l'intervista
La regista Bianca Stigter super ospite a èStoria: «Io, Steve McQueen e Amsterdam»
Giovedì la regista presenterà al Kinemax la sua opera divisa in due parti, girato con il marito Steve McQueen e premiato al Festival di Cannes.
Le biciclette poggiate alle balaustre dei canali, dove i tetti in stile “gambrel” dei palazzi di mattoni si riflettono nell’acqua scura. Sull’uscio di casa ci si distende a prendere il sole, all’esterno di una delle tante chiatte galleggianti ormeggiate lungo l’Amstel, il fiume che ramificandosi crea centinaia di canali attraverso la città di Amsterdam. È in questa città, un tempo cuore del commercio e oggi simbolo di tolleranza e libertà, che nasce nel 1964 la giornalista, storica e regista Bianca Stigter.
È il 2021 quando dirige il documentario “Three minutes – A Lenghtening” acclamato dalla critica, una dilatazione temporale dei tre minuti di corto girati nel villaggio di Nasielsk. Stigter sarà presente giovedì 23 maggio (alle 17 e 20.30) presso il Kinemax di Gorizia per presentare il “Occupied city” - ispirato al proprio atlante illustrato con storie di deportazione di famiglie ebraiche, di solidarietà, di nascondigli e tradimenti - lungometraggio premiato a Cannes lo scorso anno e girato insieme al marito Steve McQueen. L'appuntamento rientra nel programma dell'èStoria film festival.
Chi è Bianca Stigter, e che tipo di percorso hai seguito, per raggiungere questo risultato?
Ho studiato Storia, e fin da allora ho lavorato come giornalista culturale per il quotidiano NRC Handelsblad. Ho pubblicato tre libri, con saggi su ogni genere di arte e storia, dalla “Venere” di Willendorf alle sitcom americane. E nel 2021 ho diretto il documentario “Three minutes – A Lenghtening”. In un certo senso questo film può essere considerato l’opposto di “Occupied city”, in quanto utilizza solo filmati d’archivio. Mi sono lasciata affascinare da un frammento di tre minuti di riprese amatoriali, girato a colori in una piccola città della Polonia nel 1938 da David Kurtz, che io ho esteso per più di un’ora.
Qual è il messaggio nascosto nel libro e nel film?
Penso che non vi sia alcun messaggio nascosto. Tutto è in bella vista. Si tratta di un documentario molto aperto, che lascia allo spettatore il compito di stabilire collegamenti tra passato e presente, o di decidere che non esista alcun legame. Non ci sono soluzioni facili. Le persone devono ricordare, ma hanno anche il diritto di dimenticare.
Per quanto tempo avete lavorato al documentario?
Nel 2005 ho pubblicato una versione ridotta del testo originale. La versione integrale è stata pubblicata nel 2019, con molte più storie, ma anche più illustrazioni, immagini e mappe, realizzate interamente durante la guerra. Allora il progetto del film era già in corso. Le riprese e il montaggio hanno richiesto più di tre anni. Mentre più tardi ne arriverà una versione come opera d’arte.
Hai definito il tuo libro come una “Macchina del tempo sulla carta”. Libro e documentario possono essere considerati come una sovrapposizione fra passato e presente?
Se si tratta di una sovrapposizione è lo spettatore a deciderlo. L’idea di Steve era quella di considerare il passato come ciò che si può sentire e il presente come quanto può essere visto, con una miriade di connessioni possibili per collegare entrambi. Mentre scrivevo il libro lo pensavo come guida della città, non ambientata nel presente dell’hic et nunc, bensì nel passato, tra il 1940 e il 1945. E la cosa strana di Amsterdam, come città storica, è certamente il fatto che gran parte del centro appare come nel 1940. In qualche modo il passato è ancora presente.
Tu sei innanzitutto una storica. Come sei approdata al mondo del cinema?
Ho lavorato a lungo come critico cinematografico per il mio giornale. Nel 2014 al festival di Rotterdam mi chiesero di realizzare un video saggio. Quello che infine divenne “Three minutes – A Lenghtening”.
Vivi tra Londra e Amsterdam? Com’è Amsterdam, oggi, la ritieni una “città aperta”?
Ho vissuto ad Amsterdam tutta la vita. Non vivo a Londra, ma ci vado abbastanza spesso. Non credo di poter essere obiettiva, riguardo ad Amsterdam. È complicato! Ritengo sia una delle città più belle al mondo, in grado di togliermi il fiato.
Tuo marito ha ricevuto numerosi premi ed è un regista di fama mondiale. Che tipo di arte intende proporre, attraverso la macchina da presa?
Penso che scelga la forma che meglio si adatti alla sua idea di cinema, che si tratti di un lungometraggio, di un documentario oppure di un’opera d’arte. L’idea plasma la forma.
Foto Annaleen Louwes
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