Ronchi ricorda don Renzo Boscarol: «Il dono di sé, la sua ragione di vita»

Ronchi ricorda don Renzo Boscarol: «Il dono di sé, la sua ragione di vita»

LA MEMORIA

Ronchi ricorda don Renzo Boscarol: «Il dono di sé, la sua ragione di vita»

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 04 Mar 2024
Copertina per Ronchi ricorda don Renzo Boscarol: «Il dono di sé, la sua ragione di vita»

Parroco a Ronchi dal 2000 al 2020, ha fatto del perdono, non l'eccezione, ma la regola. Sarà ricordato giovedì 7 marzo alle 19 a San Lorenzo.

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Sono passati tre anni dalla scomparsa di don Lorenzo Boscarol. Il sacerdote e giornalista di Ronchi sarà ricordato giovedì 7 marzo alle 19 con la celebrazione di una santa messa nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire. Si vivrà un momento importante per le comunità parrocchiali della città e del decanato monfalconese che si stringeranno attorno alla sua famiglia, con fede, nella preghiera.

Ordinato nel 1968 ad Aquileia, don Renzo ha saputo fare sempre quel "passo in più del necessario" in una comunità, quella ronchese, che ha saputo esprimere quel "chi accoglie voi, accoglie me" contenuto nel Vangelo che è stato il vero progetto della sua vita e diventato poi della sua gente. Il sacerdote ha vissuto nella prospettiva del donare tutto senza remore. Ha amato di più, non solo "facendo cose", ma testimoniando l'amore insieme alle persone che ha incontrato e con cui ha lavorato.

Don Boscarol è stato un prete incarnato in una realtà che ha risposto bene alla sua vocazione. Non ha guardato a carriere o grandi risultati. È stato in grado di poter contare su "viscere capaci di generare vite". Uomo dall'immedesimazione significativa nella vita quotidiana, don Renzo è stato anche un parroco impegnativo ma con tante qualità sentendosi prima di tutto parte di un popolo che si è saputo identificare come "stirpe eletta, sacerdozio regale, una nazione santa".

Quest'ultima è una frase che si può definire pragmatica della sua vocazione fiorita nella Chiesa che lui stesso definiva «non come la società dei Cristiani perfetti, ma una comunità di cui non si può fare a meno». Quella comunità dove, come sacerdote, ha fatto del perdono, non l'eccezione, ma la regola. Don Renzo ha dato testimonianza dell'accoglienza non solo "se si poteva", ma sempre, pur trovandosi di fronte a più di qualche difficoltà.

"Figlio del Concilio Vaticano Secondo", lo ha vissuto come un sacramento e non come un puro senso di appartenenza. Ne ha fatto occasione di approfondimento continua attraverso la potenza della testimonianza. Don Boscarol ha insegnato a voler bene all'umanità considerandola una scoperta continua e vivendola come identità di una società che ha sollecitato continuamente a liberarsi dalle paure e che ha esortato ad aver coraggio.

Sempre, ma sopratutto da parroco nella comunità dov'è nato, ha difeso donne e uomini da ogni mancanza di carità, da ogni chiusura e da ogni strettoia. Un uomo che ha saputo tendere e tenere la mano senza mai "cercare nuove posizioni o qualifiche ufficiali". Ha espresso e custodito la buona tradizione del clero Goriziano, una tradizione fatta di tre elementi per lui certi: aprirsi agli altri, incoraggiarsi e donarsi. Don Renzo non ha mai pensato di ritirarsi nonostante quelle che lui chiamava «le mode passeggere dei manager della pastorale», un aspetto che peraltro non l'ha mai meravigliato né spaventato.

Fedeli, parenti, confratelli e amici lo ricorderanno come una presenza continua e indicativa capace di mettersi in discussione, di aiutare e di insistere sul superamento delle divisioni. Mente giovane proiettata verso il futuro della chiesa e della società, ha vissuto con coraggio e forza su una strada fatta di non troppi accomodamenti. Una via dove spesso ha tirato dritto per vivere un'esistenza compiuta all'interno del dono totale e dell'amore. Il 7 marzo allora, verrà così ricordato un uomo degno che ha fatto del dono di sé, la sua ragione di vita.

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