la proposta di legge
«Salviamo il maj», tutti uniti per difendere l'antico rito a Gorizia
Almeno 56 fra comuni, frazioni o località in regione conservano ancora questa tradizione. Il percorso condiviso per evitare in futuro episodi come a Piedimonte nel 2022.
«Ben venga maggio/ e 'l gonfalon selvaggio!», scriveva Angelo Poliziano nel XV secolo, quando i giovani ragazzi fiorentini offrivano rami fioriti alle proprie fidanzate. “Gonfalon selvaggio” che veniva anche detto “majo”, o “maggio”. Una tradizione antichissima, diffusa in tutta Europa, dalla Gran Bretagna – dove prende il nome di “maypole” (palo di maggio), ai borghi della Provenza, passando poi ai villaggi irlandesi o a quelli in Svezia, dove ancora oggi si piantano “majstånger”. Ancora vivissime sono poi le tradizioni del “mailbaum” in Germania, e quelle in Cechia.
Ed è stata dedicata alla salvaguardia del rito del “maj” - l’albero di maggio - e al palo della cuccagna, la conferenza stampa svoltasi nella mattinata di oggi, presso il Palazzo dell’ex Provincia di Gorizia. Approvato l’ordine del giorno a prima firma del consigliere regionale e presidente della V Commissione Diego Bernardis (Fedriga Presidente), accolto dal presidente Massimiliano Fedriga e dalla giunta regionale. «Sanciamo ufficialmente l’avvio di un percorso condiviso, trasversale e aperto al contributo di tutti, per riconoscere l’importanza dei riti antichi propri della nostra terra e permetterne la salvaguardia e la conservazione», ha detto nella Sala della giunta.
Una proposta «nata grazie all’assessore Maurizio Negro, che raccoglie un’istanza molto sentita nel nostro territorio – ha proseguito – In relazione al secolare rito di traslare un albero dal bosco al centro dell’abitato, con un censimento nell’area regionale, sappiamo che almeno 56 fra comuni, frazioni o località, conservano ancora questa tradizione. Fra questi centri, seppur con modalità e tempi diversi, troviamo anche Lucinico, Capriva del Friuli, Cormons, Tarvisio, Palmanova e San Dorligo della Valle. Si tratta quindi di una tradizione localmente diffusa in tutto il Friuli Venezia Giulia, ma che purtroppo incontra notevoli difficoltà a causa della mancanza di normative specifiche».
La legge
Un ordine del giorno che rappresenta già «il primo passo per un provvedimento normativo per disciplinare riti antichi e il maj. Questo – ha sottolineato ancora - è importante perché perpetua tradizioni secolari e fa parte del patrimonio culturale della nostra terra, salvaguardandone l’identità. Un fattore importante anche in vista del Go!2025. L’impegno è valutare ogni possibile intervento, ad esempio, per evitare norme troppo complesse e onerose rispetto alle operazioni per issare o calare l’albero, all’ottenimento delle autorizzazioni e alla possibilità di avvalersi del supporto di esperti o della Protezione civile».
Dal canto suo, il sindaco Rodolfo Ziberna ha dichiarato come ci sia il pieno sostegno da parte del Comune, trattandosi di «un’iniziativa che accoglie l’istanza avanzata dallo stesso Comune». Osservando come sia giusto fare una sintesi fra diversi valori, in quanto «ritengo doveroso tutelare e valorizzare eventi che sono parte delle nostre radici e della nostra storia». Con la clausola, tuttavia, di salvaguardare l’incolumità dei cittadini «facendolo in sicurezza», ha sottolineato alludendo a quanto successo lo scorso anno a Piedimonte, in cui rimase ferita Michela Sgubin. A questo proposito Bernardis ha voluto evidenziare come «l’argomento debba essere preso a 360 gradi, per garantire la salvaguardia delle persone».
Anche Maurizio Negro, assessore per la Tutela delle identità linguistiche, ha voluto ribadire l’importanza di individuare linee guida comuni con il coinvolgimento di tutti gli enti preposti. «Sono certo che con l’impegno di tutti, si riuscirà a salvare e valorizzare una tradizione ancora molto presente a Gorizia e in tanti altri comuni». A cominciare dal comandante della Polizia locle Marco Muzzatti. Un coinvolgimento esteso poi all’Unione gruppi folcloristici e alla Società filologica friulana, rappresentata dal presidente Feliciano Medeot, con la quale è stata svolta una ricerca storica.
La rete di enti
Il tutto rendendo partecipi anche la Confederazione delle associazioni slovene, di cui era presente Walter Bandelj, e l’Associazione nazionale dei comuni friulani, con il direttore dell’Assemblea comunità linguistica friulana Claudio Romanzin. «Insieme abbiamo costruito linee guida per cercare di legiferare salvaguardando la sicurezza», ha ammesso Negro. Puntualizzando che sarà richiesto un intervento economico per progettare dove collocare gli alberi, «eventualmente pioppi, in quanto maggiormente leggeri», e altre modalità a supporto dei giovani. Dal canto suo, Romanzin ha voluto sottolineare due aspetti.
«Il primo, voi utilizzate il termine “tradizione”, io preferirei quello più chic di “beni culturali materiali”, perché le tradizioni, in quanto leggende e usanze, costituiscono beni per la popolazione, anche per una popolazione molto ricca e varia com’è questa del Friuli. Il secondo, è che superando la discussione su cosa sia “Friuli”, si può spiegare semplicemente come “territorio dove popolazioni diverse parlano lingue diverse”. È una ricchezza culturale. Ogni elemento che si possa valorizzare e far crescere è un ulteriore arricchimento», ha affermato entusiasta Romanzin. Specificando come le tradizioni siano in continua evoluzione, mutando continuamente forma.
«Non c’è nulla di sbagliato nell’adeguare una tradizione, purché se ne conservi il senso e non diventi puro folclorismo», ha aggiunto. Un concetto di trasformazione che trova spazio anche nelle riflessioni del “nostro” Pasolini, il quale considera l’evoluzione del folclore primigenio come perdita d’identità di un popolo. «Spero che siano espressioni della cultura delle popolazioni del Friuli, e non artefatto», ha osservato concludendo Romanzin. Anche secondo Bandelj «dobbiamo fare squadra. Si tratta di un valore, un rito» da conservare attraverso una burocrazia più snella.
Portando avanti «quello che è stato fatto dalla minoranza slovena anche in Val Canale, con la legge 38». A prendere la parola è stato poi Medeot, secondo cui si tratta di «un percorso che non riguarda solo il maj, ma il complesso delle tradizioni antropologiche della nostra regione, come ad esempio il pignarûl, il fogolâr, tutte appesantite da carattere burocratico. Bisogna agevolare i volontari che continuano queste tradizioni. Come Società filologica confermiamo la disponibilità a rafforzare un percorso che preveda l’impegno diretto della regione».
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