La memoria davanti al monumento dell'Honvéd, soldati ricordati a Peteano

La memoria davanti al monumento dell'Honvéd, soldati ricordati a Peteano

la celebrazione

La memoria davanti al monumento dell'Honvéd, soldati ricordati a Peteano

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 23 Set 2023
Copertina per La memoria davanti al monumento dell'Honvéd, soldati ricordati a Peteano

Restituito il monumento restaurato grazie al lavoro degli appassionati, davanti a una folta delegazione di istituzioni giunte dall'Ungheria.

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I crochi ancora bagnati dalla pioggia si ergono ai margini del sentiero che s’inerpica nel boschetto. Autorità italiane e ungheresi camminano in silenzio lungo il bosco, fino a raggiungere il monumento costruito in ricordo del IV reggimento di fanteria “Honvéd” - contro cui combatté l’esercito italiano, ispirando Ungaretti per la sua celebre “San Martino del Carso”. Si è svolta così, la cerimonia di inaugurazione del manufatto restaurato, eretto dai militari austroungarici oltre un secolo addietro a Peteano.

Presenti alla cerimonia - oltre al prefetto Raffaele Ricciardi, al consigliere regionale Antonio Calligaris e al vicesindaco di Sagrado Simonetta Visintin - il viceministro della Difesa ungherese Támas Vargha, il comandante del Museo e istituto di Storia militare di Budapest, il colonnello László Töll, il vicesottosegretario agli affari esteri Bató György, il console generale di Milano Jenő Csuszár, l’addetto militare dell’Ambasciata ungherese di Lubiana colonnello László Kaputa e il direttore generale dell’Istituto del Patrimonio nazionale di Budapest Móczár Gábor Attila.

Partendo da Peteano, la delegazione si è spostata a piedi presso il luogo in cui nel 1917 fu eretto il monumento. Brividi di guerra che è possibile rivivere attraverso le ricostruzioni del museo di San Michele e presso la Fondazione Carigo di Gorizia, indossando speciali visori. In un immaginario viaggio nel tempo, ci si ritrova durante la Prima guerra mondiale, ricostruzione fedele che catapulta i visitatori nelle trincee, mentre piovono granate a gas. A prendere la parola è stato il presidente del Gruppo speleologico carsico, Gianfranco Simonit, che dopo aver ringraziato i presenti ha voluto ricordare l’importanza della collaborazione con gli amici ungheresi.

«Una collaborazione che dura da molti anni. Se meritiamo la fiducia di istituzioni così importanti, significa che stiamo lavorando bene». Simonit ha sottolineato come il monumento – già ricostruito trent’anni addietro dal gruppo alpino di Monfalcone – sia stato restaurato con il contributo del finanziamento ungherese, e con il lavoro dell’architetto Silvo Stock e di Paola Venuti. I quali insieme a Aurora Secchi e Francesca Fontana hanno riportato il manufatto allo stato originale. La parola è andata poi al viceministro Vargha, che ha ricordato come queste giornate di battaglia commemorate siano «uno dei capi più dolorosi, quello che nelle nostre coscienze collettive sono note come l’inferno terrestre».

Giornate che non sono simbolo di sconfitta, quanto piuttosto «della resistenza ungherese, e come tale va preservato». Posizioni rudimentali, quelle innalzate durante il conflitto che imperversò fra il giugno del 1915 e l’agosto del 1916. «Offrivano poco riparo – ha proseguito Vargha, poca protezione, con muri fatti di pietra. Per questo motivo la perdita di vite umane fu immensa. Eppure, i soldati cercarono di resistere in modo eroico, in questa battaglia che sembrava infinita. Qui combatterono i soldati della XX divisione fanteria ungherese, tra cui il IV reggimento di fanteria “Honvéd”, e i soldati della mia città, facenti parte del 17.mo reparto fanteria ungherese».

«Károly Kratochwill von Szentkereszthegy diede ordine di costruire quattro monumenti commemorativi, uno dei quali si trova sul monte San Michele. La costruzione e il restauro di questo monumento contribuiscono a ricordare il passato militare e l’eroismo dei nostri valorosi. Per questo ci siamo riuniti sull’altopiano di Doberdò, in un ricordo che non si è mai spento», ha osservato il viceministro, rimarcando come «ogni ricordo sia edificante solo se si impara dagli eventi del passato, integrandoli nel nostro percorso». Motivo che ha spinto a firmare un accordo fra Italia e Ungheria, per commemorare le vittime della guerra, restaurando manufatti che possano essere monito anche per le generazioni future.

A parlare è stato poi il prefetto Ricciardi, che ha voluto osservare come il monumento sorga in «un territorio splendido, ma un territorio impervio dove sono state spese tante vite umane. È per questo che l’esercizio della memoria è importante, laddove le vittime ci ricordano di quali dolori le guerre si fanno portatrici». Di qui l’importanza di «mantenere i simboli della memoria, come questo monumento che porta con sé riflessione e commozione, per evitare che le tragedie del passato possano ripetersi ancora».

A seguire, l’intervento di Calligaris, che portando i saluti del presidente Fedriga e del presidente del consiglio regionale Mauro Bordin, ha manifestato la speranza che lo spirito comune sia quello della targa voluta dal Duca d’Aosta, posta sul Monte san Michele. «Gli italiani scrissero “Su queste cime italiani e ungheresi, combattendo da prodi, si affratellarono nella morte”. Questo giorno di oggi sia in questo solco, in questa tradizione di ricordo fra ungheresi e italiani. Una giornata importante anche per le popolazioni di questi luoghi, che hanno curato i monumenti sin dalla Prima guerra mondiale. Monumenti che ci affratellano nel ricordo».

Oltre al manufatto in pietra è stato restaurato anche il kopjafa ligneo antistante, accanto al quale si è collocato il picchetto d’onore. «Questi momenti devono farci riflettere sul passato e su quanto accaduto», ha affermato la vicesindaca di Sagrado Visintin. «Tuttora non abbiamo ancora smesso di fare guerra, non lontano da noi si sta ancora combattendo. Oggi siamo qui in amicizia, con spirito di fratellanza, che dovrebbe continuare anche fuori da questi momenti commemorativi. Allora vorrei ricordare non soltanto le vittime della guerra, ma anche i sopravvissuti, come scrisse Ungaretti». Che commosso scrisse, in questi stessi luoghi: “È il mio cuore/ il paese più straziato”.

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