Il signore del Pelinkovac di Gorizia, viaggio nella storia della famiglia Abuja

Il signore del Pelinkovac di Gorizia, viaggio nella storia della famiglia Abuja

Una storia mitteleuropea

Il signore del Pelinkovac di Gorizia, viaggio nella storia della famiglia Abuja

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 15 Nov 2020
Copertina per Il signore del Pelinkovac di Gorizia, viaggio nella storia della famiglia Abuja

Viaggio nella casa-museo di Alessandro Abuja, discendente della celebre famiglia goriziana di produttori di liquori.

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Per molti goriziani ma non solo, il celebre amaro Pelinkovac (dallo sloveno “pelin”, assenzio) è legato a un unico nome: quello della famiglia Abuja. L’albero genealogico di questa storico cognome risale addirittura alla fine del Seicento, quando i Turchi arrivarono alle porte di Vienna per minacciare l’Europa cristiana: dopo la sconfitta di Kahlenberg (1689), un militare musulmano fatto prigioniero decise di convertirsi, rimanendo a vivere in Austria. Quasi duecento anni dopo, il suo discendente Andrea Abuja verrà alla luce nel paese di Vorderberg.

Sarà proprio lui a dare il via a una storia lunga quasi tutto il Novecento, trasferendosi prima a Cormons e poi a Gorizia, dove fondò la ditta di liquori “And. Buja” nel 1899. Oggi il testimone di quella storia è custodito dagli ultimi due discendenti, il 74enne Alessandro "Sandro" Abuja e suo figlio Andrea, che hanno ripreso in mano l’attività tre anni fa, dopo quasi 24 anni di stop. L’aziende originale, infatti, ha chiuso i battenti nel 1993, dopo essere stata conosciuta in tutta Europa per i propri vini, che le diverse generazioni della famiglia hanno prodotto e imbottigliato con i grappoli del Collio e del Carso, nonché per il Pelinkovac.

A raccontarci la storia della dinastia Abuja e del suo prodotto per antonomasia è lo stesso Alessandro, che ci ha aperto le porte di casa sua, in piazza Edmondo De Amicis a Gorizia. L’impalcatura sovrasta l’ingresso, che conduce a un androne spoglio. Basta fare qualche piano di scale, però, per ritrovarsi in un vero e proprio museo, non solo dell’azienda ma dell’intera Gorizia. “Questo palazzo l’acquistò mio nonno finita la Grande guerra - ci racconta, mostrandoci le foto dell’epoca -, quando era completamente distrutto dai bombardamenti. Lo rimise a nuovo, realizzando anche un ulteriore piano”. Laddove oggi c’è il suo studio, più di un secolo fa c’era il cratere di una bomba.

Il primo magazzino dell’impresa fu aperto nell’attuale via del Santo, dove ancora oggi si intravede il suo nome sulla facciata del palazzo. All’epoca, il mercato di riferimento era quello mitteleuropeo, e già con la fine del primo conflitto mondiale molte cose cambiarono, per non dire con l’avvento del fascismo: “Mussolini proibì di scrivere sulle etichette la parola ‘assenzio’ e così lo scrivemmo in latino, Artemisia absinthium, ancora oggi presente”. Quella norma, infatti, è ancora in vigore. Non fu l’unico “scontro" con il regime per gli Abuja: “L’anagrafe impedì di chiamare anche me Andrea, come mio padre e mio nonno”. La tradizione genetliaca è quindi ritornata con suo figlio.

Stupisce, però, che durante il Ventennio un cognome così particolare non fu soggetto a italianizzazione: “In realtà ci provarono a far cambiare nome alla mia famiglia, ma mio padre rifiutò i nuovi documenti e riuscì a mantenerlo intatto”. Gli Abuja sono anche legati a una certa storia militare: se fino alla Grande guerra indossarono tutti la divisa asburgica, successivamente Andrea Abuja combatté nella Seconda guerra mondiale sul fronte africano, a El Alamein, mentre Alessandro ha vestito i gradi di maresciallo dell’aeronautica a Rivolto. “Continuai comunque ad occuparmi dell’azienda - rivela -, in qualità di responsabile, mentre la proprietà risultava di mia madre”.

I corridoi e le stanze del suo enorme palazzo sono infiniti, zeppi di reperti storici. Sulla parete compaiono addirittura delle pubblicità dell’amaro di casa, realizzati da grandi artisti dell’epoca, tra cui Saksida e Crali. Si parla della storia dell’arte italiana del secolo scorso, ma alla fine il discorso finisce per ritornare sempre sulla Gorizia di una volta e sul quel “digestivo che brucia tutto”: “Le altre versioni sono tutte chimiche - commenta Abuja -, io continuo ad usare ancora oggi erbe selezionate, provenienti dalla Romania”. La ricetta, peraltro, non è mai cambiata in più di un secolo ma, oltre all’elemento naturale, tutto il resto è segreto.

Dal 2017, la “And. Abuja” è rinata ed è gestita dal figlio, Andrea. Le dimensioni sono ovviamente molto ridimensionate rispetto al blasone storico, il bacino di clienti ormai è rilegato alla regione, ma ogni anno vengono comunque vendute circa 6mila bottiglie. E pensare che il nonno di Alessandro aveva perfino pensato ad un certo punto di abbandonare Gorizia, per trasferirsi in Germania: aveva perfino richiesto alcune possibili, nuove etichette per i suoi prodotti. Alla fine, la distilleria è rimasta ancorata a questo angolo di Nordest, finendo per entrare nel tessuto sociale della città e nell’immaginario collettivo dei goriziani.

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