il ricordo
L'ultimo saluto di Gorizia a Demetrio Volcic, il suo sguardo sulla storia
La cerimonia riservata, il ricordo di amici e parenti: «Ci ha fatto capire la Cortina di ferro».
Il suo nome riporta ancora alla mente vecchie immagini, con i colori mossi delle televisioni di una volta. Gli echi di quanto accadeva oltre il Muro di Berlino venivano raccontati all’Italia dalle sue parole, assiduo osservatore della realtà. Ieri mattina, Gorizia ha dato il suo ultimo saluto a Demetrio Volcic, nato Dimitrij Volčič a Lubiana nel 1931, in una cerimonia ristretta a parenti e amici in quella chiesa di San Rocco che lo aveva visto dialogare in più di un’occasione con don Ruggero Di Piazza di fede e coscienza.
Lo stesso sacerdote ne ha ricordato le qualità umane e professionali dal pulpito della chiesa. L’ex corrispondente dall’Unione sovietica era ben coscio delle sue radici, dell’essere stato battezzato con il rito serbo-ortodosso, aspetto ripreso nella tomba che ne raccoglie le spoglie con il simbolo inciso su di essa. In ogni caso, era difficile dire che fosse un uomo di fede: “Ci siamo chiesti se fosse il caso di fare una cerimonia religiosa per papà” sono state le parole del figlio Alessandro, chiamato a parlare del genitore.
Alla fine, è arrivata la scelta di tenere le esequie religiose per ricordare una persona che guardava al mondo nella sua complessità, riuscendo a districarsi in tempi e luoghi difficili. “Papà non venne mai a compromessi con la destra - ha sottolineato il figlio - né con il nazionalismo serbo, aveva una profonda spiritualità. La sua era un’identità di confine”. Ricordo condiviso dall’amico e scrittore Sergio Tavano: “Volcic non ci ha fatto scoprire la Cortina, ma ce l’ha fatta capire, soprattutto con l’intelligenza delle cose”.
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