il racconto
La nipote dei fratelli Rusjan e quei voli a Gorizia, il sogno nato senza soldi

Grazia Rusjan è figlia di Carlo, fratello minore dei due pionieri: la loro storia raccontata attraverso le grandi invenzione e la tragica fine.
Si è svolta nella serata di venerdì 19 maggio la conferenza organizzata nell’ambito di “Ali sull’Isonzo-150 anni di storia”, presso il Museo di Santa Chiara a Gorizia, mostra che ha già oltrepassato il traguardo dei 900 visitatori. L’incontro si è svolto alla presenza della nipote di due grandi aviatori, Grazia Rusjan, e del presidente dell’associazione culturale Isonzo Andrea Spanghero. I due hanno commentato insieme le preziose foto di famiglia per raccontare le imprese straordinarie dei pionieri dell’aviazione anche attraverso la lente della storia privata. L’assessore alla cultura Fabrizio Oreti ha voluto evidenziare l’importanza della “storia nella Storia”.
Caratteristica, questa, di una mostra “che trasmette i caratteri transfrontalieri ma anche un importante valore identitario”. Ed è proprio questo il taglio dato all'esposizione, “che non ha la volontà di celebrare i primati degli anni Venti e Trenta, come la transvolata Roma-Tokyo oppure l’impresa atlantica di Italo Balbo”, ma intende raccontare la “storia del volo a Gorizia”, quella in sordina potremmo dire e ambientata nel nostro territorio, che non compare sui libri di scuola, eppure non di minore importanza. I due fratelli “si appassionano a tal punto da progettare, costruire e far staccare da terra questi strani velivoli”, ha raccontato Spanghero.
“Già il genio del grande Leonardo si era confrontato con le macchine volanti”, ha voluto intervenire Flavio Chianese, ma questo modello rappresentò l’inizio dell’era dell’aviazione in quanto i due fratelli “agivano sul timone di coda, e questo definiva l’aeroplano”. Una riflessione sulla storia che porta a ricordare come “dall’invenzione della ruota alla creazione dell’automobile siano passati migliaia di anni, ma dall’invenzione dell’aereo nel 1909 allo sbarco sulla Luna nel 1969 sono trascorsi appena sessant’anni”. Grazia Rusjan è figlia di Carlo, fratello minore dei due pionieri. Con calma ha iniziato a “raccontare con la voce dall’interno”, come solo chi è della famiglia sa fare.
Attraverso il potere evocativo dei ricordi familiari, a poco a poco hanno preso a stagliarsi nella sala le figure vivide di Edi e Pepi. Ed ecco comparire dal buio della memoria il primo velivolo dalla struttura in bambù e il motore a scoppio, che raggiunse i sessanta chilometri orari. È il 25 novembre del 1909 e l’aereo compie un balzo sui prati militari di Campagnuzza. “Nel loro salto i fratelli sono al contempo progettisti, costruttori e piloti”, commenta Spanghero. “I due non disponevano di grosse risorse finanziarie, e i materiali impiegati erano legno e cartone, con le ali ricoperte di mussolina cucita dalla sorella Luigia”, detta Gigia.
Nato a Trieste il 6 luglio del 1886 da madre originaria di Medea e da padre sloveno, si trasferirono a Gorizia dove insediano un laboratorio per costruire botti. L’abilità nel maneggiare le stecche stimolò nei fratelli la passione per il volo, un progetto che iniziò a realizzarsi già nel 1908 con la costruzione di un aliante fatto con stecche di bambù e cartone. I flashback si avvicendano sviluppando il racconto: è il 9 settembre del 1909 e i due partecipano a un incontro a Montichiari, l’ombelico del mondo dell’aviazione italiana e straniera dove per l’occasione si ritrovavano D’Annunzio – poeta, ma anche quel noto pilota che volò sulle terre istriane - Puccini, Franz Kafka e Max Brod.
È qui che scocca la scintilla che li condurrà a realizzare il proprio sogno. Il primo velivolo, quello che verrà affettuosamente definito “trapola de carta”, venne costruito in via della Cappella 8 a Gorizia. I fratelli iniziano a suscitare l’interesse della popolazione abbiente, finché nel 1910 l’industriale Mihailo Merćep li ingaggia, dichiarandosi pronto a investire in aerei da mettere sul mercato. Nel giro propagandistico organizzato in tutta la penisola balcanica accade tuttavia l’imprevedibile. A causa del forte vento le acrobazie vengono rinviate. Il vento incessante non accenna a diminuire, e l’indomani Edi decide di alzarsi in volo per non deludere il pubblico assiepato.
Ed ecco un’ala spezzarsi, immortalata in un’immagine in bianco e nero dal fotografo l’istante prima che il velivolo si schianti… E quel meraviglioso sogno di sfiorare il cielo con l’abilità degli uccelli s’infrange d’improvviso sulla nuda terra dei Balcani. Scorrone le immagini dei protagonisti, quelle donate dal padre al direttore del museo dell’aviazione di Belgrado. Vediamo Edi, appassionato ciclista dal petto ricoperto di medaglie. Il nonno Franz, che esce dalla nota bottega di via Cappella. E poi Luigia, “la Gigia”, dedita a cucire la mussolina per ovviare al peso notevole del motore, dove in calce si può leggere ancora la scritta “Mazzucco”, noto atelier di Gorizia.
Un viaggio a ritroso, una sorta di “Recherche” proustiana che ci mostra Edi al tavolo a studiare le sue carte, oppure sull’aereo dove in lingua francese si legge “fabrique tecnique d’airplans Rusjan”. E ancora, Edi in una cartolina inviata in Argentina, dove in goriziano si legge “Te gavemo mandà la trapola de carta. Xè stivà, ma xè sano”, alludendo al pilota nascosto in un angolo. Un lessico familiare dal quale ancora pare di sentire le voci, le risate, la forza e la bellezza di una vita dimenticata. Per poi arrivare infine al prototipo con il motore Anzani, e all’Eda 5, il monoplano dietro cui si staglia la sagoma del monte Calvario, con Edvard seduto in una cesta di vimini.
Fra la ventina di immagini spicca la foto di famiglia: Edi, Pepi, nonno Franz, nonna Grazia, e la Gigia seduta sull’aereo; poi Maria, e Tunì, il bambino in piedi. Personaggi che riemergono dalla “penombra che abbiamo attraversato”, per dirla con Lalla Romano. Vicende e immagini su cui riflettere, fintanto che “la ricerca storica e l’amore per le cose fanno parte del nostro tessuto culturale”, ha concluso Spanghero fra gli applausi.
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