Il messaggio
Pace e cultura, gli auguri di Natale dell'arcivescovo di Gorizia Redaelli
Non solo i temi dedicati all'attualità tra pace e difficoltà sociali dal locale al nazionale ma anche le progettualità diocesane in vista di Go2025.
Pace e solidarietà, questi i temi principali degli auguri natalizi dell’arcivescovo di Gorizia, monsignor Redaelli, resi noti nell’editoriale del settimanale diocesano, Voce Isontina, e nel tradizionale incontro con la stampa. Tra i temi anche la cultura in vista dell’importante appuntamento del 2025.
“La situazione è difficile. Speravamo tutti, dopo la pandemia, di avere un po’ più di respiro ma con la guerra e l’inflazione il rischio grosso è quello di perdere la speranza; invece, è importante non perderla e di continuare con impegno aiutandosi”, ha ricordato monsignor Redaelli. “La comunità cristiana, ovviamente, fa la propria parte non solo la Caritas ma ogni singolo cristiano, anche con un singolo gesto, un augurio fatto con il cuore, può fare la differenza”.
Monsignor Redaelli, presidente Caritas Italiana, ha ricordato come l’istituzione non sia presente “solo con i centri d’ascolto, continuando con l’attenzione alle persone, perché più del 50% di chi si rivolge ai centri non ha solo una situazione di povertà ma anche altri problemi, come persone con disabilità e disagi abitativi, ma anche verso i giovani: i minorenni, spesso, hanno anche situazioni di pesantezze, come problemi generazionali di trascinamenti di povertà ma anche altre fatiche”, così ancora Redaelli.
Per quanto riguarda la Capitale Europea della Cultura “la diocesi si sta muovendo da tempo: abbiamo avviato una collaborazione con la parte pastorale di Nova Gorica cercando di unire gli aspetti religioso-storico e artistico ma anche spirituale, coinvolgendo i giovani per guidare itinerari di fede da Aquileia a Monte Santo ma anche per quanto riguarda l’accoglienza”.
Dal punto di vista pastorale, Redaelli ha voluto affidare al proprio editoriale il messaggio natalizio del 2022 riprendendo la favola di Esopo della vole e dell’uva. “Oggi c’è un modo di porsi ancora più deleterio che potremmo indicare riprendendo la favola di Esopo e mettendo sulla bocca della volpe non l’affermazione “è acerba”, riferita all’uva, ma: “l’uva non c’è, ho visto male, mi sono sbagliata”. Il buono, il vero, il bello e tutto ciò che da sempre è aspirazione dell’umanità – la pace, la giustizia, l’onestà, la fraternità, ecc. – non è tanto irraggiungibile, ma non esiste, è inutile desiderarlo, si perde solo tempo inseguendo sogni, si va incontro solo a delusioni. Occorre quindi essere realisti, assumere un realismo disincantato – forse cinico -, ma tant’è il mondo è così e lo si vede anche in questi giorni: guerre, ingiustizie, corruzioni, abusi, ecc. Persino la Chiesa non ne è esente”, così Redaelli nell’editoriale
Che cosa c’entra il Natale con la volpe e l’uva? C’entra se solo mettiamo al posto dell’uva la salvezza, quella proposta da Dio. Oggi è stata cancellata: non solo è difficile raggiungerla – la strada stretta del Vangelo è troppo impegnativa… –, ma è meglio dichiarare che non ci interessa. Perché guardare in alto all’uva, al cielo, alle stelle? Meglio guardare in basso e accontentarci di quello che c’è. Il Natale ci dice che non è così, che c’è una stella, c’è una luce, c’è una pace, c’è una salvezza. Anzi un Salvatore, il Dio con noi che è divenuto uno di noi. La salvezza c’è e non è appesa a un tralcio lontano e irraggiungibile, ma è un piccolo Bambino che nasce a Betlemme”, sono ancora le parole di Redaelli.
“Il Natale ci invita allora ad alzare lo sguardo, a riscoprire la nostra identità e dignità di figli di Dio, a essere convinti che la pace, la giustizia, la fedeltà, l’onestà, … e anzitutto l’amore non sono realtà impossibili o persino inesistenti. Esistono e vengono donate da Dio alla nostra umanità. Certo dentro le contraddizioni e le dure lotte dell’esistenza: non siamo ancora nella pienezza del Regno di Dio, ma il Regno è già all’opera. Occorre saperne vedere i segni dentro e fuori i confini visibili della Chiesa. Segni che sostengono la speranza e anche l’impegno coraggioso e umile a favore della pace, della giustizia, della fraternità e di tutti i valori che rendono “umano” il nostro mondo. L’uva c’è, non è acerba, non è su un tralcio lontano, ma quel tralcio è sceso fino a noi e ci dà la possibilità di essere noi stessi tralci della vite di Dio”, conclude l’arcivescovo.
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