le esperienze
Romans, come accogliere minori stranieri e cosa fare per diventare tutore
Ieri mattina l'incontro in Casa Candussi Pasiani per sensibilizzare le persone sulla tutela dei minori stranieri. Ecco come si può diventare tutori.
La strada è lunga. Impiegano anni, prima di raggiungere l’Italia. A volte le scarpe gli vengono rubate dalla polizia di frontiera, e allora tornano indietro scalzi, finché non passano al di là, alla ricerca di un futuro migliore. Un tentativo ripetuto, che per sdrammatizzare viene chiamato “game”, nonostante vengano respinti e pestati cinque o sei volte. Si è svolto ieri – presso la Casa Candussi Pasiani di Romans d’Isonzo – l’incontro “Prendersi cura”, volto alla sensibilizzazione della cittadinanza sulla tutela dei minori stranieri.
«Il tutore è un comune cittadino che si dedica al minore straniero non accompagnato, privo di figure parentali di riferimento – spiega Valentina Masotto, responsabile Unicef del progetto a supporto dei tutori volontari - Il titolo del “Prendersi cura” fa riferimento al dovere morale che abbiamo di accompagnarli verso l’età adulta». Una transizione triplice, che oltre ad accompagnarli verso la maggiore età li assista nel distacco dal proprio paese di origine, e nel superamento dei traumi vissuti durante il lungo viaggio.
Ferite invisibili che affrontano nel paese di origine, durante il transito e infine all’accoglienza. La legge Zampa - che risale al 2017 – prevede un tutore nominato dal presidente del tribunale per minorenni. Ma come si diventa tutore volontario? «Non è necessario avere un particolare titolo di studio, è sufficiente avere 25 anni, parlare la lingua italiana e non avere carichi pendenti sul casellario giudiziario – spiega Paolo Pittaro, Garante regionale per i diritti della persona - Si segue un corso online, strutturato in tre moduli, per ciascuno dei quali è obbligatorio frequentare il 75% delle attività».
A conclusione di ciascun modulo, sarà rilasciato un attestato, consentendo il completamento dei moduli anche in tempi successivi, senza necessità di seguire un nuovo corso. L’importanza del tutore non è soltanto legale, ma anche utile a «promuovere il benessere psico-fisico del minore», alla luce del passato tragico attraversato, accompagnandolo in una prospettiva futura. Un compito dove il tutore non resta solo, in quanto supportato dalla comunità, dalla questura e dalle istituzioni scolastiche. «Purtroppo si tratta di una funzione non retribuita – ma ciò che si riceve in cambio sul piano umano è di gran lunga superiore», rimarca Pittaro.
«Quando arrivano i nominativi dei minori presenti in regione, li abbino ai tutori – spiega Lucio Prodam, giudice onorario al Tribunale di Trieste, delegato dalla presidente alla nomina dei tutori volontari. In questo momento, a causa del numero enorme di arrivi, non tutti i minori avranno un tutore, ma soltanto un terzo può fruirne. Per due motivi: il primo è perché mancano i tutori. Se affido due minori, quel tutore ci lavora fino a un anno. Secondariamente, a molti mancano pochi mesi al raggiungimento della maggiore età, quindi diventa inutile affidargli un volontario».
«Sono costretto a compiere delle scelte, o minori molto piccoli, o coloro che hanno maggior urgenza, e l’urgenza in questo momento è rappresentata dalla commissione per il diritto di asilo. Sia quella di Udine che di Trieste non sente i ragazzi in udienza se non con un tutore accanto. I primi che cerco di aiutare sono quanti hanno fatto domanda di asilo politico, per i quali è estremamente importante sentire la commissione da minorenni e non attendere la maggiore età», rimarca Prodam.
