In vigore da oggi la terza edizione del Messale Italiano, le novità dal Padre Nostro al Gloria

In vigore da oggi la terza edizione del Messale Italiano, le novità dal Padre Nostro al Gloria

Il commento

In vigore da oggi la terza edizione del Messale Italiano, le novità dal Padre Nostro al Gloria

Di mons. Michele Centomo • Pubblicato il 29 Nov 2020
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Monsignor Michele Centomo, direttore dell'Ufficio Liturgico Diocesano di Gorizia e arciprete di Grado, commenta la terza edizione italiana del Messale Romano in vigore da oggi.

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A partire dalla prima domenica di Avvento entra in vigore la terza edizione italiana del Messale Romano. Nuove traduzioni e una versione totalmente rinnovata, che arriva con qualche modifica rispetto all’ultima edizione del 1983. Si tratta, per quanto concerne la vita comunitaria delle parrocchie dell’Arcidiocesi di Gorizia così come quelle di tutta Italia, di alcuni cambiamenti. Dalla valorizzazione del greco nell’atto penitenziale al Gloria, che vede la prima strofa mutata da “e in terra pace agli uomini di buona volontà” in “e in terra pace agli uomini amati dal signore”. Modifiche anche al Padre Nostro nel quale “non indurci in tentazione” si trasforma in “non abbandonarci alla tentazione”; introdotto anche il genere femminile nelle orazioni, “pregate fratelli e sorelle”. Per capire meglio queste sfumature abbiamo chiesto un commento al direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano di Gorizia e arciprete parroco di Grado, monsignor Michele Centomo.

La Liturgia è il luogo in cui il credente impara a legare la sua vita al mistero di Cristo; è scuola per crescere nella fede, nella speranza, nell’amore e nella libertà; è celebrazione dell’esistenza cristiana.
Con segni e parole Dio manifesta il suo progetto salvifico; la salvezza operante nella storia, culmina con l’incarnazione del verbo di Dio e la sua manifestazione nell’oggi della storia degli uomini.
La parola greca leiturghía (verbo leiturgéin) è composta dal sostantivo érgon (= opera) e dall’aggettivo léitos (= attinente il popolo; derivato da leós, ionico laós = popolo). Tradotto letteralmente leiturghía significa quindi opera-del-popolo.

Si intendono con ciò i servizi prestati per il bene del popolo sia da parte di cittadini benestanti sia da parte di singole città, come ad esempio, l’allestimento del coro nel teatro greco.
Successivamente questa parola definì qualunque pubblica prestazione di servizio e dal secolo II a.C. anche il servizio cultuale.
Nell’Antico Testamento, questo termine ricorreva spesso, volendo indicare il culto prestato a Jawhè dai sacerdoti e dai leviti. Contrariamente, i cristiani della Chiesa primitiva (siamo nel Nuovo Testamento) in un primo momento, non ne fecero largo uso, per differenziare il loro culto da quello ebraico, ma ben presto passò ad indicare il culto della comunità cristiana: infatti l’epoca post-apostolica conosce la leiturghía nel senso di servizio sia per Dio che per la comunità.

Nell’Oriente di lingua greca, l’uso del termine si diffuse rapidamente, restringendosi però, alla sola celebrazione dell’Eucarestia, significato mantenuto sino al presente, mentre in Occidente, se inizialmente il termine era dapprima sconosciuto, (in suo luogo venivano usate, per indicare le azioni liturgiche, numerose espressione latine che ancor oggi si trovano nei testi di preghiere, come ad esempio ministerium, officium, munus, opus, ritus, actio, celebratio), con l’avvento del XVI secolo fa la sua comparsa e, successivamente alla Riforma protestante (sec. XVIII-XIX), entra nelle loro Chiese.
La Liturgia si colloca all’interno del culto cristiano come l’insieme di azioni, atteggiamenti spirituali che vogliono esprimere rispetto, onore, venerazione verso Dio.

