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Quando la musica allevia il dolore della guerra, quei concerti a Wagna
Attraverso le pagine dell'Eco del Litorale, Vanni Feresin ripercorre alcuni momenti nel campo profughi del 1916.
Il campo di profuganza di Wagna vide la presenza di un numero notevole di cittadini di Gorizia. All’interno, oltre alle scuole, alla chiesa e alle piccole attività culturali, c’era la scuola di musica per bambini guidata dal maestro Augusto Cesare Seghizzi. Grande entusiasmo fu dimostrato in tutta l’Austria per il grande concerto eseguito a Vienna, alla presenza di alcuni membri della famiglia imperiale.
Da l’Eco del Litorale del 1 aprile 1916
Il concerto dei profughi di Wagna
A Vienna
Vienne, 31 marzo
Per i numerosi viennesi e non accorsi ieri sera nella grande sala dei Concerti (Il Distretto Lothringerstr.) al trattenimento musicale dato dal Coro e dall’Orchestra di Profughi friulano-istriani dell’accampamento; per gli esecutori un trionfo.
Un’apparizione. A chi entrava nella magnifica sala, sfarzosamente illuminata, si presentava un colpo d’occhio stupendo, emozionante. Lassù, sul palco a piano inclinato, se ne stavano allineati in variopinte file i ragazzi, le ragazze e le signorine del Coro di Wagna; in mezzo l’orchestra col maestro Rodolfo Clemente, signor Augusto Seghizzi, maestro di cappella alla Cattedrale di Gorizia, il quale (diciamo qui tosto) può sinceramente andar superbo dell’opera sua. Bravo!
I piccoli cantori e le cantanti giovani e adulte vestivano il costume friulano, dai pomposi colori, fra i quali spiccavano il bianco e il rosso, producendo un’impressione gradita a chi mai prima lo vide. Era molto pittoresco; e portato da quei poveri profughi, riusciva doppiamente simpatico. Anche il tipo della gente friulana piacque assai. Slanciato, con lineamenti chiari, aperti; fisionomia gentile, tratto che ha del marinaresco e del montanaro, fuso assieme. Dico bene?
Ma andiamo alla cronaca del Concerto, al quale fu presente una gran folla; e fra la borghesia, molti dell’altra aristocrazia; i Ministri, fra cui il Presidente Stürgkh, l’Arciduchessa Maria Gioseffa (Madre dell’Arciduca Ereditario), patronessa del Concerto; il Cardinale-Arcivescovo ecc. ecc. e dei nostri Monsignor Faidutti, Monsignor Delugan, Dottor Bugatto, Consigliere aulico de Bonfioli-Cavalcò, Dottor Degasperi, tutti del Comitato Profughi; molti profughi ecc.
Il programma fu svolto secondo l’ordine stabiltio.
Cominciò l’artista drammatico del Teatro Popolare Tedesco, signor Vittore Kutschera (per il signor Harry Walden del Teatro di Corte, impedito), che declamò la poesia di Ottocaro Kernstock: “Flüchtlinnsdank” (Ringraziamento del Profugo). La poesia è bellissima; fu declamata con fine arte, ed applaudita. Eccone la finale: “Gloria di vittoria pel nostro Imperatore – Sull’Austria pace!”
Seguirono quattro canzoni del Coro, composizione di Cornelio Schmitt, in tedesco, dal titolo (lo diamo in italiano): a) “La lavandarina”, b) “Desideri infantili”, c) “Nozze fanciullesche”, d) “Preghiera della sera”. Tutte applaudite; quest’ultima più delle altre.
Bellissima, gentile la canzone “Maggio”; buffa quella del “Concerto di rane” di Guglielmo Kienzl. Seguì la canzone in dialetto friulano “Benedette l’antigàe… tra la la la la la la!”, che suscitò a metà e infine un subisso d’applausi tale, che non voleva più finire. Si dovette, alle insistenti, rumorose richieste, concedere il “bis”, che fu di nuovo freneticamente applaudito, specialmente al largo popolare:
Se savessis fantazzinis
ce ch’a so sospirs d’amor
e si mur si va sottiare,
anche mo si sint dolor!
E venne la volta della violinista, signora Nives Luzzatto, la quale accompagnata al piano dalla sua mamma, Ida Luzzatto-Defilippi si produsse co un “Adagio” di Bruck e un “Allegro” di Pugnani –Kreisler, che durarono alquanto senza stancare. Anzi del secondo pezzo fu chiesto, fra grandi applausi, il “bis”, e la giovane artista, bravissima, fu chiamata due volte alla ribalta, per essere applaudita di nuovo. – Un avvenimento artistico senz’altro.
Bello il canto del Salmo XXXII “Exultate iusti in Domino” di Benedetto Marcello (secolo 17.mo), sebbene in tedesco non suoni sì bene come in latino. Con la famosa Preghiera e Coro del Mosè del Rossini: “Dal tuo celeste trono, Gran Dio rivolgi a noi” (che – diciamolo franco – era meglio cantarlo nel testo originale italiano. Perché no?) si chiuse la prima parte de Concerto, ed i numerosi (oltre 400) dilettanti d’arte si ritirarono a un po’ di riposo.
