Milani porta la lezione di Gigi Riva a Gorizia, «il cinema deve raccontare queste storie»

Milani porta la lezione di Gigi Riva a Gorizia, «il cinema deve raccontare queste storie»

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Milani porta la lezione di Gigi Riva a Gorizia, «il cinema deve raccontare queste storie»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 20 Mag 2024
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Un progetto nato ben 23 anni fa, quando Milani era agli inizi della propria carriera cinematografica. Il racconto di quei mesi passati insieme.

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Il nome Rombo di tuono venne coniato da Gianni Brera, descrivendo il suo portentoso tiro. Per chi lo ha visto giocare tra gli anni Sessanta e Settanta, Gigi Riva era uno dei miti assoluti del calcio italiano, avvolto da quell'alone di riservatezza che lo ha sempre contraddistinto. Un velo che il regista Riccardo Milani è riuscito a squarciare, facendo parlare lo stesso Riva davanti alla telecamera di sé, della Sardegna che lo adottò a 19 anni e di quegli anni trascorsi con la maglia del Cagliari coronati dall'unico scudetto conquistato sull'isola. Una storia che martedì 21 maggio arriverà a Gorizia, al Kinemax.

Milani sarà infatti ospite all’èStoria Film Festival per presentare il suo docu-film "Nel nostro cielo un rombo di tuono". La proiezione, prevista per le 20.30 al Kinemax, sarà a ingresso gratuito e vedrà la partecipazione anche del figlio del defunto campione, Nicola Riva, con il giornalista sportivo Giampaolo Mauro. Un progetto, in realtà, nato ben 23 anni fa quando Milani era agli inizi della propria carriera cinematografica. «Sono riuscito a incontrarlo nel 2001 - racconta il regista - ma solo nel 2021 mi chiamò per dirmi che era arrivato il momento di girare il film».

Come è nata l'idea di realizzare un'opera su Gigi Riva?
L'idea è nata nel 2001, anno in cui sono andato a conoscere Gigi perché volevo fare questo film. Lui è stato una costante nella mia vita, un riferimento non solo sportivo ma anche etico e morale. Era un uomo di grande moralità e alti principi, un esempio di come si possa scendere in campo con voglia di vincere e senso di appartenenza. Nel 2001 facevo già il regista e desideravo tramandare la sua storia. Così sono andato a Cagliari, dove avevo già degli amici, e sono riuscito a ottenere un appuntamento con lui. Ho incontrato il mito della mia vita e, dopo avergli raccontato cosa volevo fare, ha detto che ci avrebbe pensato. Nel 2021 ha finalmente deciso che era arrivato il momento.

Qual è stato il rapporto tra voi durante la lavorazione del film?
Servizi su Gigi ne erano stati fatti tanti, ma io volevo che ci fosse lui dentro. È stata la storia di un film, ma anche di un'amicizia di cui era difficile fare a meno. Sono stati anni meravigliosi e perdere Gigi è stato un dolore enorme, come dire addio a una persona di famiglia. Gigi era un uomo fatto di silenzi, parlavamo ma a volte rimanevamo anche in silenzio. Ora non averlo più è un dolore e andare in Sardegna ha il sapore di un vuoto. Quei valori lì non vanno dimenticati e il suo popolo non l’ha fatto. I suoi funerali sono stati un evento di popolo enorme.

Come ha affrontato la sua riservatezza durante le riprese?
Per lui, il mondo esterno erano i suoi compagni di squadra, la sua famiglia e il popolo sardo. Non aveva bisogno di alcun clamore ed era sempre rimasto un passo indietro. La difficoltà stava nel catturare la latenza di un uomo che ha fatto della riservatezza la sua filosofia di vita. Si è fidato di me perché ha percepito sincerità e onestà nelle mie intenzioni. Volevo che fosse lui a parlare e a raccontare la sua storia. La nostra troupe era composta da circa trenta persone e avevamo timore di dargli fastidio, ma alla fine si è adattato. Dovevamo stare solo un giorno, ma siamo rimasti molti di più. Alla fine abbiamo fatto anche una festa. Il giorno della prima a Cagliari non lo dimenticherò mai, è stata la più emozionante della mia vita. Erano tanti anni che lui non vedeva la sua gente e si è commosso a rivederli.

Quale messaggio principale emerge dal film?
Il film racconta un pezzo di storia tra un uomo e la sua terra, inclusa la trasformazione della Sardegna, una storia che è cambiata anche dopo lo scudetto. Si racconta anche la visita del Papa, avvenuta poco dopo la vittoria di quel campionato (il 24 aprile 1970, ndr). Prima, la Sardegna era considerata una terra di punizione. È ancora doloroso rivedere il film, ci ho provato ma non ce l’ho fatta. Forse a Gorizia sarà la prima volta dopo tanto.

Qual è il ruolo del cinema nel raccontare storie come quella di Gigi Riva?
C’è necessità di raccontare la storia del nostro Paese, anche attraverso figure del calcio. Lo sport include aspetti economici, etici e di condivisione. Si può mettere in discussione perché oggi il cinismo impera nella società, ma la storia va raccontata e il cinema deve farlo. A volte è più facile assorbire una storia da un film che dalla didattica. Il cinema può e deve raccontare queste storie.

Come vede il contrasto tra l'apparire, in particolare nel calcio moderno, e i valori rappresentati da Riva?
Oggi l’apparire è tutto, non solo nel calcio. Riva è stato l’esatto contrario: apparire solo per il proprio valore. Si può andare oltre l’immagine e costruirla con i valori in campo. Gigi aveva un pensiero e valori importanti che ha coltivato, anche senza la velleità di essere un maestro, in relazione al calcio e alla vita in generale. La sua è stata una lezione etica altissima.

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