Novanta candeline per don Umberto a Ronchi, «io un parroco costruttore»

Novanta candeline per don Umberto a Ronchi, «io un parroco costruttore»

L'INTERVISTA

Novanta candeline per don Umberto a Ronchi, «io un parroco costruttore»

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 26 Set 2024
Copertina per Novanta candeline per don Umberto a Ronchi, «io un parroco costruttore»

Il sacerdote sarà festeggiato domenica 29 settembre in parrocchia. «Ho navigato con entusiasmo tra la gente ma gli anziani non sono ascoltati».

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Ricorda perfettamente tutte le date, ogni volto e ogni momento che ha segnato e caratterizzato la sua vita sacerdotale e quella pastorale legata alla parrocchia  di Maria Madre della Chiesa di Ronchi dei Legionari. Domenica 29 settembre, don Umberto Bottacin compie 90 anni. Ordinato sacerdote 59 anni fa – era il 29 giugno 1965 – è parroco da 47 anni, dal primo luglio 1977. Dopo essere stato cappellano di San Lorenzo Martire al fianco del parroco monsignor Mario Virgulin, don Umberto ha fatto nascere la parrocchia di Maria Madre nella zona nord della città.

La posa della prima pietra è avvenuta l’8 maggio del 1983. La chiesa è stata poi inaugurata – allo stato “rustico” della struttura – il 4 novembre 1984. Con il passare del tempo, la parrocchia è cresciuta e il 22 settembre 1989 vi sono arrivate le Suore Passioniste che si sono incardinate in questa realtà. Abbiamo incontrato don Umberto al quale abbiamo fatto qualche domanda in occasione di questo importante compleanno.

Don Umberto, siamo a pochi giorni dal suo compleanno. Come vive questi giorni?
«Godo di buona salute. Le mie giornate da parroco sono ancora intense. Non ho perso l’entusiasmo e nonostante alcune forzature ho ancora tanta voglia di fare. Guardo per esempio al futuro dell’aggregazione giovanile cittadina. È un aspetto che va curato in una comunità che vuole essere generativa. Tra le cose che ritengo possibili, c’è quindi la realizzazione di un’attività d’insieme tra le tre parrocchie ronchesi e al servizio della città».

Come ha visto cambiare la Chiesa dopo il Concilio?
«Le prime Messe le ho celebrate tutte in latino a San Lorenzo dove ero coadiutore di Monsignor Virgulin. Il cambiamento è stato però necessario. La Messa celebrata in italiano ha favorito la comprensione e la partecipazione dei fedeli. Da un rito individualista si è passati a un rito più partecipativo e coinvolgente. Si pensi ai salmi e alle preghiere dei fedeli. Ogni giovedì celebravo la Messa Beat con i giovani che aveva un gran successo. San Lorenzo si riempiva! Va però sottolineato che sono stati cambiamenti un po’ frettolosi perché per esempio è mancata una catechesi popolare in grado di far comprendere la necessità di questi mutamenti. Arrivando poi ai giorni nostri, dopo il Covid sono venute meno la proposte spirituali e anche la preparazione che sta dietro di esse. Il mio invito è quello a non guardare solo alla dimensione orizzontale della fede. In questa Chiesa reduce da un Sinodo di due anni, bisogna dare ancora un colpo d’ala su tanti ambiti: formazione, carità, pastorale giovanile autentica e catechesi».

Anche la figura del parroco è cambiata. Quale valutazione si sente di fare su questo?
«Guardando alla nascita della mia vocazione, devo dire che il periodo preconciliare mi ha favorito molto. Ai miei tempi la vita era semplice, non c’erano tante scelte. La parrocchia era un riferimento e l’influenza della direzione spirituale era alta perché il modello educativo ecclesiale era molto forte. Se però, storicamente, la figura del parroco era molto apprezzata e solida, nel tempo quella solidità si sta sgretolando anche per la nuova evoluzione della formazione sacerdotale. Oggi “affoghiamo” nei problemi amministrativi. Le attenzioni sono puntate tutte sugli aspetti materiali e per far fronte all’aspetto assistenziale che un parroco ogni giorno si trova ad affrontare e di cui spesso si fa carico. Solo dalla spiritualità dei laici, unita alla formazione sacerdotale attenta e alta, può nascere una spinta sostenitrice dei parroci che vedranno sviluppi generativi con l’affiancarsi delle famiglie e del servizio diaconale».

Parliamo ora dell’essenzialità nella vita comunitaria: in cosa si traduce? Dove sta, dove trova posto?
«Purtroppo non c’è più. Lo dico in maniera convinta e mi dispiace. Oggi, quelli che io chiamo i “preti dottori” guardano “dall’alto verso il basso” i confratelli ordinati prima di loro. Credo che nella vita comunitaria con i fedeli e tra confratelli ci vuole più amicizia, cura e vicinanza. Tra di noi, per esempio, non si discute più di casi teologici e morali. Oggi è tutto un “fai da te”, non si fa più congrega. La saggezza dei più anziani richiamata pure da Papa Francesco, anche se io non mi sento così anziano, è poco ascoltata. Manca chiarezza sul piano dottrinale e morale e questo influisce sul cammino della vita comunitaria».

Concludiamo dicendo che lei è un parroco che ha costruito non solo spiritualmente…
«Penso di aver fatto tutto il possibile e quanto richiesto dai miei superiori. La più grande soddisfazione è stata quella di vedere crescere la comunità attorno alla costruzione della sua chiesa. Nonostante un cammino faticoso, ho navigato con entusiasmo tra la gente che è stata generosa con me e mi ha aiutato a costruire le opere parrocchiali. Il messaggio augurale di una targa che mi è stata consegnata da don Renzo Boscarol in occasione dei quarant’anni di sacerdozio riportava impressa la dicitura “parroco costruttore”. Ecco, io sento di essere stato anche questo e credo che sia il futuro».

Domenica 29 settembre alle 10.30, don Umberto celebrerà la messa per i suoi 90 anni nella chiesa di via Dante. Al termine, in ricreatorio, si terrà il pranzo comunitario con un momento di festa.

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