Mille giorni per neo-mamme e bebé, viaggio nel Percorso nascita a Gorizia

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Mille giorni per neo-mamme e bebé, viaggio nel Percorso nascita a Gorizia

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 02 Mar 2024
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Marilena Francioso e Roberta Giornelli raccontano la chiusura del Punto nascita e lo sviluppo di un percorso diverso per aiutare mamme e bambini.

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Il percorso che porta alla nascita di una mamma e di una famiglia comincia, a Gorizia, nel consultorio familiare ospitato al primo piano della palazzina A dell’area di via Vittorio Veneto. Il tutto si estende alla struttura di Ostetricia e Ginecologia dei due ospedali di Gorizia e Monfalcone, in un viaggio che vede gli specialisti muoversi in tutte le tre realtà senza trascurare la cura “ad personam” con le visite domiciliari.

Dimentichiamoci i pregiudizi che accompagnavano i consultori degli anni Ottanta e Novanta, le finalità per le quali erano stati istituiti e il target a cui si pensava fossero destinati. E cerchiamo di mettere fra parentesi l’ormai lontana bagarre sulla chiusura del Punto Nascita di Gorizia. I servizi all’utenza sono proseguiti e, anzi, sono stati condotti in modo da raggiungere in modo capillare le donne e da amalgamare in un rapporto di reciproca collaborazione servizio ospedaliero e territoriale, con l’obiettivo di proiettarsi al futuro: un futuro che porta alla prossima apertura della Casa della Salute della donna e del Bambino all’interno del Parco Basaglia.

Ma torniamo un attimo al giugno 2014, con la chiusura del Punto nascita al San Giovanni di Dio: cosa sia successo da quel momento in poi ce lo raccontano Marilena Francioso, da circa dieci anni direttore della Stuttura complessa Salute della Donna, dell'Età Evolutiva e della Famiglia per l'Area Isontina di Asugi, e soprattutto Roberta Giornelli, appassionata Coordinatrice ostetrica e referente ostetrica aziendale.

Cosa è successo al momento della chiusura?
Si è trattato di un momento, certo molto forte, che però andava di pari passo con una riorganizzazione dei punti nascita voluta dall’accordo Stato regioni del 16 dicembre 2010 che intendeva dare impulso alle attività di integrazione ospedale-territorio. Nel 2011 abbiamo quindi iniziato a perseguire questo obiettivo strategico, prima ancora di sapere cosa sarebbe successo a Gorizia, dove la direzione ha compreso l’importanza del fatto che, nel momento in cui si doveva chiudere qualcosa, si doveva anche implementare il servizio territoriale e omogeneizzare l’offerta.

È stato un momento difficile anche per noi perché abbiamo vissuto una perdita ma dall’altra parte abbiamo conosciuto il cambiamento che ci ha portato a oggi. Ha permesso di strutturare un percorso nascita che è diventato un modello a livello regionale, riconosciuto da documenti come la legge 723 del 2018 e la 1486 del 2021: tutto quello che abbiamo messo in campo, molto prima degli altri, offre una risposta piena e lo ritroviamo nelle linee nazionali e internazionali.

In cosa consiste il percorso nascita?
Per percorso nascita si intende un periodo che si dice debba durare 1000 giorni, in cui quindi il momento parto e la parte ospedaliera - che consiste in sole 48 ore – è dunque una minima parte. Il percorso è invece prettamente legato a una riorganizzazione del territorio che ancora poco si sta espletando nel resto della regione, mentre noi abbiamo creato una capillarità che ha permesso di far percepire meno la chiusura perchè lavoriamo in continuità: il gruppo delle ostetriche che si trova in reparto è lo stesso che opera sul territorio con le visite domiciliari, questa è la nostra forza e la novità.

È un modello organizzativo di continuità del lavoro dell’ostetrica chiamato midwifery led continuity model avallato dalla Cochrane (network internazionale indipendente e no-profit nato nel 1993 con lo scopo di raccogliere e sintetizzare evidenze scientifiche accurate e aggiornate sugli effetti degli interventi sanitari, ndr): è una sorta di accudimento familiare, la donna si sente presa in carico grazie anche alla presenza di un’équipe in cui rientrano non solo ginecologi e ostetriche. Ogni volta che rileviamo una fragilità o situazioni che vanno supportate abbiamo tutta la struttura dietro, con psicologhe, assistenti sociali e ciò che può essere la risposta dell’attività consultoriale.

Quindi voi siete stati i primi in Italia a proporre un modello diverso?
Non i primi in Italia: in Emilia Romagna c’era già qualcosa in questo senso ma siamo comunque stati fra i pionieri. Abbiamo cominciato risistemando quello che già c’era anche a livello di contenuti aggiungendo ogni anno qualcosa in più. Già nel 2012 siamo partiti con l’assistenza alla gravidanza fisiologica nei due consultori di Gorizia e Monfalcone: un vero cambio epocale per cui tutte le gravidanze fisiologiche vengono dirottate, dall’ospedale o dal medico di base, direttamente al consultorio.

