la recensione
Quelle pagine su Van Gogh, i suoi ultimi giorni tra luci e colori a Gorizia

Ieri sera lo spettacolo al Verdi di e con Marco Goldin, viaggio nei colori e storie del grande artista in un’immersione multisensoriale.
È andato in scena giovedì sera al Teatro Verdi di Gorizia "Gli ultimi giorni di Van Gogh", lo spettacolo teatrale di Marco Goldin tratto dall’omonimo romanzo edito da Solferino, scritto e impersonato dallo stesso regista. Grande il successo di pubblico, per una tournée iniziata come prima nazionale al Politeama Rossetti di Trieste, e che nella mattinata di oggi replica con gli studenti del capoluogo, grazie al patrocinio della Fondazione Carigo. La tournée, prodotta e distribuita da International Music and Arts di Carpi, propone sulla falsariga della precedente “La grande storia dell’impressionismo” un’immersione multisensoriale.
Lo fa raccontando le ultime settimane di vita del geniale pittore attraverso il connubio di musica, prosa, fotografia e quadri, che assicurano una fruizione dell’arte nell’accezione più alta del termine. La voce narrante di Goldin racconta con timbro accorato, appassionato, come un abbraccio che rincuora, la potenza dell’assoluto nel colore del pittore olandese, la sua capacità di “fondere il vedere, il sentire e il dipingere”. Conducendo per mano lo spettatore a immergersi fra quegli ulivi “grattati quasi da una specie di polvere argentata”, fra quei cipressi “belli come un obelisco egiziano che rappresentano la quintessenza della Provenza”.
Perché Van Gogh dipinge con la punta del pennello la luce e il vento con lo sguardo ai paesaggisti olandesi del Seicento, con il cuore ricolmo di commozione: “La mia tavolozza se la prendeva il mistral come una vela spiegata”. Ed ecco allora scorrere sullo schermo le tele dipinte a Chaponval, il villaggio dove lo attende il famoso Dottor Gachet ritratto in alcuni dei suoi dipinti più famosi, con i suoi tetti d’ardesia, i giardini, il fiume che scorre rigonfio come un cuore che trabocca. E poi le citazioni dei pittori giapponesi tanto amati, le serigrafie di Hiroshige che dipinge la pioggia.
Quello del regista e scrittore trevigiano è “uno spettacolo che in teatro racconta, con la magia di straordinarie immagini, l’atto conclusivo della vita del pittore più amato di sempre”, intersecando le musiche di Battiato ai quadri e alla Natura in movimento, permettendo allo spettatore un’esperienza immersiva restando comodamente seduto in poltrona. Il diario ritrovato è quel “quaderno un po’ lacero che sbucava dal cassetto del comodino” che l’autore immagina scritto dal pittore sul finire della sua vita, per essere ritrovato per caso da Arthur Gustave Ravoux, proprietario dell’Auberge Ravoux in cui Vincent vive ad Auvers-sur- Oise.
La stessa soffitta dove ha continuato a scrivere le famose lettere al fratello Theo. Ed è chiaramente con un occhio alle lettere pubblicate da Guanda che Goldin trae ispirazione. Ricreando l’atmosfera dei campi maturi e dei cieli in tumulto, del rumore assordante delle cicale e del verso spettrale dei corvi pochi istanti prima di abbandonare questo mondo. “C’è dentro di me la perfezione della vita. L’ho appresa attraverso la sofferenza, e solo questa mi pare la strada perché possa nascere la pittura. Sì, ho sofferto. Le mancanze, le assenze. Coloro che partono e non tornano più. Il vuoto, la tristezza e la malinconia. Il sospetto di perdere quasi la ragione".
"Eppure, dentro questo tempo pieno di dolore ha continuato a fiorire la vita. Con il suo scoppio di felicità, fragoroso e irrefrenabile quando dipingo in mezzo a un campo di grano”. A sorpresa lo spettacolo si conclude con una postilla, un’interrogazione sul rapporto del pittore con Dio. “E adesso? Adesso Dio dov’è?” Un’interrogazione che Goldin immagina per concludere una vita tanto intrisa di poesia e di immensità da risultare genio assoluto e indiscusso. È la sera della domenica 27 luglio del 1890, Vincent sale la scala che conduce alla sua soffitta, dopo essersi sparato un colpo di pistola.
Le stelle entrano dagli abbaini come una specie di grande coperta nella sera di Auvers. In questa stranissima lunga agonia Van Gogh parla a lungo con Theo, fino a esalare l’ultimo respiro “per scivolare via nelle maree, in poltiglia di farfalle”, in quelle pennellate che restano come patrimonio dell’umanità e che hanno cambiato la storia del mondo.
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