le cerimonie
Gli ortodossi festeggiano il Natale sul confine di Gorizia, sognando il loro falò
Le comunità ortodosse si sono riunite ieri e oggi per celebrare il momento più sacro del loro calendario, annullata la processione per il meteo.
A Gorizia, ieri, il maltempo non ha guastato soltanto i programmi dei vari riti epifanici previsti nel territorio, in gran parte posticipati a oggi. La pioggia incessante ha causato anche la cancellazione della processione organizzata in città dalla comunità macedone per celebrare il Natale ortodosso.
Il 6 gennaio, infatti, per un’importante fetta del mondo cristiano è stato il giorno in cui viene commemorata la nascita di Gesù Cristo. Una data non casuale, ma dettata dal calendario giuliano ancora in vigore nella Chiesa ortodossa. Chiesa che, a seguito del Grande Scisma del 1054, non riconobbe mai la validità della successiva riforma del calendario, introdotta da papa Gregorio XIII nel Cinquecento e oggi adottata in quasi tutti i paesi del mondo.
I festeggiamenti a Gorizia
Saltata la processione, i fedeli si sono comunque ritrovati nel pomeriggio nella chiesetta di Sant’Antonio, nell’omonima piazza, dove un coro di bambini ha intonato il tradizionale canto Večniot Bog (Dio eterno) reggendo in mano delle stelle di carta gialla. Nonostante Giove Pluvio, il clima nella chiesa – gentilmente concessa dall’Arcidiocesi di Gorizia – era molto festoso, grazie alle varie famiglie qui giunte prevalentemente da Nova Gorica. Sebbene sia composta da non oltre due migliaia di persone, la comunità macedone del Goriziano transfrontaliero è molto unita e attaccata alle tradizioni del proprio paese d’origine.
Per monsignor Dončo Ivanov – il sacerdote giunto appositamente da Strumica, in Macedonia del Nord, per affiancare il pope locale Dejan Milovski durante le celebrazioni – «l’Italia è come una seconda patria». Ivanov ha voluto esprimere così il proprio affetto e riconoscenza nei confronti del Bel Paese: «La Macedonia sta oggi soffrendo una piccola catastrofe economica e l’Italia per noi rappresenta un porto sicuro, garantendoci pane e un’esistenza dignitosa».
Nel corso dei festeggiamenti, infine, ai bambini sono stati distribuiti in dono dei pacchi di dolci, mentre il resto dei fedeli ha ricevuto un rametto di quercia, secondo una tradizione originaria della Serbia e diffusasi anche tra le comunità di rito macedone.
A Nova Gorica
Certamente più numerosa e diffusa, per ragioni storiche, la comunità di fedeli della Goriška che segue il rito serbo-ortodosso. Per quest’ultimi, cuore dei festeggiamenti da oltre trent’anni è la chiesa della Santissima Trinità di Kromberk. Celebrazioni che hanno visto impegnato il pope Miroslav Ćirković a partire dalle 18 di ieri sera, per proseguire con la messa delle 22 e finire con le funzioni delle 5 e delle 10 di questa mattina. Anche quest’anno ci è stata segnalata la presenza di diverse famiglie di profughi dall’Ucraina, impegnata ormai da quasi tre anni nel conflitto aperto dall’invasione della Russia il 24 febbraio del 2022.
Non poteva quindi mancare, da parte del pope, un richiamo anche alle vittime di quel conflitto. Un riferimento espresso direttamente attraverso le parole del capo della Chiesa serbo-ortodossa, il patriarca Porfirije: «Le persone amano l’infanzia e i bambini, ma cosa vediamo oggi nel mondo? Gli adulti si sono allontanati da Dio uccidendo decine di migliaia di bambini: non importa che questi siano figli di palestinesi o ebrei, russi o ucraini, o di qualsiasi altra nazionalità».
Immancabile anche nella chiesa slovena il riferimento alla quercia, qui però presente addobbata come un classico albero di Natale. Sui rametti distribuiti ai fedeli, però, è presente anche un nastrino col tricolore rosso-blu-bianco, a rappresentare i colori della bandiera della Serbia. Quell’albero, però, sarebbe destinato a bruciare in un rogo molto simile ai falò epifanici e infatti è allestito sopra un sacco pieno di rametti secchi. Falò che però non avrà mai luogo. Spiega infatti Ćirković che «in tutti questi anni non siamo ancora riusciti a ottenere le autorizzazioni necessarie per accendere il fuoco». Chissà che in futuro, tra pignarûl, seime, fugarele e pan e vin, non si riesca ad assistere anche al falò natalizio di rito serbo-ortodosso.
Foto Tibaldi
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