Qui il ginecologo e l’ostetrica fanno un primo triage per valutare se sia il caso che venga attivata un’osservazione più intensiva e specialistica o se invece la donna, non presentando patologie o problemi particolari, possa essere seguita esclusivamente dalle ostetriche. A ogni visita viene comunque effettuata una rivalutazione e, qualora siano intervenute delle nuove condizioni, rivediamo l’approccio: il rischio è piuttosto dinamico nei nove mesi ma, in linea con le evidenze internazionali, se non ci sono difficoltà non devono essere offerti servizi di medicalizzazione perché si cerca di tornare alla naturalità della nascita.

Quali sono le attività concrete?
Se parliamo del pre-parto come offerta abbiamo il percorso della gravidanza e di assistenza alla gravidanza che prevede l’interazione con la parte ospedaliera sia per la diagnosi prenatale (il servizio di ecografie) sia per la gravidanza a rischio. Offriamo poi i corsi di accompagnamento alla nascita, che possono comprendere piccoli gruppi per attività di ginnastica o il rilassamento, ma anche incontri con psicologi, anestesista e il pediatra per dare più informazioni possibili. Poi c’ è il corso in piscina, che inizia alla ventesima settimana, subito dopo l’ecografia morfologica e si protrae fino alla fine della gravidanza.

Poi c’è il momento del parto…
Ovviamente è un momento ospedaliero ma la cosa che è cambiata a livello nazionale anche su spinta ministeriale è che siano le ostetriche a dover seguire il parto. C’è una rivalutazione e, se non ci sono condizioni particolari, questo momento viene gestito direttamente dall’ostetrica per esempio nella famosa Stanza dei tulipani, come se fosse un parto a domicilio, evitando la sala parto ipertecnologica a cui si accede, ovviamente, in caso di necessità.

E una volta a casa?
Quello che era ed è ancora carente a livello nazionale è l’offerta post parto che, con la chiusura del Punto Nascita di Gorizia, abbiamo immediatamente potenziato iniziando subito le visite domiciliari da parte dell’ostetrica. Venivano raggiunte tutte le donne che erano residenti a Gorizia e partorivano a Monfalcone, senza campanilismi, poi pian piano abbiamo esteso il servizio a tutto il territorio Alto e Basso Isontino, indipendentemente dall’ospedale in cui si partorisce e questo grazie anche alla collaborazione con il Burlo e con l’ospedale di Udine che, al momento della dimissione, ci mettono direttamente in contatto con la neo mamma.

Oltre alle visite domiciliari, che si fanno nel primo mese di vita, poi c’è un servizio di ambulatorio mamma-bambino che gestiamo sempre con le ostetriche dove facciamo il controllo del peso e supportiamo l’allattamento perché il primo mese è un momento molto delicato per i sentimenti di solitudine e il fatto che l’accudimento comporta un cambiamento importante. C’è sempre grande attenzione su sintomi depressivi, di ansie, preoccupazioni e paure: grazie all’integrazione fra operatori cerchiamo di intervenire prima possibile anche dal punto di vista dell’emotività della donna e della famiglia.

Inoltre in questo periodo di osservazione riusciamo a colmare la difficoltà data dalla scarsità di pediatri di libera scelta: lavoriamo tantissimo in collaborazione con loro e cerchiamo di coprire tutto il primo mese del neonato, ma in seguito continuiamo i controlli in sinergia con il pediatra di base. Stiamo anche colmando la solitudine che c’era prima: nell’ultimo anno e mezzo abbiamo fatto dei corsi post parto con un’offerta diversa, un incontro pressochè mensile che può prevedere il massaggio al bambino ma anche l’incontro con lo psicologo, il pediatra o appuntamenti sull’alimentazione complementare. Ecco quindi che andiamo a coprire i mille giorni del percorso nascita.

Tutto questo viene proposto da voi che siete donne, ma ci sono ostetrici?
Noi in Asugi non ne abbiamo, ce ne sono altrove, pochi, ma ce ne sono. Purtroppo a parte il primario, il dottor Boschian, non abbiamo neanche più ginecologi ma solo donne che prevalgono pure fra gli altri professionisti dell’équipe.

Le donne straniere usufruiscono di questi servizi?
Il percorso è ovviamente aperto a tutti. C’è un ostacolo linguistico, abbiamo i mediatori culturali ma la nostra fetta di donne straniere, per la parte del Basso Isontino, è rappresentata soprattutto dalle donne bengalesi: abbiamo provato a offrire il corso preparto ma viene seguito da chi fa un percorso di integrazione in senso ampio. Hanno un differente approccio all’evento nascita, vivono diversamente ciò che accade durante il parto, non sentono di doversi preparare e lo vivono fra di loro.

Quello che abbiamo fatto, visto che vivono molto il senso di comunità, è stato proporre degli incontri specifici anche con la mediazione culturale: potrebbe sembrare un momento di isolamento, ma in realtà abbiamo dato risposta a ciò che vogliono. Ci sono molte donne di altre etnie che vengono ai corsi ma l’ostacolo linguistico resta comunque importante.

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