Rivolte e potere, il Patriarcato di Bertoldo protagonista del Medioevo in Italia

Rivolte e potere, il Patriarcato di Bertoldo protagonista del Medioevo in Italia

B di Bertoldo

Rivolte e potere, il Patriarcato di Bertoldo protagonista del Medioevo in Italia

Di Vanni Feresin • Pubblicato il 14 Feb 2021
Copertina per Rivolte e potere, il Patriarcato di Bertoldo protagonista del Medioevo in Italia

Viaggio nel Friuli del Medioevo, terra di imperatori, papi e moti che segnarono il trentennio del Patriarcatodi Aquileia.

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Bertoldo di Merania era figlio di Bertoldo IV di Andechs, duca di Merania e marchese d’Istria, uno dei principi più potenti dell’Impero. La famiglia dei conti di Andechs aveva esteso man mano, durante l’XI secolo, la sua potenza su molti paesi della Baviera, della Franconia, del Tirolo, della Carinzia e dell’Istria ed aveva ottenuto la dignità ducale nel 1180. Mechtildis, sorella di Bertoldo IV e zia di Bertoldo [futuro patriarca], era andata in sposa in seconde nozze ad Enghelberto III conte di Gorizia. Quindi Mainardo, il giovane figlio di Enghelberto, si trovò primo cugino del patriarca.

I fratelli e le sorelle del futuro patriarca Bertoldo ottennero posizioni dominati nello scacchiere europeo: Ottone VII successe al padre nel Ducato e nel 1208 fu creato conte palatino di Borgogna. Enrico divenne marchese d’Istria ma ne fu spogliato dall’imperatore Ottone IV; Edvige andò in sposa a Enrico duca di Slesia e Polonia, e fu proclamata santa; Agnese divenne moglie di Filippo Augusto re di Francia, si separerà da lui per ordine del papa nel 1200; Gertrude andò in moglie al re d’Ungheria e fu la principale attrice della nomina di Bertoldo alla sede patriarcale di Aquileia.

Bertoldo era divenuto preposito di Bamberga, poi vescovo di Calocsa per volontà di sua sorella la regina Gertrude, ma il Papa non gli concesse il pallio per la giovanissima età e perché non conosceva a sufficienza le lettere. Vista questa situazione singolare il Papa inviò per una verifica del candidato il vescovo di Salisburgo ma questi in due missive affermò che Bertoldo “sapeva leggere speditamente il testo e tradurlo bene nel suo idioma, e che sapeva rispondere convenientemente sulla costruzione grammaticale”, un milite suo aio assicurò che Bertoldo aveva già più di 25 anni e li dimostrava nella statura e nel corpo.

Ma il Pontefice non confermò la nomina al re e chiese che Bertoldo studiasse la teologia e il diritto canonico e solo quando fosse cresciuto in età, scienza e coscienza allora si sarebbe meritato la promozione. Il 24 dicembre 1207 i canonici di Calocsa rinnovarono la postulazione e questa volta il Papa acconsentì a nominarlo vescovo. Il 27 marzo 1218 papa Onorio III nominò Bertoldo patriarca di Aquileia ma il neoeletto presule entrò in Friuli solo nell’agosto di quell’anno. Le cronache raccontano che aveva circa 37 anni ed era anche un “pulcher homo” ed ebbe modo di dimostrare queste sue doti di energia, intelligenza e destrezza, infatti, per ben trentatré diresse le sorti del grande patriarcato di Aquileia.

Dalle cronache del primo anni di patriarcato

Il 5 settembre 1219 il patriarca Bertoldo nelle vicinanze di Udine, presso la chiesa di Campoformido, investì Federico di Porcia di tutto il feudo che teneva dalla chiesa di Aquileia, nello stesso modo che lo avevano tenuto i suoi antenati specialmente a Porcia e Brugera. Il tutto alla presenza dei nobili Federico di Caporiacco, Artuino di Strassoldo, Aldrico di Polcenigo, Odolrico di Cuccagna, Bertoldo di Tricano, Capolitro di Sacile, Albertino di Montereale.

