Ronchi ricorda quel «Salta su!» di don Renzo: l’invito a testimoniare una fede intrecciata con gli uomini

Ronchi ricorda quel «Salta su!» di don Renzo: l’invito a testimoniare una fede intrecciata con gli uomini

LE TESTIMONIANZE

Ronchi ricorda quel «Salta su!» di don Renzo: l’invito a testimoniare una fede intrecciata con gli uomini

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 07 Dic 2024
Copertina per Ronchi ricorda quel «Salta su!» di don Renzo: l’invito a testimoniare una fede intrecciata con gli uomini

Affollatissimo il convegno di stamattina promosso dall’Azione Cattolica diocesana. Il parroco Monsignor Sudoso: «Uomo innervato in tutte le dimensioni della storia».

Condividi
Tempo di lettura

Quel «Salta su!» detto a Guido Baggi, suo compagno di studi in seminario, per invitarlo a salire sugli autoscontri alla Fiera di Sant’Andrea di Gorizia il 30 novembre 1958, è stato – nello scorrere degli anni - il suo modo di “prendere la gente”, di coinvolgerla e valorizzarla. Poi seguiva il «Te ga capì?» domanda volta a far intendere la valenza della proposta che faceva a ciascuno. Ed è proprio di quel viaggio, di quel pezzo di strada fatto insieme a lui che oggi si è occupato il convegno “Don Renzo Boscarol: un prete per la Chiesa e per il Mondo”. L’iniziativa – cioè il percorrere una memoria per trarre un aiuto dal passato nel progettare il futuro - è stata organizzata dall’Azione Cattolica Diocesana con il sostegno del Consiglio Regionale, di Iniziativa Isontina, Voce Isontina e con il patrocinio del Comune di Ronchi dei Legionari.

Dopo i saluti istituzionali del sindaco Mauro Benvenuto, è intervenuto il parroco monsignor Ignazio Sudoso, già cappellano di don Renzo. «Lui e la sua generazione sono i frutti maturi del Concilio e l’esempio della visione incarnata della Fede. Nelle sue “mire” c’era l’umano, non semplicemente il sacro. Renzo era innervato in tutte le dimensioni della storia, la sua era una Fede intrecciata con gli uomini che è l’aspetto essenziale della vita cristiana» ha affermato monsignor Sudoso.
Di un giornalista che «insisteva sul picchiare le cronache locali» hai poi riferito in apertura, Mauro Ungaro, attuale direttore del settimanale diocesano Voce Isontina e presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici. «Renzo viveva e vive il giornalismo di prossimità, andava sul territorio e raccontava non per sentito dire» così Ungaro.

Monsignor Domenico Sigalini vescovo emerito di Palestrina e già assistente ecclesiastico nazionale di Ac ha ricordato i temi che stavano a cuore al sacerdote: l’«accentuata missionarietà», la sinodalità, il rapporto tra preti e laici e la missionarietà legata all’internazionalità dei progetti associativi che sarebbero serviti a sviluppare «una “pastorale della proposta” all’interno del contesto culturale per non ridurre la fede solo a quelli che frequentano la parrocchia». Su Cristiani Goriziani e Cristiani Sloveni si è concentrato Franco Miccoli ricordando gli stimoli forniti a favore del dialogo transfrontaliero tramite Concordia Et Pax, realtà attraverso la quale Boscarol si è fatto «continuo ricercatore di sentieri di riconciliazione». «Una tensione positiva nata con Renzo negli anni ’60 e che lui incarnava e faceva propria nella realtà» commenta Miccoli che ha pure menzionato l’impegno del sacerdote nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Gorizia e nel Centro Studi Rizzatti che è stato «una fucina di pensiero».

«Mi vanto di essere stato amico di Renzo perché l’amicizia è importante per l’equilibrio psichico fra confratelli» ha esclamato don Giovanni Sponton, parroco di Sagrado e per 8 anni cappellano con monsignor Mario Virgulin a Ronchi. Don Sponton ha ricordato gli anni della formazione in seminario, momenti di vita pubblica e privata, i «pugni sul tavolo di Renzo, quando eravamo nascosti nella torretta del seminario dove Renzo lamentava: “Qui ci insegnano a diventare falsi, falsi e falsi!”». Poi le riviste che entravano di nascosto in seminario – “Il Regno” e “Rocca” – il ricordo di don Pucchio e – sempre arrivato in segreto – il libro “Concilio Aperto” di Mario Gozzini che don Renzo riempiva di sottolineature a matita. E ancora: il fanatismo per la Juventus, il sostegno al Ronchi Calcio che lo vedeva «aggrappato alla rete», i ritagli di giornale di cui il suo ufficio era pieno, l’essere «un irriducibile lavoratore notturno» fino ad arrivare al ricordo degli affetti familiari: suo padre Giovanni e sua sorella Gabriella.

«Renzo non amava le corsie degli ospedali – aggiunge Sponton – dov’è poi finito quando si è ammalato di Covid che lo colpì duramente. Un’anestesista di Sagrado mi teneva informato. Mi chiamò due volte. La prima, mi disse: “Il tuo amico sta peggiorando”. La seconda, affermò: “Il tuo amico ha poche ore di vita”». Profondo e intimo anche l’intervento della collaboratrice parrocchiale Fiorella Huala che ha raccontato il prete «traghettatore dopo don Mario a San Lorenzo», l’uomo che «non lasciva nessuno a mani vuote», dell’accoglienza nell’ex casa della sagrestana Mariucci dove ora sono ospitate delle famiglie, spesso, di fede musulmana. «Le famiglie con bambini erano il suo sogno di accoglienza – racconta Fiorella – quando i piccoli oggi giocano sul sagrato della chiesa, il loro saluto è per me quello di Renzo».

Non sono mancati i riferimenti all’impegno per la formazione giovanile nell’associazionismo, nella politica e nella professione giornalistica. Catechista e insegnante, è stato pure quel «buon pastore che è venuto a cercarmi per farmi ritornare all’ovile come la pecorella smarrita dopo il mio allontanamento dalla Chiesa quando avevo messo la mia Fede nel cassetto» conclude Huala. Il focus sul “Renzo giornalista” è toccato al collega Maurizio Calligaris che accolse il don nella redazione goriziana di via Diaz del Messaggero Veneto. «Don Renzo aveva tre difetti: era un giornalista vero a tutto tondo, era un giornalista scomodo ed è riuscito a “mandare a quel paese” direttori ed editori di giornali senza rinunciare alla sua autonomia».

«Bastian contrario – precisa Calligaris – era una roba seria esserlo, non mollava. Ha fatto la gavetta con noi. La gavetta che oggi resta una discriminante. Oggi i ragazzi escono dalle università, sono bravissimi, sono preparati ma fanno difficoltà a trattare la notizia». «Troppo spesso sono destinati ad essere impiegati di lusso della notizia, invece devono saperla trattare ed affrontare – conclude – la gavetta non basta. Avere la notizia prima degli altri deve essere un orgoglio». In chiusura d’incontro, il caporedattore Giovanni Di Santo di “Segno nel Mondo” ha ricevuto dal presidente diocesano di Ac Paolo Cappelli, un riconoscimento in ricordo di questo testimone di vita.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione

×