la lectio
Le parole del diplomatico Gallagher ad Aquileia: qui esempio di coesistenza
Nel pomeriggio di ieri, la Basilica patriarcale ha accolto l'arcivescovo Gallagher e la sua lectio magistralis dedicata alla pace e alla diplomazia della Santa Sede.
Si distende e corre, nel pingue pomeriggio del 12 luglio, il solenne suono delle campane dal campanile della Basilica patriarcale di Aquileia. L’annuncio è per il solenne pontificale che si attende tra le millenarie mura aquileiesi, celebrato quest’anno dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. La concelebrazione, alla presenza dell’arcivescovo metropolita di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, e dei vescovi di Trieste, Enrico Trevisi, Udine, Riccardo Lamba, dell’emerito di Udine, Andrea Bruno Mazzocato, di Capodistria Jurij Bizjak, di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo e di Ljubljana, Stanislav Zore, è preceduta dalla lectio magistralis.
Una lectio dal titolo emblematico: “Aquileia Magistra Pacis – Un contrappunto alla diplomazia della Santa Sede”. Una diplomazia, quella della Santa Sede, fortemente impegnata per porre fine ai «conflitti in atto»: dall’Ucraina alla Palestina, a Israele, all’Azerbaigian, al Myanmar, all’Etiopia, al Sudan, allo Yemen. Il presule ha chiarito che la Santa Sede «si mobilita sempre come soggetto super partes», cercando di «unire idee divergenti, posizioni politiche contrapposte, visioni religiose» e «ideologie differenti», promuove la pace nel «rispetto delle norme internazionali» e dei diritti umani fondamentali e «si attiva sul piano umanitario», ad esempio «per facilitare il rimpatrio dei bambini ucraini e lo scambio dei prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina così come per favorire la liberazione degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza».
Dal presente al passato, nella sua lectio, Gallagher ha riannodato i fili della storia partendo dalla fondazione di Aquileia nel 181 a.C.. Già allora, ha detto, la città si è distinta «come straordinario crocevia cosmopolita di genti e idee» e ha agevolato «la diffusione di influssi artistici, culturali e cultuali», che sono stati «rielaborati e riadattati» al proprio contesto, ha ricordato Gallagher, aggiungendo che, pure in epoca cristiana la città si è contraddistinta per «la sua straordinaria vocazione alla concordia dei popoli». Da Aquileia, tra l’altro, il cristianesimo si è diffuso “nelle terre limitrofe, entrando gradualmente in contatto con popoli e culture eterogenei”, accomunandoli e portando frutti «in ogni campo del pensiero, della spiritualità e dell’arte».
Tutto questo ha generato «spirito di accoglienza e coesistenza», «arte del dialogo e del confronto» e «capacità di valorizzare gli stimoli provenienti dall’esterno». Non sono mancate le importanti citazioni di personaggi che, dalla e nell’arcidiocesi, hanno dato negli ultimi due secoli, dal cardinale Guido Del Mestri fino a monsignor Luigi Faidutti. Gallagher ha ricordato «la data del 17 novembre 1965, quando il giovane sindaco di Gorizia, Michele Martina, incontrò il Presidente dell’Assemblea comunale di Nova Gorica, Jozko Strukelj. Il verbale di quella storica riunione attesta il coraggio e la lungimiranza di due artigiani della pace che, in poco più di due ore, precorsero la storia di decenni.
Gli appunti parlano di un “incontro tra città di confine” che si riconobbero disponibili a collaborare; ma che quella riunione fosse animata da un ideale più profondo ben si coglie dalle parole conclusive di Strukelj: “Tutto dovrà essere fatto onde si verifichi l’incontro fra le genti, per fare sì che il confine non sia una linea di divisione […] come la si sente a Roma ed a Belgrado”. Con questo gesto, “un italiano, cattolico e di sangue ‘misto’, e uno sloveno, comunista e ateo, proiettavano le loro comunità lacerate e in parte nemiche verso un orizzonte di solidarietà e di pace”, nella convinzione che il futuro si sarebbe realizzato nella “fusione fra varie culture europee”», così ancora Gallagher.
Il presule, nell’omelia, ha ribadito l’importanza, per i santi Ermacora e Fortunato, del «dono totale di se stessi alla Chiesa», con il quale «hanno conquistato il cuore delle genti aquileiesi, incarnando i tratti del “Buon Pastore”, profetizzato da Ezechiele nella prima Lettura come colui che va in cerca della pecora perduta e riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata, senza trascurare la più forte del gregge. Del resto, è ben noto come l’icona del Buon Pastore abbia costituito un tema di riferimento fondamentale nell’itinerario di iniziazione cristiana dei primi cristiani di Aquileia, al punto da fissarne per sempre la memoria nello splendido mosaico pavimentale di questa Basilica».
«Calpestando e contemplando quella figura di giovane con la pecora sulle spalle e con in mano un flauto, strumento dolce usato per chiamare a sé il gregge, coloro che qui si preparavano a ricevere il battesimo venivano introdotti al mistero di un Dio che, in Gesù, si è fatto vicino ad ogni uomo, lo conosce e lo chiama per nome, si prende cura di lui, lo custodisce come bene prezioso, ne garantisce il vero benessere e non lo abbandona nelle valli oscure della sofferenza, dell’incertezza e di tutti i problemi che possono turbare l’animo. Nulla gli può mancare se il pastore è con lui», ha concluso monsignor Gallagher.
Tra le note da segnalare, al termine della celebrazione, il ringraziamento dell’arcivescovo Redaelli non solo a quanti, in vario modo, si sono prodigati per la buona riuscita della celebrazione, nonostante una partecipazione un po’ più risicata a causa, probabilmente, delle alte temperature e della giornata vicina al fine settimana con un meteo favorevole, ma anche al direttore del coro diocesano, don Francesco Fragiacomo, per la composizione della Missa Regina Pacis ed eseguita interamente proprio in occasione della celebrazione eucaristica.
Foto Fabio Bergamasco.
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