Perché diamo poco valore al cibo. Lo spreco alimentare nel solo mese di gennaio 2024 vale 7 miliardi di euro: parlo del solo valore economico, senza contare i costi di produzione e smaltimento. È assurdo perché gli agricoltori, invece, non riescono a vendere quel cibo in modo adeguato. È un atto inconsapevole quello che facciamo: acquistiamo troppo cibo, non leggiamo l’etichetta, lo diamo per scontato perché tanto al supermercato lo vediamo sempre. Ora con l’inflazione si vede che i poveri stanno peggio ma anche sprecano di più, perché prendono frutta che sta per marcire e quando arrivano a casa è ormai da buttare. Non sappiamo più cos’è il cibo e a cosa serve. Se lo paghiamo poco, di solito vale anche poco.

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