A compiere un passo indietro è stato invece Federico Donelli, docente presso la facoltà di Scienze politiche e sociali all’Università di Trieste. Secondo il quale le migrazioni «sono diventate problematiche quando sono nati concetti come “stato”, “nazione”, “cittadinanza”, “confine”». Un fenomeno inarrestabile, che è sempre esistito. «I fattori che spingono a migrare non sono solo conflitti. È un errore, pensarlo», spiega. La vulnerabilità dei paesi viene evidenziata da condizioni di vita essenziali. Paesi che spesso hanno vissuto esperienze coloniali, «non finalizzate allo sviluppo del luogo, ma del dominante». Dove gruppi etnici creati dalle potenze coloniali erano utili a meglio amministrare le colonie.
Una realtà oggi deteriorata dall’aumento della temperatura globale di circa un grado e mezzo, che negli anni comporterà fenomeni disastrosi. Dalla desertificazione agli incendi – ai quali la nostra stessa regione ha dovuto assistere impotente - la riduzione delle risorse disponibili accentuerà i fenomeni migratori, innescando rivalità etnico-tribali e rafforzando il terrorismo. Di qui l’importanza delle “rimesse”, denaro inviato al paese di origine, in grado di sostenere l’economia su scala locale.
Dal canto suo Morena Maresia - restauratrice alle Belle arti oltre che educatrice socio-pedagogico a Udine – ha ribadito l’importanza di tutelare il patrimonio culturale. La necessità è «prendersene cura per lasciarlo in eredità ai futuri cittadini», in quanto «le comunità si riconoscono nei valori del patrimonio culturale». Il documentario “Porte e portali” realizzato con la partecipazione di minori stranieri e ragazzi delle scuole superiori, dimostra come l’appartenenza a un gruppo di riferimento rappresenti «un’esperienza in grado di salvare la vita».
Il viaggio prosegue con Francesco Zanuttin, referente di Donk e Duemilauno agenzia sociali. Dalla Bosnia fino a Trieste i migranti si procurano ferite, infezioni, gastroenteriti causate dall’acqua non potabile ingerita. Una sorta di interminabile “Voyage au bout de la nuit”, una discesa agli inferi senza fine né speranza. «Nelle ultime due settimane ne ho visti cinque, con ferite da arma da fuoco o bomba – racconta Zanuttini. Gli afghani sono in maggioranza. A preoccuparci non sono tanto le ferite visibili, quanto il contesto sociale di provenienza. Avete presente “Il cacciatore di aquiloni”? Sono ragazzi che subiscono persecuzioni etniche. Anche i pashtun subiscono la vendetta dei talebani».
Nel momento in cui i talebani hanno ripreso il controllo del territorio, hanno dichiarato guerra a quanti hanno appoggiato l’amministrazione americana. Ragazzi in fuga perché non hanno un futuro. «Quest’anno sono 250, i giovani afghani. Il 60% di loro ha subito violenza durante il viaggio, il 30% prima, il 22% sia prima sia durante». Un’adolescenza bruciata fra campi profughi e lavoro nero, per un viaggio che in media dura sei anni. «Sono i nuovi europei, che dobbiamo aiutare. Se il processo d’integrazione fallisce avremo un nuovo problema», riflette Zanuttini.
A coronare l’incontro, gli artisti Manuel Grosso e Ambra Marega hanno illustrato la straordinaria opera realizzata in sei mesi di lavoro dai ragazzi di “Ad formandum” di Gorizia. Un’opera di quattro metri per un metro e settanta, interamente creata da una decina di ragazzi di provenienza geografica diversa, «con bagagli culturali ed emotivi differenti». I quali hanno portato alla luce la magia racchiusa in ciascuno, distillando su tela i colori del cibo attraverso la lente dell’arte. In chiusura, a raccontare la propria esperienza sono stati due tutori e il minore Bleron, cui è seguito l’intervento del sindaco Michele Calligaris. «Io stesso sono stato nominato tutore, in passato. Uno straordinario momento di formazione, che ho cercato di svolgere al meglio».
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