l'intervista
Quei ragazzi di Branciaroli e Orsini a Gorizia, «il pubblico resta sbalordito e ride»

A quasi 80 anni di età, Franco Branciaroli ha dentro una forza incredibile e mercoledì sarà sul palco del Verdi, con Umberto Orsini, per I ragazzi irresistibili.
Classe 1947, a quasi 80 anni di età Franco Branciaroli (nella foto, a sinistra) ha dentro una forza incredibile. «A teatro si va per sentirsi feroci, cattivi, non buoni», commenta con convinzione. È uno dei pochi attori che non utilizzano il microfono per la dizione, perché «se la parola è urgente, non può essere pronunciata con la gola come quando si parla. La parola urgente va portata con il corpo, il diaframma, i polmoni». Assieme a Umberto Orsini (a destra) – 90 anni il 2 aprile – mercoledì porterà in scena al Verdi di Gorizia la brillante commedia di Neil Simon, “I ragazzi irresistibili”. Lo abbiamo incontrato al telefono, ed è stato come scambiare qualche chiacchiera con un vecchio amico.
Squarzina, Ronconi e infine Testori, col quale hai inaugurato il sodalizio al Teatro degli Incamminati. Chi fra questi ti ha segnato più a fondo?
Indubbiamente due di loro mi hanno segnato dal punto di vista della visione del mondo: Testori e Ronconi, uno autore e l’altro regista. Due grandi spiriti che sono riusciti a inquadrarmi dal punto di vista filosofico in merito alla visione del mondo. Perché? Non è facile sapere che senso ha quello che fai, molti vivono senza saperlo. Una delle cause della depressione odierna è proprio questa, il non sapere dove ci si ritrova e qual è il senso dell’esserci. Loro mi hanno aiutato a riflettere in tal senso.
Quest’anno è il centenario dalla nascita di Testori.
Con Testori ho lavorato ad alcuni testi in cui recitava anche lui. Poco tempo fa ho riproposto “In exitu”, però il personaggio è un ragazzo, fisicamente non lo reggo più. Lo lascio ad altri. “In exitu”, “Verbò”, e poi “Confiteor”, uno dei più belli. Sono testi che erano stati scritti per me, con prime mondiali.
Chi prendeva il sopravvento in lui: il poeta, il drammaturgo o il regista?
Lui era un autore. Gli spettacoli che riguardavano me erano monologhi scritti su di me, perché maneggiavo bene la lingua, essendo di quei luoghi. Quel miscuglio di suoni dell’infanzia. Sono nato a Milano, che è molto più piccola di Roma. Allora dentro Milano c’erano risaie e zone agricole. Convivevano industrie e agricoltura, e lì nasceva la lingua di Testori, suoni che univano le fabbriche con la campagna e le risaie, o le grandi distese di granturco. Ci arrivava anche il tram. Un’agricoltura urbana in cui le persone non erano emarginate, ma vivevano nei borghi. Nei testi senti l’agricoltura della cascina e al contempo l’industria.
Attore e regista. In quali panni ti senti più a tuo agio?
Non è questione di sentirsi a proprio agio. La regia è finta, noiosa. Devi essere molto rigoroso, e mi annoia. Un conto erano le grandi regie critiche, ma oggi resta il metteur en scène.
Dal “Peer Gynt” a “Spettri” di Ibsen, poi l’“Amleto” e il “Macbeth” shakespeariani. E ancora, il “Cyrano de Bergerac”, l’”Edipo re” di Sofocle, “Finale di partita” di Beckett… Cosa ti lasciano, dentro, questi giganti?
Questo non lo so, a volte penso che non lascino niente. Io non ricordo nulla. Ci sono attori che ricordano tutti i testi. Adesso devo riprendere “Il mercante di Venezia”, ho qui il copione, ma mi sembra di non averlo mai recitato. Ho fatto Macbeth. La componente che mi ha lasciato è la grande lotta per capire come va fatto, e non viene mai. Ma non ho appreso il dramma del potere. Come le tragedie greche, non ti entrano dentro facendo “Medea”. L’importante è comprendere perché agisce in quella maniera. Sei tu che porti la freccia su Medea.
Non è che il teatro istruisce perché vengono prodotti testi, istruisce nella misura in cui è necessario comprendere come interpretare. Ho impersonato Medea di Ronconi, il quale mi voleva far comprendere che non si tratta di una donna, ma di una divinità. Si è sempre vista come protofemminista, ma è una visione sbagliata. Essendo una divinità, la sua problematica non è la gelosia, ma l’essere un’assassina, una furia. Dalla civiltà caucasica entriamo nella civiltà greca, questo passaggio costerà sangue. Fugge sul carro del Sole perché l’assassinio è un sacrificio. Per far comprendere questo devi spazzare via l’idea che Medea sia una donna.
Tu hai lavorato anche con Antonioni per “Il mistero di Oberwald” (1980). Com’è stato, quest’incontro?
Il film orrendo, l’incontro interessante. Antonioni è stato uno dei più grandi cineasti a livello mondiale. E non capita tutti i giorni, d’incontrare artisti di valenza internazionale. Uno che a Hollywood viene ancora studiato, conosciuto in tutto il mondo come Fellini. In Italia il cinema è tutto teatro filmato. Con “Professione reporter” o “Zbriskie Point” capisci bene cosa vuol dire fare cinema. Mi ha fatto capire che non sono adatto per il cinema internazionale per il volto e i capelli, come Banderas. Infatti mi stirava sempre i ricciolini, ma aveva ragione.
Qual è la funzione del teatro?
Non esiste più. In una società come questa il cinema e il teatro sono insufficienti. Se cerchi “Guerra e pace” in una libreria, per esempio, è possibile che ti dicano che devono ordinarlo. In compenso hanno una valanga di libri scritti da donne giovani, perché le lettrici sono donne. Gli uomini non leggono. Ma sono libri scritti su indicazione delle case editrici, l’editoria è finanziata come il teatro. Angosciato dall’essere emarginato, il buon cinema e il buon teatro inseguono il prodotto di massa che funziona – come la Tv, la telefonia – È rarissimo avere un bel libro o uno spettacolo bello.
La missione del teatro? A volte capitano capolavori come questo, con un testo che viene direttamente dall’America, dove il teatro non è finanziato. Lì nasce Neil Simon - il Goldoni del Novecento – che ne “I ragazzi irresistibili” mette in scena la vecchiaia che avanza controbilanciata dall’ironia, in uno spettacolo in cui si ride da pazzi. E noi siamo due attori drammatici – uno di 90, l’altro di 77 anni – che recitano senza microfono. Il pubblico resta sbalordito e affascinato, sono sicuro che anche a Gorizia sortirà quest’effetto.
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