l'anniversario
Quella guerra che arrivò fino a Gorizia, 30 anni fa tornavano le armi sul confine
Nell'estate 1991, la città venne sconvolta dai colpi del conflitto. Il ricordo di quei momenti dalle parole dei sindaci sloveni.
Non fu solo l’eco degli spari ad attraversare il confine, in quei drammatici giorni di giugno. Le stesse pallottole, infatti, tagliarono di netto la frontiera posta a divisione tra Gorizia e Nova Gorica, tra il mondo occidentale e quello ancora formalmente legato al socialismo. Era il 1991, Tito non c’era più ormai da 11 anni e la federazione da lui costruita si stava avviando verso un decennio di disgregazione, iniziato con il plebiscito per l’indipendenza sancito da Lubiana nel dicembre dell’anno prima. Proprio nella città dove si è spento il Maresciallo, ironia del destino. La Slovenia aveva ormai deciso il proprio futuro, ma non tutti erano d’accordo.
L’obiettivo era chiudere i confini esterni sloveni, ma Belgrado trovò più resistenza del previsto. Fu tra il 28 e 29 giugno che scoppiarono i primi combattimenti fra l’esercito federale jugoslavo e le forze speciali slovene. I colpi partirono a Rožna Dolina, a pochi passi da Casa rossa, con i locali che distrussero due carri T-55 e recuperarono altri tre. Il bilancio di quegli scontri fu du quattro vittime: erano i tre occupanti di un carro armato dell’esercito federale ed un altro militare jugoslavo. Una cinquantina di militari si arrese e diverse decine furono i feriti fra l’esercito federale, alcuni dei quali vennero curati all’ospedale di Gorizia.
In questi giorni, cade l’anniversario dei 30 anni d’indipendenza della vicina repubblica, la prima a sfilarsi dalla Jugoslavia. “Oggi il nostro Paese è un membro dell'Unione europea - ha commentato il sindaco di Nova Gorica, Klemen Miklavič - è tra i migliori Paesi che sono passati da un sistema politico ed economico all'altro. Abbiamo avuto successo, ma c'è ancora modo di miglioramento e progredire. È importante tenere conto di quanto appreso nel precedente sistema: solidarietà, compassione e cura dei gruppi marginali e soprattutto senso di convivenza con la natura. Inoltre, voglio che ogni popolo esaudisca il suo desiderio e il suo diritto all'indipendenza e al suo Paese”.
Pochi giorni fa, durante la cerimonia in piazza Transalpina, lo stesso primo cittadino ha ringraziato i molti italiani che sono rimasti al fianco della Slovenia in quei momenti difficili e dopo. Dalla Guerra dei dieci giorni ad oggi, molte cose sono cambiate, a partire dal contesto amministrativo: le riforme per avvicinarsi alla Comunità europea sono passate anche dagli enti locali, dando vita a molti più comuni che in passato. Oggi se ne contano 212, a fronte dei 64 presenti a inizio anni Novanta. Tra quelli nati dopo l’indipendenza, c’è Šempeter- Vrtojba, costituito nel ’98. “In questi anni abbiamo vissuto un grande sviluppo a livello locale” spiega il sindaco Milan Turk.
Sottolinea come l’esperienza jugoslava sia stata una parentesi che aveva ormai fatto il suo tempo: “La cortina di ferro era caduta, la Slovenia ha colto la sua opportunità. È un momento della storia che non capita sempre alle nazioni, ce ne sono alcune ben più grandi di quella slovena che ancora oggi non hanno uno Stato”. In ogni caso, l’uscita di Lubiana fu anche agevolata dalla sua economia, già diversa rispetto al resto del Paese, aldilà di quella fetta legata al gioco d’azzardo: “Questo è un capitolo a parte - evidenza Turk - non è stata così importante. Abbiamo anche un’economia reale, che offre posti di lavoro e da da mangiare alle famiglie”.
Nella foto: i carriarmati jugoslavi al valico di Casa rossa (Peter Božič/Wikicommons)
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