Il sogno dell'arcivescovo: «Gorizia città della pace ma dipende da noi»

Il sogno dell'arcivescovo: «Gorizia città della pace ma dipende da noi»

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Il sogno dell'arcivescovo: «Gorizia città della pace ma dipende da noi»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 16 Mar 2024
Copertina per Il sogno dell'arcivescovo: «Gorizia città della pace ma dipende da noi»

Questa mattina la celebrazione religiosa in Duomo, celebrata dall'arcivescovo: «Decidere se e come continuare il lavoro per la pace già iniziato».

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Ha parlato di pace, nell’accezione più internazionale e pratica possibile, nella sua omelia in occasione della celebrazione eucaristica dei patroni di Gorizia, Ilario e Taziano, l’arcivescovo metropolita di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli. Ha ricordato la Marcia della Pace - promossa da Pax Christi, Caritas, Azione Cattolica e altre organizzazioni cristiane il 31 dicembre scorso - quando un migliaio circa di persone hanno camminato, riflettuto, pregato, cantato insieme, unite dalla preoccupazione per la guerra e dal desiderio di invocare la pace.

«Lo hanno compiuto percorrendo un itinerario partito dal sacrario di Oslavia per giungere oltre confine alla concattedrale di Nova Gorica, passando dal ponte dell’Isonzo, l’oratorio San Luigi, luogo di accoglienza dei migranti minorenni, la chiesa di Sant’Ignazio, la sinagoga, la piazza Transalpina», ha esordito il presule. «In quella circostanza mi ha molto colpito un’osservazione che ho sentito formulare da molte persone, venute da fuori, che avevano partecipato negli scorsi anni alla stessa iniziativa svolta in altre parti di Italia: “Quest’anno è diverso dalle altre marce della pace, stasera non c’è bisogno di parole, qui gli stessi luoghi parlano di pace”».

«Un’affermazione che mi ha fatto riflettere e anche – non lo nascondo – mi ha fatto piacere. Tradotta in altri termini significa che Gorizia e, aggiungerei, con Nova Gorica, un collegamento che è prima e va al di là dell’esperienza della Città della cultura 2025, è una città che per sua natura parla di pace», così Redaelli. «Potremmo ricordare, in una tragica classifica di morti, che per sé tra i 100mila morti italiani sepolti a Redipuglia, gli altri 14.550 morti soprattutto ungheresi sepolti sempre a Redipuglia nel cimitero austro-ungarico e i 57mila di Oslavia, anche da noi, solo parlando di cimiteri, arriviamo vicino ai 200mila morti».

«Potremmo poi aggiungere che Gorizia ha avuto il tragico privilegio di essere in mezzo, suo malgrado, a due guerre, che l’hanno tagliata in due. O, inoltre, che ottant’anni fa ha visto la scomparsa della sua comunità ebraica e la deportazione di centinaia di suoi cittadini. E ricordare altro ancora, compreso il fatto – per restare alla cronaca di questi giorni – che la guerra di molti anni fa ci ha lasciato alcuni “ricordi” ingombranti: tre bombe pesanti due più di 200 chili e una più di 100, che costringeranno molte persone a lasciare temporaneamente le loro case senza guardare al confine che la guerra stessa ha fatto nascere», sono ancora le parole di Redaelli.

Secondo l’arcivescovo, dunque, «Gorizia è votata a essere, con Nova Gorica, per la sua storia e per i suoi luoghi, più di altre città italiane ed europee “città della pace” e non solo della cultura per un solo anno? È proprio così? Vorrei rispondere immediatamente di sì, senza incertezze, ma non sarebbe giusto. La risposta corretta è dire che sì potrebbe esserlo e che, anzi, esistono tutti i presupposti perché lo sia, ma ci sono delle precise condizioni. Nessun automatismo, pertanto. E le condizioni sono almeno due e tutte legate alle persone. Quindi a noi».

L’arcivescovo ha parlato dell’interpretazione dei luoghi della memoria, citando l’Ossario di Oslavia che può essere luogo di glorificazione della Patria ma anche luogo che grida “basta la guerra!”: «La seconda condizione richiesta affinché una città come la nostra divenga sempre più una realtà di pace è la concreta azione per la pace, iniziando dalla situazione in cui ci si trova e dalla sua interpretazione a partire dai valori della pace, della giustizia, della fraternità, del perdono, della riconciliazione».

«Come sarà Gorizia e Nova Gorica tra 20 anni dipenderà certo da quei ragazzi che domenica sono intervenuti con grande intelligenza e passione nel dialogo con il presidente che ha guidato la Slovenia negli ultimi anni. Ma dipende oggi anzitutto da noi adulti: dobbiamo decidere se e come continuare il lavoro per la pace che le generazioni che ci hanno preceduto hanno iniziato», ancora il presule.
Nel ricordare le figure dei Patroni, Ilario e Taziano, «hanno dato la vita per un ideale. Per un ideale giusto, quello del Vangelo. Si può infatti dare tragicamente la vita anche per un ideale sbagliato».

«Gli ideali giusti, naturalmente, non sono solo quelli esplicitamente evangelici: ci sono persone credenti in altre religioni o comunque ispirate a un’alta concezione dell’umanità, che hanno dato la vita per ideali di pace e di giustizia. E talvolta è successo, purtroppo, che dei cristiani abbiano dato la vita per ideali contrastanti con il Vangelo. Non è stato così per Ilario e Taziano e per tanti uomini e donne che ancora oggi sacrificano la vita per costruire un mondo più vicino a quello che Dio aveva in mente creando l’universo e per redimere il quale suo Figlio Gesù si è consegnato alla morte di croce rivelando così un Dio che continua ad amare anche quando infuriano la violenza e l’odio», ha concluso Redaelli.

Il parroco della chiesa Cattedrale, monsignor Nicola Ban, nei ringraziamenti finali, ha voluto ricordare i sacerdoti confratelli “andati avanti”, don Diego Bertogna e don Alessio Stasi, oltre a monsignor Ruggero Dipiazza, in questi giorni «fuori uso» a causa di una caduta nei giorni scorsi che, in ogni caso, non pare grave. In prima fila, infine, non solo il sindaco, Rodolfo Ziberna, assieme al prefetto, Raffaele Ricciardi, e al questore, Luigi di Ruscio, ma anche le autorità militari e civili. Ad accompagnare la celebrazione, officiata, appunto dall’arcivescovo Redaelli e concelebrata dai sacerdoti del decanato assieme al Capitolo Metropolitano Theresiano, la Cappella metropolitana diretta da Fulvio Madotto con Vanni Feresin all’organo.

Foto Sergio Marini

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