Quel viaggio tra bellezza e dolore, Tullio Giordana a Gorizia: «Questo è il mio film»

Quel viaggio tra bellezza e dolore, Tullio Giordana a Gorizia: «Questo è il mio film»

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Quel viaggio tra bellezza e dolore, Tullio Giordana a Gorizia: «Questo è il mio film»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 24 Ago 2024
Copertina per Quel viaggio tra bellezza e dolore, Tullio Giordana a Gorizia: «Questo è il mio film»

Il regista ospite ieri sera al Kinemax per presentare il suo ultimo film La vita accanto: «Un Paese che trascura la propria memoria è condannato a morte».

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Vicenza, anni Ottanta. Le acque che attraversano la città rispecchiano gli animi in tumulto, rinviando in un gioco di riflessi storie intersecate a leggende. È stato proiettato ieri sera presso la gremita sala del Kinemax di Gorizia l’ultimo capolavoro di Marco Tullio Giordana - “La vita accanto” – dal 22 agosto nelle sale italiane. Presente alla proiezione lo stesso regista, che si è concesso al pubblico per rispondere alle numerose domande. Tratto dal romanzo di Mariapia Veladiano e sceneggiato insieme a Marco Bellocchio con Gloria Malatesta, il film presenta un cast tutto veneto, con l’esordiente Beatrice Barison e la già nota pianista Sonia Bergamasco.

Insieme suonano divinamente il piano, in una pellicola travolgente dedicata alla regista e sceneggiatrice belga Chantal Akerman. «Aveva visto il mio primo film – confessa Giordana – Quando sua madre morì si tolse la vita. Avrei voluto farle vedere questo film, glielo dedico». Una produzione One art, Bc movie, Kovac film e Rai cinema, supportata da Veneto Film commission e con il patrocinio dalla provincia di Vicenza. «Bellocchio mi ha proposto di girare questo film, ma lo ha anche prodotto», rimarca il regista.

È l’inquieta Maria (la splendida Valentina Bellè) ad aprire la scena, il capo coperto da un velo bianco come una santa, un’aura di candore ad annunciare quei fantasmi interiori che la perseguiteranno. Con un gioco di flashback torniamo indietro alla sua corsa su per la grande scalinata del palazzo storico, quando annuncia la tanto desiderata gravidanza al marito e alla cognata. Subito dopo quel corpo allo specchio già le appare sgraziato, nonostante le eleganti vesti rosse che la cameriera la aiuta a indossare.

Maria sfiora le cuffiette e le culle con religiosa attesa e al contempo con vertiginoso senso di smarrimento, fino alla nascita della primogenita e alla scoperta dell’angioma a deturpare il volto della figlioletta Rebecca. Oscillando fra depressione post-partum e ossessione, il suo male interiore andrà via via acuendosi senz’alcun supporto psicologico a limitarlo, poiché negli anni Ottanta la depressione post-partum era ancora un argomento relegato in sordina. «Questo spiega come fossero tanto refrattari a condurla da uno specialista – chiarisce Giordana – Oggi s’interverrebbe prima, perché la sensibilità verso l’angoscia della maternità è recente». Un’ansia comune a molte famiglie, che affligge anche i genitori di sesso maschile.

«Ci si chiede se si sarà in grado di educare – prosegue - ma questo senso d’inadeguatezza è comune a tutti, credo sia una condizione umana». Incapace di uscire dall’angosciante spirale, Maria tenterà di proteggere la bambina finendo per rinchiuderla in una dorata gabbia asfittica. Il fiume scorre, mentre con un geniale parallelismo viene mostrata la bimba che inizia a gattonare verso la mamma che le rifiuta lo sguardo. Un dolore sordo, che spingerà persino una cameriera a licenziarsi, consapevole della «troppa sofferenza» che affligge Palazzo Monaci.

È il 1980, quando nasce la piccola Rebecca Macola, ma la sua vita scorre in silenzio fino al suo primo giorno di scuola, quando finalmente si confronterà con gli altri bambini. Qui incontra Lucilla, che diverrà sua amica dipingendosi di rosso la guancia in segno di accettazione di quella “diversità”. «La macchia rossa guasta, ma non rende mostruoso – specifica Giordano – Rebecca non avverte alcun problema, nel relazionarsi con gli altri. Sono gli altri, che se lo pongono. Lei sboccerà, salvata dalla zia, finché la macchia scompare. Si tratta di casi rari, ma può accadere». Una macchia metaforica da cui affiorano le ossessioni materne e i malesseri del branco dal quale subirà lo stupro di gruppo, ingannata da quello che avrebbe potuto essere il suo primo amore.

