a gorizia
Federico Rampini e la speranza africana a Gorizia, come cambia il mondo da Sud
Oggi la consegna del Premio èStoria al giornalista, il suo sguardo sul mondo e in particolare sul Continente nero: una popolazione permeata da «fiducia e speranza».
Ogni volta che si accinge a mettere nuove radici in un altro Paese, Federico Rampini ha sempre con sé una valigia con libri di storia. Editorialista del Corriere della Sera - con un passato da vicedirettore del Sole 24 Ore oltre che corrispondente per La Repubblica - Rampini si è aggiudicato il premio èStoria 2024 a Gorizia con il suo saggio “La speranza africana”, un testo che «rovescia i cliché consolidati sull’Africa come terra di tutte le possibili disgrazie» per mostrare un continente inteso come serbatoio di risorse.
A consegnare il premio nella giornata conclusiva - di fronte alla gremita platea del Teatro Verdi - è stato il presidente di èStoria Adriano Ossola, che fra le motivazioni ha indicato nel giornalista il metodo, quel servirsi «della lente di ingrandimento dell’economia e della storia economica» grazie ai quali «ha articolato i suoi interventi sul presente fino a trasformarli in fonte imprescindibile per il futuro del pianeta».
«Ho partecipato già a due edizioni di èStoria, sono lieto di essere tornato – ringrazia il giornalista, dialogando con lo storico Andrea Zannini - Penso sia un’intuizione geniale, dedicare un festival alla Storia, e il vostro entusiasmo lo conferma. La Storia è sempre stata terreno di battaglia. Nella mia vita di nomade globale ho vissuto in diverse capitali. Inizialmente a Bruxelles, poi girando il mondo, fra Stati Uniti, Europa e Cina. Ora mi ritrovo soprattutto negli Stati Uniti, ma ogni volta che mi accingo ad affrontare una nuova sfida e a fare le valigie, ce n’è sempre una piena di libri di storia. Ho sempre pensato che per avvicinarsi a un Paese sia necessario studiare il suo passato».
Autore di un manuale per le scuole - «credo che insegnare bene la Storia ai giovani sia fondamentale» - il giornalista ritiene che la differenza fra Occidente e gli altri Paesi sia fondata sulla tipologia d’insegnamento. «Siamo gli unici a insegnare una Storia autodistruttiva, e che l’Occidente sia malvagio». Mentre in Cina, Russia e in tutto il mondo arabo non si insegna alcuna «pratica di autodemolizione», nel mondo occidentale è divenuta «moda e conformismo» imperante. A questo proposito Zannini riflette sull’idea di colonialismo proposta nel saggio, grazie al quale «l’Occidente si è garantito un benessere a scapito dei popoli conquistati».
Al tempo stesso emerge una «visione vittimistica», quella che rappresenta «l’altra faccia della medaglia del colonialismo». «Da quando abbiamo iniziato a insegnare la storia del colonialismo abbiamo compiuto un’operazione di onestà intellettuale, che sta diventando grottesca caricatura. Questo perché siamo stati gli unici ad affermare che solo la razza bianca è stata capace di oppressione e schiavismo, il che è un falso storico». Richiamando l’incidente emblematico dei bronzi del Benin, sottolinea poi come «lo schiavismo non lo abbiamo inventato noi. È una piaga orribile, ma tutte le civiltà umane lo hanno praticato. La favola secondo cui lo schiavismo dei neri sia stata prevalentemente praticata dai bianchi è una bugia».
Fra i primi schiavisti Rampini ricorda l’impero arabo e i turchi ottomani, offuscati nella memoria dalla «narrazione vittimistica», la «nuova forma di narcisismo» con cui gli italiani si illudono «di avere ancora una centralità», mentre il baricentro economico e culturale va lentamente spostandosi. «Il colonialismo non spiega tutto - ribadisce – Altri Paesi colonizzati più a lungo hanno avuto percorsi di sviluppo economico fantastici, come Singapore, diventata indipendente dalla Gran Bretagna nello stesso anno del Kenya. Dal saggio del premio Nobel Gunnar Myrdal – “Il dramma dell’Asia”, che narra della miseria di Singapore – ai giorni nostri, la città-Stato si è trasformata in una perla tecnologica e progredita, con un reddito pro capite ormai doppio rispetto all’Inghilterra. Mentre l’Africa viene ancora additata come «il continente nero», celando anche «un giudizio etico e morale, sottolinea Zannini.