Domenica 15 settembre 1219, nel palazzo del Consiglio di Treviso, alla presenza di Ezzelino da Romano, del conte Rambaldo di Collalto, di Guido avvocato, di Guercio Tempesta e di alcuni consoli, tutti vassalli del patriarca, si costituirono cittadini di Treviso. Era una rivolta in piena regola tanto più pericolosa perché i vassalli avevano castelli posti nei punti più diversi del Friuli ed in posizioni assai sicure. In tanta difficoltà Bertoldo invocò l’intervento del pontefice Onorio III che ordinò ai ribelli di stare ai patti, ma ciò non venne ascoltato e scoppiò la guerra.

Bertoldo il primo febbraio 1220 si presentò a Treviso
insieme al vescovo di Trieste Corrado, suo fidatissimo alleato, con Enrico arcidiacono di Aquileia, il canonico Filippo preposito di San Pietro in Carinzia e con un considerevole numero di ministeriali. Le cronache narrano che

“essendo i Trivigiani alleati coi Veneziani, il patriarca si alleò coi Padovani e si fece cittadino padovano, ed in segno di ferma cittadinanza fece a sue spese edificare a Padova palazzi grandi ed assai belli, e volle porsi cogli altri cittadini di Padova in coltam sive dachyam. Ed allora incominciò a mandare, ed anche oggi [1260 circa] manda, ogni anno dodici dei suoi migliori militi, i quali giurano al principio di ogni nuova podesteria i capitoli del podestà a nome del patriarca e proprio. Vedendo questo il vescovo di Feltre e Belluno, fece anch’egli altrettanto… Poiché dunque allora i Trivigiani invasero come nemici alcune terre del patriarca, l’esercito padovano andò a Castelfranco, terra dei Trivigiani. Ma trovato l’esercito Trivigiano in città, l’esercito padovano si fermò là pochi giorni. Questo avvenne quando era podestà di Padova Bernardo Barone nel 1220”.

Il trattato che il patriarca fece allora coi padovani è dell’11 settembre 1220 e fu redatto a Padova nella sala del maggior consiglio, quando i padovani dovessero incorrere nella guerra il patriarca li avrebbe supportati con 50 militi per tre mesi all’anno, finché durerà la guerra. In cambio il patriarca chiede aiuto ai padovani nel Friuli per quanto concerne la parte di Padova. Certamente l’alleanza dei trevigiani con Venezia non impedì una buona amicizia di questi con il patriarca di Aquileia.

23 ottobre 1219 ad Annone in domo communis, vi era questione per certi possessi dell’abbazia posti in Erbasecca. Il patriarca nominò suoi compromissarii: Leonardo di Udine e Rodolfo di Ariis, Warnerio di Gruaro e Viviano di Lorenzaga e fu deciso che l’abate rinunciasse a quei possessi e che entro un anno il patriarca gli assegnasse un compenso. E così fu fatto infatti l’11 aprile 1220 a Bagnarola, i quattro delegati stabilirono che l’abate avesse in cambio le 63 collette sui mansi e così ebbero fine le discordie che avevano resi difficili i rapporti tra abbazia e patriarcato.

Nell’agosto del 1220, Federico II si mise in viaggio verso l’Italia e, seguendo la valle dell’Adige, da Bolzano fu a Verona il 13 settembre di quell’anno. Il patriarca Bertoldo gli mosse incontro da Padova e già il 17 settembre era presente nel campo imperiale presso il lago di Garda, poi il 21 settembre a Gode nel mantovano insieme al vescovo Giordano di Padova. Bertoldo e l’Imperatore scesero a Bologna il 5 ottobre, dove Federico II intimò al patriarca e ai trevigiani di mantenere la tregua sotto pena di mille marche d’argento fino al 6 gennaio del 1221. Bertoldo continuò il viaggio con Federico II prima a Faenza, poi a Forlì, quindi a Rimini il 30 ottobre.

