La pietra a San Rocco per Herskovitz, 80 anni fa deportato da Gorizia

La pietra di San Rocco per Herskovitz, 80 anni fa deportato da Gorizia

la cerimonia

La pietra di San Rocco per Herskovitz, 80 anni fa deportato da Gorizia

Di Manuel D'Angeli • Pubblicato il 18 Apr 2023
Copertina per La pietra di San Rocco per Herskovitz, 80 anni fa deportato da Gorizia

Rircordato il concittadino deportato nel 1943 e mai più tornato, Vanni Feresin: «Questo è fare memoria con i giovani».

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Borgo San Rocco ha reso omaggio a Ladislao Herskovitz, italianizzato in Ercoli, questa mattina lungo via Lunga a Gorizia. In sua memoria, a 80 anni dalla deportazione e uccisione ad Auschwitz, è stata deposta una pietra d’inciampo davanti al portone dove sorgeva il suo storico negozio di mobili. L’event è stato organizzato dall’associazione Amici Israele e Centro tradizione, alla presenza del sindaco Rodolfo Ziberna. Coinvolti anche gli studenti della scuola media Ascoli, che hanno dedicato un ricordo al defunto.

In apertura, il primo cittadino ha sottolineato come “incuriosire è l'obiettivo dell'incontro e la posa della pietra serve a tenere viva la memoria. Qualche giorno fa ero in Polonia, in un piccolo paese, dove, a causa di uno sterminio ingiustificato, la comunità ebrea è passata da 25.000 persone a poco meno di 10, dove tante famiglie hanno perso i loro cari”. Gli studenti hanno quindi preparato un intervento grazie al libro scritto dallo storico Luciano Patat, “I treni per i lager, la deportazione dal carcere di Gorizia".

Non ci sono molte notizie su Herskovitz, tuttavia l'utilizzo di documenti dal valore storico inestimabile e una fedele ricostruzione ha permesso di costruire il suo percorso di vita: una memoria da non spegnere e da mantenere accesa come un monito verso il presente e il futuro, perché la storia insegna e la storia è la base per comprendere l’avvenire. Dapprima i ragazzi hanno citato altri nomi di ebrei che hanno perso la vita in circostanze analoghe, toccando quindi la storia della comunità e passando quindi alle vicende dello stesso Herskovitz.

Nato a Fiume nel dicembre del 1906, nell’allora Regno di Ungheria, è figlio di un fabbricante di mobili. Nonostante l'annessione all'Italia nel 1924, la famiglia viene considerata straniera e dunque privata della cittadinanza che arriverà solo nel 1929. La famiglia si trasferisce quindi a Gorizia, dove apre un negozio di mobili. Il futuro però inizia a voltare le spalle con una serie di piccole ma repressive leggi, basate sul razzismo e su un odio insensato che cambieranno per sempre la vita della comunità. Nel 1939 la cittadinanza gli viene revocata.

Nella terribile sera del 20 settembre 1943, due agenti tedeschi bussano alla porta: la famiglia Herskovitz sarà portata in carcere, venendo poi trasferito al Coroneo di Trieste. Il 7 dicembre, quindi, gli agenti caricano lui e altre 150 persone su un treno di non ritorno verso Auschwitz. Il viaggio durò 4 giorni, stipati senza acqua né cibo, senza possibilità di seduta e senza sapere la destinazione. Poi una scritta, la scoperta: il campo di concentramento di Auschwitz con la celebre frase "Arbeit Macht Frei".

Lo svuotamento delle anime, il venir etichettato come un numero, un destino ormai segnato. La barbaria umana ha creato e distrutto nel corso degli anni, inventato odi per comodità e distrutto culti e culture, il tutto per una sete di cattiveria che anche oggi non ha fine, seppur in diverse modalità. Ladislao ha ricevuto un incisione sul suo braccio sinistro, l'ennesimo numero di un atroce percorso, del quale le tracce si sono poi perse dietro quel dannato cancello che come lui ha privato del dono della vita oltre 5 milioni di innocenti.

Herskovitz morirà a 37 anni, giovane e con un futuro da scrivere, una vita fatta di sacrifici spezzata. “È stato un momento molto emozionante - il commento di Vanni Feresin, presidente del Centro tradizioni - via Lunga è cambiata tanto in questi 80 anni. Rimane solo una colonna a memoria dell’industria di Herskovitz. Abbiamo ritenuto bellissima la proposta degli Amici di Israele e l’abbiamo colta, insieme alle scuole perché la memoria va avanti di generazione in generazione. Nei 50 anni del Centro, questo è uno dei momenti più importanti”.

Foto Ivan Bianchi

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