IL CASO
Monfalcone, lavoratori bengalesi vittime di estorsioni per «pagare la moschea»
A fare luce sul sistema illegale è stato il programma Fuori dal coro. Cisint: «Necessari sistemi di controllo sui finanziamenti». Konate denuncia. Haq: «Sistema non legato ai Centri».
«Se non paghi la moschea non lavori». Questa è la frase che molti cittadini bengalesi si sarebbero sentiti rivolgere dai titolari connazionali di alcune ditte appaltatrici del Cantiere di Monfalcone. Il caso è stato portato all’attenzione della pubblica opinione dalla trasmissione “Fuori dal coro” di Rete 4, andata in onda ieri sera, mercoledì 4 dicembre. Il servizio tv della rete Mediaset ha quindi denunciato un presunto sistema di pizzo che grava pesantemente su buona parte dei lavoratori asiatici. «Tutti i mesi si fanno restituire da ogni dipendente metà dello stipendio che finisce nelle tasche delle moschee abusive» si apprende dalla cronaca del programma nel quale è stato intervistato un testimone restato anonimo che ha riferito di aver dato al “sistema” «minimo 30mila euro». In sostanza si parla di un «pizzo per il lavoro» generato attraverso traffici di contanti prelevati dai centrali bancomat cittadini in piazza della Repubblica dopo “il via” lanciato attraverso alcune telefonate. Pena dei mancati versamenti: restare disoccupati.
«Molti di questi soldi finiscono per la moschea – prosegue il testimone della trasmissione – questa moschea fa business. Il capo della moschea controlla tutto a Monfalcone». E ancora, ribadisce: «Monfalcone è controllata dal capo della moschea». Di questo soggetto e di un “ponte” tra sistema imprenditoriale e centri islamici saranno le autorità competenti ad occuparsene ma Fuori dal Coro ha richiamato pure l’attenzione sull’ex condannato per caporalato ed estorsione Kabir Miah. L’uomo, collaboratore del Centro Islamico Darus Salaam, ha però scontato la sua pena e dal settembre 2021 è libero.
Quanto andato in onda ieri sera rappresenta un tema che preoccupa molto l’assessore ed eurodeputata leghista Anna Maria Cisint che ai microfoni del programma televisivo domanda: «C’è in Italia, anche per la Chiesa Cattolica, un sistema di controllo della provenienza dei fondi che finanziano i centri islamici?». «Io penso che non ci sia – conclude – questo è molto grave, oggi lo pretendiamo». Sul caso, il presidente onorario del Darus Salaam Bou Konate - che non ha rilasciato dichiarazioni alla trasmissione tv – alla nostra testata ha riferito: «Abbiamo già fatto una denuncia dieci giorni fa alla pubblica sicurezza. Ora la parola è alla magistratura e ai nostri avvocati». Il referente del centro Baitus Salat, Rejiaul Haq Raju – all’estero per lavoro - così descrive la vicenda: «Sono le solite cose architettate per alimentare polemiche prima della sentenza di febbraio del Consiglio di Stato». «Noi siamo puntualmente controllati dalla Guardia di Finanza e siamo regolari – conclude - il sistema imprenditoriale non è legato ai nostri Centri».
«Come consigliere comunale di Monfalcone e come cittadino di origine straniera, mi sento profondamente indignato dal modo in cui viene rappresentata la nostra città e la comunità straniera che vi risiede – replica il consigliere bengalese del Pd, Sany Bhuiyan - Monfalcone è una città operosa, dove migliaia di persone, italiane e di origine straniera, lavorano duramente e contribuiscono al suo sviluppo economico e sociale». «Purtroppo, ci sono forze politiche che, anziché proporre soluzioni concrete ai problemi reali della nostra città, preferiscono alimentare divisioni, diffondere la disinformazione e perpetuare stereotipi dannosi. Il video che sta circolando è un chiaro esempio di come si tenti di strumentalizzare una comunità onesta per interessi personali o politici» continua.
«Condanniamo con fermezza qualsiasi forma di illegalità, comprese estorsioni o illeciti legati al denaro, ma è altrettanto importante denunciare la distorsione dei fatti che getta un'ombra ingiustificata su intere comunità – conclude Bhuiyan - questi attacchi danneggiano non solo i cittadini di origine straniera ma anche l'immagine stessa di Monfalcone, presentandola al resto d’Italia come una città divisa e problematica, quando la realtà è ben diversa». «Invito tutti a concentrarsi su ciò che conta davvero: il benessere collettivo, il lavoro dignitoso e l’integrazione, che passa attraverso il rispetto reciproco e una politica che non si nutra di odio o discriminazione. Monfalcone merita di essere rappresentata per ciò che è: una città che accoglie e cresce grazie al contributo di tutti».
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