Ora si avanzò sul palco un altro artista, il giovinetto viennese Emanuele Feuermann, che col violoncello, toccato dalla sua mano maestra, in due pezzi del Popper entusiasmò l’uditorio quasi fino al delirio. Il ragazzo, di forse 14-15 anni, è un portento musicale. Applausi “bis” tre chiamate alla ribalta!
La canzone friulana “O tu stele…” commosse di nuovo l’uditorio. Come non commuoversi a sentir cantare da quelle voci infantili e sì bene intonate, strofe come questa:
O tu stele biele stele
Va palese ‘l mio destin
Va daur di che montagne
La che le ‘l mio curisin.
Vuei prea la biele stele
Duch i sanz del paradis
Che el Signor fermi la vuere
Che ‘l mio ben torni in pais?
Con slancio guerresco fu cantata la nota canzone tedesca “Ich hatte eine Kameraden”, fra suono di trombe e rullo di tamburo.
Si chiude – tutti in piedi – con la prima strofa dell’Inno Imperiale, cantata in italiano, con accompagnamento d’organo.
Prima di sciogliersi, i dilettanti sventolarono per diversi minuti i loro fazzoletti dando così dal palco l’addio ai viennesi ed a Vienna, corrisposti con vivace animazione da tutta la sala.
E così si chiuse il trattenimento. Ho dimenticato di accennare alla brava, bene affiatata e bene intonata orchestra, che si fece veramente onore.
Un mi rallegro speciale di nuovo al maestro Seghizzi, che, sicuro del fatto suo, con la sua magica bacchetta, seppe tenere sì bene sotto di sé quell’ammasso di giovani forze cantanti, riuscendo ad ottenere un effetto che soprese. Da notarsi che tutto, anche le canzoni in tedesco (che furono tutte, meno due) furono cantate a memoria!!
Nessun tedesco avrà fatto meraviglia se la pronunzia di certe parole tedesche era difettosa (erano italiani che cantavano!), e non si poterono evidentemente curare certe sfumature. Si tratta di poveri fanciulli profughi, i più figli di contadini e artigiani. Con loro una critica artistica nel senso stretto, sarebbe fuori di posto!
Il ricavato netto va a beneficio degli “Orfani di Guerra di Vienna”. Conchiudo. – La guerra tra le molte sue cose brutte, ha avuto una cosa buona; di avvicinare i popoli della Monarchia di diversa stirpe e lingua, e di far vedere quanto sia falsa l’idea di coloro che in un popolo dell’Austria, parlante una lingua diversa dalla tedesca, credono di veder sempre e dovunque un nemico! Quod non est!
L. F.
Da l’Eco del Litorale del 5 aprile 1916
Ancora del concerto dei profughi di Wagna
Il vostro collaboratore L. F. ommise di notare che al concerto assistette anche l’arciduchessa Maria Valeria (figlia di Sua Maestà), la quale espresse il suo pieno aggradimento per la buona riuscita.
I fogli viennesi parlarono, chi più chi meno, del concerto, e in modo diverso. Pel maestro Seghizzi ebbe lodi speciali la “N. F. Presse”, alla quale parve meraviglioso che il maestro abbia potuto dirigere sì bene una massa di cantori sì giovani, i più cantai ad orecchio. Nello stesso tempo la “N. F. P.” non mancò di notare che i fanciulli cantarono le arie in un tedesco rotto (gebrochen), quasi insinuando che nessuno a Vienna pretendeva che ragazzi e ragazze friulane sfoggiassero tanto la lingua tedesca, a loro ignota! Diffatti molti dissero anche vocalmente (e sono tedeschi di Vienna) che sarebbe stato assai meglio se i piccoli cantori di Wagna avessero cantato le loro canzoni e qualche pezzo di Opera in italiano, anziché sforzare memoria, intelletto e volontà nell’apprendere ed eseguire una sì lunga serie di canzoni in tedesco.
Bene osservò, ma troppo mitemente, il nostro collaboratore che il salmo latino doveva cantarsi in latino, e che la preghiera del “Mosè” di Rossini non doveva tradursi in tedesco. A che? Ci perdette non poco! Pei tedeschi sarebbe stata sufficiente a traduzione.
Fu osservato che i tedeschi applaudirono freneticamente le canzoni friulane, (e avrebbero applaudite anche le italiane), mentre non c’era quell’entusiasmo nell’applaudire le tedesche, Ed è naturale: canzoni in tedesco ne sentono a Vienna quante e quando vogliono essi; canzoni italiane (delle quali sono sì ghiotti i viennese) no! Quel nascondere la lingua italiana, parlata da un milione di abitanti in Austria, e sforzare piccole menti a pronunziare parole che non capiscono, non è idea felice, e fa meraviglia che a nessuno sia venuto in mente che, né per sé né per i viennesi era necessario fare tali sforzi innaturali.