Nella città di Rimini, l’Imperatore ordinò al podestà del comune di restituire il monastero di Sesto al patriarca che si era lungamente lagnato per questo ingiusto furto e il comune dovette anche pagare i danni subiti. Bertoldo seguì Federico fino a Roma e assistette all’incoronazione dell’Imperatore avvenuta il 22 ottobre 1220. L’imperatore il 27 novembre a Sutri (Bracciano) confermò con documento a Bertoldo il ducato e la contea del Friuli, la villa di Lucinico, le regalie dei vescovadi dell’Istria, di Concordia, e di Belluno, le abbazie di Sesto, Pero e S. Maria in Organi e tutti gli altri possessi della sua chiesa, ripetendo quasi alla lettera il documento da lui rilasciato al patriarca Wolfger il 22 febbraio 1214.

Bertoldo non era ancora soddisfatto di questo riconoscimento solenne, infatti, il 6 dicembre a Tivoli l’Imperatore determinò ancora una volta i diritti feudali di Bertoldo nel patriarcato:

“se il patriarca nelle sue città, castella e luoghi, dove ha giurisdizione, avrà fatto ordinamenti per le vendite sul mercato, questo dovranno essere immutabilmente osservati; il patriarca può bandire e disbandire chiunque nella giurisdizione; le città, castella e ville soggette al patriarca non possono di propria autorità eleggere podestà, consoli o rettori, senza la volontà del patriarca; nessuna città, comunità, università, chierico o laico, dove ha giurisdizione il patriarca, dopo la morte del vescovo, può intromettersi nell’episcopato o nelle cose dell’episcopato; a nessuno è lecito stabilire tributi, monete, mercati nel territorio di giurisdizione del patriarca senza la sua volontà; nei fiumi navigabili o nelle altre acque nessuno può costruire mulini, senza la sua volontà; nessun gastaldo od ufficiale può manomettere, vendere i debitali, o alienar vigne, campi, prati, vie od altre cose pertinenti alle regalie senza suo permesso; i Veneziani non potranno rendere censuale una terra patriarcale, né alcun altra cosa, né costringere gli uomini a giurar loro fedeltà; nessuno posto sotto la giurisdizione del patriarca, di qualunque condizione esso sia, libero, vassallo o ministeriale, può fare cospirazione o congiura senza consenso del patriarca; se fu fatta sarà annullata, e chi si opporrà sarà proscritto; nella giurisdizione del patriarca nessuno può fondare di nuovo, città, castelli, mercati senza il suo consenso”.

La ribellione dei trevigiani si protrasse fino all’anno successivo infatti papa Onorio III inviò il cardinale Ugolino a fare da mediatore le due posizioni. Il 17 luglio 1221 i cittadini trevigiani giurarono che si sarebbero attenuti alle decisioni del legato pontificio. Il patriarca Bertoldo seguì il cardinale Ugolino fino a Bologna e il 28 luglio di quell’anno nel palazzo vescovile incontrò i vescovi di Torino, Bologna, Como, Padova e Treviso per sentenziare su una questione inerente Piacenza. Nel frattempo le due parti presentarono al cardinale i propri memoriali e il 30 settembre il cardinale emise la sentenza definitiva davanti al vescovo di Ravenna, a quello di Bologna e Imola, nonché dinanzi a moltissimi ecclesiastici e giurisperiti.

Il cardinale stabilì che tra patriarca, padovani e trevigiani doveva conservarsi pace perpetua. Riconobbe al patriarca i monasteri di Pero, Medadis, S. Paolo, Caneva e altri luoghi dal Livenza, dal monte al mare sino al ducato di Merania, in tutto il Friuli, e confermò il giudizio pronunciato nel 1193 dal podestà di Verona e dai consoli di Mantova. Impose ai trevigiani di restituire quanto tolto al patriarca entro trenta giorni e di liberare i friulani ingiustamente imprigionati entro venti giorni. Ciò diede fine alle lotte e salvò il patriarcato dalla sua fine, fiaccò la nobiltà friulana che si strinse ai ministeriali per partecipare delle loro ricchezze e onori e un’era di pace e prosperità si aprì per il Friuli.


Nell'immagine: Bertoldo di Merania in un dipinto nella Sala del Trono nel Palazzo Patriarcale di Udine.

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