Con la riforma attuata dal Concilio Vaticano II, la liturgia è ritornata ad essere l’opera del popolo di Dio, di tutto il popolo di Dio. Segno particolare nella carta di identità di un’assemblea celebrante è la sua partecipazione attiva.
Soggetto celebrante, quindi, è la Chiesa (= popolo di Dio, presieduta dal pastore) che deve sentirsi impegnata come protagonista dell’azione liturgica, sia pure con parti distinte tra i vari attori dei quali, il principale, resta sempre Colui che presiede l’azione.
È chiamata a sentirsi attrice di un evento di salvezza inserendosi nella grande storia della salvezza; non potrà accontentarsi perciò, di una partecipazione sterile e superficiale.
Nell’assemblea liturgica i fedeli fanno un’esperienza concreta di Chiesa e si sentono attivamente partecipi della sua vita.
Tutti i componenti della comunità radunati per l’azione liturgica sono attori: nessuno vi è escluso, nessuno viene limitato a una presenza passiva. La partecipazione attiva di tutta l’assemblea è un’esigenza di fede, di vita cristiana: essa è esigita dal carattere sacerdotale, proprio di ogni cristiano. Infatti, “le azioni liturgiche sono […] celebrazioni della Chiesa, che è […] popolo santo radunato ed ordinato sotto la guida dei Vescovi” (Sacrosanctum Conclium 26).
I Vescovi Italiani in occasione della pubblicazione della terza edizione italiana del Messale Romano hanno scritto: “Nella Chiesa tutto nasce dall’esperienza dell’Eucaristia e tutto vi ritorna nella gioia sempre nuova di un incontro che tutto assume, trasforma ed armonizza. […]. L’Eucaristia convoca ciò che è visibile, tangibile, sensibile, non per condurre “oltre”, “al di là”, ma per ospitare e lodare il Creatore in tutte le sue creature”.

Nella nostra particolare situazione di “post cristianità”, il rinnovamento della Chiesa prende l’avvio dalla celebrazione eucaristica che, se è il momento culminante nell’itinerario dell’iniziazione, non di meno è fonte permanente della vita e della missione della Chiesa.
È interessante come gli orientamenti pastorale della Chiesa Italiana nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, abbiano ribadito con determinazione che “la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica […] con al centro la celebrazione dell’Eucaristia” (n. 47).
In questo contesto si colloca il dono non di un nuovo messale quale strumento per la celebrazione (il messale romano del Concilio Vaticano II è e rimarrà quello di Paolo VI), ma “un testimone privilegiato di come la Chiesa abbia obbedito al comandamento di spezzare il pane in memoria del Signore” (Messaggio Vescovi Italiani).

Opportunamente, San Giovanni Paolo II chiedeva nella sua lettera apostolica “Mane nobiscum Domine”, un impegno concreto alla Comunità cristiane di “studiare a fondo in ogni comunità parrocchiale l’Ordinamento generale del Messale Romano” (n. 17) per preparare il terreno per una fruttuosa e corretta ricezione dello stesso affinché possa costruire un ulteriore passo in avanti nella riforma conciliare della Chiesa.
Di fronte alla nuova edizione del Messale Romano ci si chiede: quali sono le principali novità che esso contiene rispetto alle precedenti edizioni che poi sono entrate a fare parte della versione italiana?
Credo che sia opportuno, prima di addentraci nella risposta a questo quesito, comprendere il significato che assume un libro liturgico nella vita della Chiesa, specialmente se questo è il Messale Romano. È un dono per la Chiesa che trasmette alla comunità dei fedeli lo strumento autorevole che dà forma alla vita sacramentale in modo che, celebrando l’Eucaristia, venga edificata come il Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,27).
Il dono di potere celebrare è il dono di poter portare la propria vita alla sorgente della Parola, della presenza, dell’amore del Signore; il dono di interrompere il “fare” delle mille attività pastorali per “stare” davanti al Signore. Un Messale per una Chiesa in Cammino.

Una volta compreso il chi celebra è fondamentale chiedersi perché si celebra? Per obbedire al comando di Cristo: “Fate questo in memoria di me!” (Lc 22,19; 1Cor 11,24). Nel celebrare l’Eucaristia ripetiamo il sacrificio di Cristo nella realtà simbolico-sacramentale: non un rito che sia in memoria di Lui, ma fare quello che Lui ha fatto, trasformarsi in Lui nell’atto di donarsi. Celebrare la nuova alleanza in spirito e verità significa allora essere fra di noi un solo corpo ed un solo spirito che ci rende sacrificio gradito al Padre. 

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