Da l’Eco del Litorale del 12 aprile 1916
Cose nostre
Il concerto dei bambini di Wagna
Ma noi non parliamo di questo concerto dal punto di vista artistico – ciò che spetta al critico d’arte – noi seguiamo l’idea, e nulla ci commosse quanto la chiusa: l’Inno imperiale cantato dai nostri bimbi in italiano accompagnato dalla voce potente dell’organo… Era una preghiera, un voto, una promessa.
Povero Barzilai, ministro in partibus infidelium, il tuo cuore sarebbe scoppiato se tu avesse saputo di tale festa. I tuoi “sudditi”, che tu volevi liberare dalla tirannia austriaca, dall’oscurantismo della coltura tedesca, dalle insopportabili catene di un governo mummificato, questi tuoi sudditi cantano oggi ella più splendida delle sale un inno di ringraziamento dinanzi alla figlia di Francesco Giuseppe, dinanzi a una schiera di uomini della capitale, che il matto poeta italiano voleva incendiare.
Povero D’Annunzio! Questa città è più grande, più bella, più superba che mai. Le sue torri s’innalzano circondate dagli alberi verdeggianti, i suoi giardini la chiudono nella fioritura primaverile, come una ghirlanda di speranza e di fede. E i bambini che volete redimere, passeggiavano ieri in un lungo corteo per le strade e per piazze imparando i nomi degli edifizi e dei monumenti, e accarezzando la bella e ridente città coi dolci nomi: “Vienna cara, bella, coccola, nostra Vienna!”
Più d’uno forse, alla vista dei grandi affissi color fuoco che annunziavano il Concerto dei bimbi, avrà scosso la testa: “Pazzie, stancare i fanciulli, spender tanto denaro, in simili tempi, per mille cose superflue, non è che in Austria che accadono simili cose…” Certamente, soltanto in Austria c’è tanta elasticità e, come dice “Naumann, tanta melodia” da non dimenticare, ad onta della miseria dei tempi, che “l’uomo non vive di solo pane”. In Francia i profughi muoiono abbandonati sulle vie; in Russia giacciono nelle luride cantine sepolti nel sudiciume; in Serbia furono loro strappati di dosso gli ultimi stracci, e li lasciarono perire nei fossi delle strade; da noi si fabbricano nuove città per fuggiaschi, si pensa non soltanto al loro benessere materiale, ma si fa in modo che possano – poiché involontariamente avvicinatisi al cuore dell’Impero – partecipare alla coltura e alla civiltà della centrale.
I bambini di Wagna vennero a contatto con la loro capitale, ne impararono la lingua, appresero ad amarla. E a questo scopo gareggiarono le autorità, lo stato, i comuni e tutti i ben pensanti – tutti quanti – acciò l’impresa riuscisse bene. Non si è d’avvero sprecato nulla, non fu agito senza riflessione. E non si risparmiò lavoro e fatica. Un dipartimento dell’I. e R. Ministero dell’Interno, già sopraccarico di lavoro, s’incaricò della vendita dei biglietti; un consigliere comunale portava indefesso, sbuffando, piatti pieni di minestra di tavola in tavola, per aiutare a saziare gli stomaci affamati. Delegati dell’I. e R. Luogotenenza stiriana paternamente sorvegliavano, muniti di pezzuole e salviette il piccolo popolo, e mai il cuore dell’Impresario, l’i e r. Direttore delle Baracche fu più commosso di legittimo orgoglio che in quella sera del Concerto.
Perché tutto ciò? Per veder splender di gioia tanti occhietti infantili, per udir le vocine giubilanti gridar “Vienna cara e coccola” – per aiutare il sorgere di una nuova Giovane Austria.
Con un magnifico sole pelegrinammo a Schönbrunn, salendo sino alla “Gloriette”. Il cielo azzurro diceva: “Ama la patria! In essa vivono le radici della tua forza” rispondeva la risorgente natura primaverile. E vidi nello spirito la più grande donna dell’Austria, che s’era edificata lassù nel verde un monumento impareggiabile, stender le braccia maternamente ad abbracciare tutte le povere pecorelle perseguitate dl lupo. Ella stringeva al cuore sorridendo tutte quelle testine brune e bionde, e mormorava loro all’orecchio: “Sii savia, bambina, sii fedele; base d’ogni bene è la fedeltà”.
Passò quell’ora. I bimbi felici ammirarono le belve, diedero pane alle scimmiette, agli uccelli, e poi si sedettero a una grandiosa merenda nel “Cafè Hoffner”. E poi nei carrozzoni e a casa, alla gran casa dei profughi. Alcune ore dopo, i piccoli viaggiatori s’avviavano verso la loro città stiriana, la loro diletta attuale dimora. Vedemmo allontanarsi l’interminabile treno ferroviario, che si perdeva sbuffando nella notte scura.
Uno di noi con gioia ed orgoglio, esclamò allora: “Adesso ormai sanno dove sia la casa paterna comune a noi tutti, e non lo dimenticheranno”.
Iddio lo voglia! – risposi a bassa voce. E ci stringemmo le mani.
Vienna 2 aprile 1916
Nella foto: profughi italiani a Wagna durante la Grande guerra (Consorzio culturale del Monfalconese)
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