Un film onirico in bilico fra sogno e leggenda, dove l’inquietante favola di Villa Valmarana si sovrappone a quella triste della piccola Rebecca. «Questa scena, che era presente nel libro, mancava nella sceneggiatura di Bellocchio e Malatesta. La bambina si accorge che i nani si muovono, ma le stanno sorridendo. È come se stesse imparando ad accettare qualcosa della propria diversità». Cassa di risonanza degli stati d’animo dei protagonisti è la musica, strutturata fra repertorio classico – con Rachmaninov, Beethoven, Schumann – e la musica composta da Dario Marianelli, Premio Oscar per la miglior colonna sonora di “Anna Karenina”. Dove gli accordi di terza e di quinta suonati dalla piccola Rebecca sono il risultato delle note registrate di nascosto alla figlia di Marianelli ancora bambina.

Un film intarsiato da incomunicabilità e silenzi, in primis quelli dei personaggi maschili «più reticenti». Grande l’interpretazione di Paolo Pierobon, «talmente bravo che l’ho promosso ad attrice – rivela con ironia il regista – perché ha quella sensibilità in più caratteristica delle figure femminili». Molti i volti femminili che negli anni hanno lavorato al fianco di Giordana, come Adriana Asti, «la madre per eccellenza» ne “La meglio gioventù”, o Alida Valli che interpreta magistralmente Bettina ne “La caduta degli angeli ribelli”. Diverse le scene aggiunte al momento, altre invece tagliate, ma il pilastro resta «la scena di Maria e delle figlia di dieci anni, che sorregge l’intera impalcatura».

Sara Ciocca è la Rebecca di dieci anni, che per via dei suoi occhi azzurri ha dovuto indossare delle lenti ed essere ripresa a maggior distanza. «Dedico ai provini un tempo infinito – commenta il maestro – In genere impiego quattro cinque mesi. In questo caso cercavo una pianista, e l’ho individuata al conservatorio». L’ultima Rebecca è Beatrice Barison, già «bravissima e disinvolta - sottolinea l’autore – Ma il provino più breve è stato quello a Valentina Bellè, che ho fermato dopo due battute. Quando c’è l’evidenza, trovo sia accademico proseguire». A conclusione della proiezione abbiamo incontrato il maestro, soffermandoci su alcune tematiche care a lui care.

Lei è spesso alla ricerca della verità. Una ricerca che l’ha guidata anche per il film “Pasolini, un delitto italiano”, per il quale sostiene che ci sia stata fin dal primo momento la volontà di non scoprire la verità. Come può un Paese democratico liquidare in maniera tanto sbrigativa l’omicidio di uno dei più grandi poeti del Novecento italiano?
Sapere esattamente come si svolgono le vicende è la cosa maggiormente importante. Un Paese che trascura la propria memoria, che non vuole sapere o si disinteressa, è un Paese condannato a morte. Ritengo che non si possa tollerarlo, perché è la negazione della democrazia.

Secondo Dostoevskij la bellezza salverà il mondo. Lei fa dire a Peppino Impastato come “bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla”. Un tema che torna con Rebecca nel suo rapporto con gli altri. Che cos’è la bellezza, per Marco Tullio Giordana?
Dostoevskij è uno scrittore che ha indagato gli abissi dell’anima e che, come speranza di redenzione assoluta, pone non la religione o la politica ma la bellezza, e questo mi conforta. Spero che la bellezza sia in grado di salvare anche gli italiani, che ne sono circondati senza rendersene conto. Il mio è un film sull’accettazione del sé, nella propria completezza di corpo e anima, inscindibili, e per i quali credo sia illecito intervenire o correggere secondo i dettami della moda. Un film che è la storia di quel corpo. Quando nasce un bambino, lo avresti voluto magari con gli occhi azzurri, e invece ha gli occhi neri. Cosa fai, non lo ami più? Lo ami in egual misura, è così, e devi essere riconoscente che vi sia una nuova creatura al mondo piena di speranza.

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