l'intervista
Manca personale, il sindacato: «Richiedenti asilo per la stagione a Grado»
Manca mano d'opera sull'isola, «rischio legato al diritto all'accoglienza».
L’arrivo del caldo e della stagione estiva non riservano solo belle giornate fatte di sole, passeggiate, bagno al mare o relax in montagna. Assieme all’estate riaffiorano nuovamente anche tanti problemi e questioni aperte riconducibili al mondo del lavoro e alle emergenze sociali. A farsi portavoce di queste problematiche è il sindacato Usi Cit di Monfalcone. Nei giorni scorsi, l’Unione sindacale italiana ha così lanciato l’allarme per la mancanza della manodopera stagionale, necessaria soprattutto in agricoltura, turismo e commercio.
“La pandemia, non ancora debellata – scrive il sindacato in un comunicato - ha acuito la penuria di lavoratori. Il 2022 porta con sé altre questioni. Innanzitutto è cambiato l'approccio al lavoro in particolare delle giovani generazioni. È in atto forse il più grande sciopero non dichiarato della storia del capitalismo. Migliaia di persone stanno abbandonando i loro posti di lavoro, anche fissi, stufi dello sfruttamento e delle frustrazione dovuta ad impieghi di routine e dalla scarsa realizzazione personale”.
In particolare, per la sigla, le ragioni per cui non si trovano lavoratori e lavoratrici disposti ad impegnarsi nel settore turistico, sono riconducibili alle paghe definite “da fame” e dalla scarsità di diritti garantiti talvolta solo in minima parte. Abbiamo chiesto alla locale sezione sindacale di via Terenziana alcune spiegazioni e delucidazioni sulla situazione, nella quale riversa la realtà lavorativa stagionale della zona che guarda soprattutto al litorale.
Quali critiche intendete muovere attraverso il vostro appello? Di fronte a quale situazione ci troviamo?
“La Prefettura di Gorizia, nelle scorse settimane, ha contattato gli enti gestori delle -ormai poche- strutture di accoglienza della provincia per chiedere e cercare personale da impiegare nel settore turistico per conto dell'Ascom di Grado. Nelle strutture di accoglienza sono accolte persone in fuga da guerre o da altre catastrofi e che hanno chiesto protezione per la propria situazione personale. Si tratta quindi di persone che sono portatrici di storie dolorose, difficili e delicate e sono estremamente ricattabili data anche la loro situazione legale”.
Quali sono allora, a vostro avviso, i limiti o i rischi del caso e le preoccupazioni su questo tema?
“Le persone attualmente ospiti in centri di accoglienza governativi, se impiegate in un lavoro stagionale, potrebbero perdere il diritto al supporto stesso dal momento che per poter lavorare a Grado difficilmente potrebbero continuare ad abitare presso le strutture di cui sono attualmente ospiti. Esiste quindi un rischio legato al diritto all'accoglienza, già gravemente violato nella nostra provincia che –pure essendo terra di approdo migratorio attraverso la rotta balcanica– è largamente lacunosa in quanto a posti disponibili in strutture di accoglienza.
Tutti ci siamo sentiti vicini al dramma dei cittadini ucraini. Molti di loro –in gran parte mamme con i figli– sono venuti nella nostra regione in cerca di un luogo sicuro. Ora, di fronte a necessità economiche degli esercenti, queste persone in fuga diventano per noi esclusivamente manodopera da impiegare per i lavori più umili manifestando in questo modo un sottostante pensiero coloniale che li riduce solo a forza lavoro”.
Quindi manifestate dei forti dubbi su quanto chiesto dai rappresentanti dei commercianti alla prefettura?
“Si è trasformato significativamente l'ufficio territoriale del governo in un'agenzia a disposizione del commercio privato. Il pericolo è lo sfruttamento lavorativo in uno dei settori a più alto rischio di inserimento in situazioni di lavoro mal pagato, non regolare, del tutto o parzialmente a nero. Gettare persone straniere che poco o nulla sanno della nostra lingua non gli permetterebbe inoltre neppure di poter avere mansioni non subalterne, né di imparare un mestiere.
Non crediamo di esagerare dicendo che a Grado, come in tutte le località balneari e turistiche, c'è chi ci va a riposarsi e chi a spaccarsi le gambe e la schiena, lavorando in nero tutti i giorni, senza un giorno di festa, per tre mesi, su due turni. E dovendo anche sorridere. Ma questo aspetto riguarda tutti i lavoratori e il risultato è che c'è ormai una cronica mancanza di personale tanto è vero che per trovare qualcuno si va a cercare fino nei centri di accoglienza".
Quali sono allora le vostre proposte?
“Bisogna ripensare il sistema di accoglienza che negli ultimi anni è stato via via smantellato portandoci ad essere largamente impreparati di fronte a situazioni come la guerra in Ucraina o la riapertura estiva della rotta balcanica. Se la prima era forse difficilmente prevedibile, la seconda era praticamente scontata. Il fenomeno migratorio di massa è una delle realtà dell'epoca che stiamo vivendo motivo per cui non solo dobbiamo abituarci all'idea di una società in cambiamento, ma anche attrezzarci per conviverci.
Occorre quindi innanzitutto ridare risorse all'accoglienza, svincolarla da un'ottica emergenziale, porl sotto il controllo delle amministrazioni locali e non del Ministero degli Interni, favorire l'accoglienza diffusa. Già queste prime azioni potrebbero permettere di creare percorsi di reale inserimento sociale e lavorativo che non siano delle chiamate collettive per lavori faticosi, mal retribuiti e peggio tutelati fatti a persone ricattabili e in situazione di difficoltà”.
Foto di archivio (National Archives and Records Administration/Rawpixel)
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