a ronchi
I misteri irrisolti di Unabomber, quel podcast che ha fatto riaprire il caso

Ieri sul palco del Festival del giornalismo anche Francesca Girardi, rimasta ferito da un ordigno posizionato dal bombarolo del Nordest.
Era il 21 agosto del 1994 quando il primo tubo bomba esplose alla sagra degli osei di Sacile provocando il ferimento di una madre e delle sue due figlie. Solo il primo di una lunga serie, perché molti altri saranno gli ordigni che esploderanno e molte altre le vittime di quello che i giornali chiameranno – in richiamo al caso americano - l’Unabomber friulano. Una di queste vittime è Francesca Girardi, che rimase ferita alla mano e all’occhio destro a causa di un evidenziatore colorato raccolto da terra, e si trovava ieri sul palco del Palatenda in piazzale Martiri delle foibe a Ronchi dei Legionari.
Con lei, al Festival del giornalismo Leali delle notizie, i giornalisti Marco Maisano – che oltre alla realizzazione del podcast “Fantasma – il caso unabomber” è riuscito ad ottenere la riapertura del caso da parte della Procura di Trieste -, Ugo Dinello e il vicecaporedattore del Piccolo Roberto Covaz. Negli anni Novanta l’America ancora viveva nel terrore del primo Unabomber – arrestato dall’Fbi nel 1996 – che già negli anni Settanta aveva iniziato la sua guerra personale contro i “pericoli del progresso tecnologico”, colpendo docenti universitari, studenti, scienziati.
Ed è dai suoi bersagli che deriva il celebre nome in codice creato dall’Fbi “Unabom”, da “University and Airline Bomber”. Ma, se nel caso statunitense il fratello dell’attentatore riuscì a scoprirne la colpevolezza, lo stesso non è avvenuto nell’indagine italiana. Tanti i nomi, le indagini, le piste seguite, fino ad arrivare all’ingegner Zornitta, principale indagato, anche se, nonostante le perquisizioni, nessuna prova fu trovata nei suoi confronti. Questo fino alla conferma di coincidenza tra le lame delle forbici dell’ingegnere e il taglio di un lamierino inesploso di Unabomber, che portava così all’incriminazione certa del sospettato.
Ma sarà l’intuizione dell’avvocato Paniz che farà scagionare Zornitta, facendo notare la mancava un centesimo di millimetro sul lamierino rispetto alla misurazione iniziale, e provando così la manomissione intenzionale di Ezio Zernar, il direttore tecnico del laboratorio di investigazioni criminali della Procura di Venezia, l’unica persona che infine fu incriminata mentre il caso venne definitivamente archiviato. Diverse sono le teorie sul possibile colpevole, o colpevoli: per Marco Maisano la scia più probabile è un solo uomo che, anche in seguito anche a diversi tentativi di prova artigianali, come le “cabine telefoniche che saltavano in aria a Pordenone”, ha iniziato a porre in luoghi pubblici i suoi ordigni.
Maisano sottolinea infatti l’evoluzione del bombarolo, “che secondo alcuni artificieri è sempre lo stesso”, che deciderà successivamente anche di mutare strategia, “rendendo gli ordigni molto più piccoli e inserendoli in oggetti di uso quotidiano, per scatenare il panico rendendo tutti delle possibili vittime”. La stessa teoria è condivisa da Francesca Girardi, che si immagina “una persona che ha colmato le sue mancanze e difficoltà con tali ordigni e il cui lavoro gli ha dato la possibilità di allenarsi in questo”. Il giornalista Ugo Dinello sembra invece convinto che, dietro al mistero irrisolto, vi sia invece un’organizzazione criminale.
“Nessuno nasce bombarolo - spiega -, era qualcuno di molto bravo che ha potuto fare molta pratica”. Fa notare inoltre che le microbombe erano di progettazione più raffinata di un semplice ordigno e non venivano neppure insegnate nell’esercito. Se una persona qualsiasi fa dei tentativi di questo genere, provocando esplosioni in luoghi aperti o finendo al pronto soccorso per un ferimento “arrivano i carabinieri dopo cinque minuti”, ed è dunque probabile che “questi bombaroli si siano allenati in un posto adatto e con la presenza di personale che li potesse curare senza denunciare le loro azioni”.
“Tutte le bombe delle stragi che hanno sconvolto l’Italia sono state fatte solo tra Veneto e Friuli, cosa agiva qui? Quali organizzazioni? E perché Unabomber è nato proprio qui?” le domande lasciate sospese dal giornalista. Nel suo ultimo libro “La via delle armi. Gladio, Peteano, Unabomber e altre verità nascoste”, Dinello fa appunto riferimento alla Gladio italiana, l’unica attiva in Europa, che avrebbe agito nell’estate del ‘94 in risposta all’azione di verità su Gladio promossa dal magistrato Felice Casson.
“I gladiatori non volevano che venisse fatta un’operazione verità nella quale venissero presi tutti i loro nomi, ed è infatti dall’estate del 1994, in cui Casson chiede ogni 15 giorni ad Andreotti che venga tolto il segreto di Stato dalla strage di Peteano (e verrà successivamente tolto su Gladio), che iniziano gli attentati”. Ritiene infatti improbabile che una sola persona potesse essere in grado di lasciare gli ordigni senza che nessuno se ne accorgesse, in piccole realtà o in un luogo militarizzato come Portogruaro.
Il dubbio è rivolto anche verso la prova del capello rinvenuto, che può essere intesa come “assicurazione” posta lì appositamente: difatti, se mai il colpevole venisse trovato, non avrebbe quel dna. Starà comunque alla procura di Trieste, con i nuovi strumenti oggi a disposizione, cercare una nuova strada, una luce in questo mistero, e sarà il 9 ottobre il giorno della verità, nel quale le analisi verranno svelate e si scoprirà se sarà possibile seguire nuove tracce o se questo, come purtroppo tanti altri, rimarrà un crimine lasciato alla storia e alle sole interpretazioni.
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