In realtà ha in sé una creatività e un’energia incredibili, e la tanto temuta bomba demografica non si sta verificando», con proiezioni che indicano una decrescita. «Ho il privilegio di vivere a New York, il che mi aiuta a vedere l’Africa in modo diverso, in quanto attira medici nigeriani poi ingaggiati negli ospedali, e poi artisti – scrittori, pittori, registi, musicisti – Quelli che vengono chiamati “afro-politans”, specchio della straordinaria stagione di creatività che questo continente sta esprimendo, che non quadra con la descrizione fatta in Italia. Mentre l’America cattura migrazioni molto qualificate».
«Gli africani sono molto meno pessimistici e apocalittici, e quella nigeriana è la terza produzione cinematografica mondiale dopo Hollywood e Bollywood, detta “Nollywood”. Per parlare dell’Africa non è necessario affrontare tematiche come l’infibulazione, perché non è questo il cinema africano, allegro. Esiste un ceto medio africano in crescita di 350 milioni di persone – equivalente di tutta la popolazione degli Stati Uniti - con un potere di acquisto alto». Una popolazione permeata da «fiducia e speranza», mentre «noi siamo diventati i cultori dell’apocalisse».
Del resto, la storia delle civiltà si plasma di continuo in un susseguirsi di cambiamenti. «Da bambino vivevo a Bruxelles, dove nelle scuole si facevano collette per aiutare i bambini indiani. Negli anni Settanta è sopraggiunta la rivoluzione agricola, e oggi l’India è una superpotenza mondiale che esporta riso e cereali. Questa storia positiva non la racconta nessuno, ma si continua a parlare di “bomba demografica”. In realtà nel continente africano stanno accadendo due cose positive: la scolarizzazione e l’urbanizzazione, quindi si fanno meno figli». Il punto debole è tuttavia lo stato della democrazia, «non buono».
Da un lato 54 nazioni indipendenti dove vengono costruite infrastrutture - con investimenti provenienti per lo più dalla Cina - dall’altra stati come il Niger, che dopo aver allontanato gli americani assoldano eserciti privati come la Divisione Wagner di Putin. «La democrazia non è un processo lineare – osserva Zannini – e l’aiuto che l’Europa ha fornito sono venti volte il piano Marshall». Una strategia poco vincente, che secondo l’editorialista ha creato «dipendenza e deresponsabilizzazione». Citando Dambisa Moyo, economista dello Zambia, evidenzia come l’Africa non chieda aiuti, ma «le nostre imprese e i nostri talenti».
Spunto per rispondere alla domanda relativa al piano Mattei. «Negli Stati Uniti non se ne parla. Trovo che la sua impostazione sia abbastanza giusta, un piano di investimenti da parte dell’Italia nel continente. Ma è giunto nel momento in cui soffia un vento antioccidentale. Basta interrogarsi su quale sia il governo che ha avviato un procedimento contro Israele, considerato sulla linea americana: il Sud Africa».
E a proposito dell’economia cinese che investe in quest’immenso territorio, Rampini parla di «due Cine. Una è quella delle nuove vie della seta, dei grandi progetti intenti a costruire infrastrutture, un’altra è quella dei piccoli imprenditori che portano un capitalismo meno controllato, pur assicurando sviluppo. Mao Tse Tung disse: “La rivoluzione non è una cena di gala”. Una visione angelica di come dovrebbe essere lo sviluppo africano è assurda, gli stessi africani sono più realisti di noi».
Foto Bumbaca
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