TEATRO
Prosegue la Rassegna del cinema sloveno, i registi Jerman e Meden protagonisti al Kinemax di Gorizia
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Sperimentazione e rivoluzione nel cinema underground sloveno al centro del loro documentario dedicato alle pellicole anni Ottanta.
Chissà se strizza l’occhio all’inquietudine innovativa dei poeti maledetti, il gruppo sloveno SBO, il cui cantante rap ripete martellante «Mi smo prokleti», “siamo maledetti”. La canzone “Psihonaut” apre il documentario “Ali je bilo kaj avantgardnega?” / “Alpe Adria Underground!” (2024) dei registi Matevž Jerman e Jurij Meden, che saranno ospiti al Palazzo del cinema di Gorizia il 13 febbraio, quando la pellicola verrà presentata in occasione del secondo appuntamento della Rassegna del cinema sloveno in Italia curata da Kinoatelje. Già presentato alla cineteca di Bologna lo scorso ottobre, il docufilm verrà proiettato con i sottotitoli italiani a partire dalle ore 20 e con ingresso gratuito.
Un lavoro certosino nel quale i due registi riportano alla luce cortometraggi archiviati e digitalizzati dalla Cineteca slovena nel decennio 2013 – 2023. Si tratta di ben 179 opere realizzate fra il 1945 e il 1991, estranee alla produzione statale dominante e considerate oggi «parte importante e innovativa dell’eredità cinematografica slovena». Dopo una sequenza introduttiva realizzata con un’inquadratura fissa - a riprendere quella che sembra una strada che scorre al contrario - la musica rap funge da collante sonoro per un collage di sequenze estrapolate dal cinema sperimentale, risalenti al periodo socialista jugoslavo.
Lo stratagemma è quello d’inserire più fotogrammi nella stessa inquadratura, passando dal rapido excursus alla domanda intorno all’essenza del cinema d’avanguardia sloveno, a partire dall’articolo di Silvano Furlan al quale Nova Gorica ha dedicato l’omonimo festival. Ecco comparire Nerina Kocjančič, esperta delle correnti alternative slovene e figura chiave nella scena punk ambientata negli anni Ottanta, cui fanno seguito le riflessioni di critici cinematografici, archivisti, distributori e registi, come i giganti del cinema jugoslavo Želimir Žilnik, Slobodan Šijan e il celebre Karpo Godina.
Uno sguardo a ritroso nel cinema iugoslavo fra gli anni Sessanta e Ottanta influenzato da svariati movimenti, che secondo Jerman mostra quanto fosse «affascinante e diversificato il panorama cinematografico sperimentale» di quel periodo. Registi che a Zagabria svilupparono una scuola radicale chiamata “antifilm”, in parallelo con la sperimentazione di Belgrado dove nasce un cinema alternativo. «In Slovenia, in quel periodo non esisteva un movimento teorico unificato – spiega Jerman – ciascun regista ha contribuito con il suo proprio punto di vista, originando un’eccezionale pluralità di temi, concetti e sguardi estetici. Possiamo paragonare la filmografia jugoslava di allora al cinema underground realizzato negli epicentri d’avanguardia di quegli anni come New York, San Francisco o Vienna. Sfortunatamente, solo di recente la Slovenia ha riconosciuto questi lavori come “sperimentali”, etichettandoli per lungo tempo come “amatoriali”, in quanto realizzati al di fuori della produzione supportata dalle istituzioni».
Definizione stridente con il lavoro racchiuso nella grossa mole di pellicole prodotte, specchio di una società che si andava lentamente plasmando in qualcosa di straordinariamente moderno. «Uno dei capitoli iniziali del film affronta il tema della terminologia mostrando come ci sia ancora molta confusione, a riguardo. Una produzione etichettata come amatoriale, sperimentale, d’avanguardia, anticinematografica, alternativa, indipendente, paradigmatica e tanto altro ancora. Personalmente, ritengo che il critico cinematografico Zdenko Vrdlovec esprima un punto di vista valido, nel documentario, affermando come la scelta del termine non sia poi così importante quanto piuttosto il discorso intorno a questo e le domande che genera».
La scoperta dell’immenso patrimonio nascosto fra le pieghe del socialismo ha spinto Jerman e Meden a concentrarsi sul periodo in cui i registi indipendenti lavoravano con pellicole 8mm, s8mm e 16 mm prima dell’avvento della videoarte. Narrando così la storia «di una produzione slovena parallela, che fino a oggi rimane in gran parte sconosciuta e inesplorata». Due registi, Meden e Jerman, con un’attività creatrice solida alle spalle: il primo ha diretto oltre venti cortometraggi e mediometraggi sperimentali, l’altro è impegnato essenzialmente come curatore, critico e autore di corti, video musicali o spot pubblicitari pluripremiati.
Dedicandosi alla cultura giapponese e alla Sociologia culturale presso la Facoltà delle Arti di Lubiana, Jerman si avvicina alla cultura popolare, volgendo il proprio interesse al cinema. «Dal 2009 inizio a collaborare con il dipartimento della Cineteca Slovena, dove mi occupo delle pellicole d’avanguardia – racconta – e dove in un certo senso ho acquisito la mia formazione cinematografica». Un luogo magico che coniuga il museo cinematografico con il cinema da vedere sul grande schermo, nel quale Jerman incontra per la prima volta il cinema sperimentale, realizzando come «il cinema inteso come forma d’arte sia molto più vasto di quanto siamo soliti immaginare». Un’esperienza artistica spesso ignota al grande pubblico, assuefatto e subordinato ai circuiti della grande distribuzione.
«A causa dei principi della distribuzione commerciale, l’esposizione dello spettatore medio è limitata ai lungometraggi narrativi – prosegue - mentre le cose più importanti accadono altrove: nei cortometraggi, nei film sperimentali e, ovviamente, nei documentari». È nell’ambito del documentario che Jerman coglie la scintilla apportata dalla nuova generazione di cineasti emergenti, della risma di Matjaž Ivanišin, Nika Autor, Vid Hajnšek, Maja Doroteja Prelog, Vlado Škafar, Rok Biček o lo stesso Gregor Andolšek, che ha aperto la rassegna in gennaio. «Conosco Andolšek, c’è da dire che non è soltanto un eccellente regista, ma anche un brillante musicista. Sono stato invitato a realizzare un video musicale per la sua band Čao Portorož, e per me è un grande onore».
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