La lingua perduta che divide due fratelli, memorie e debutto a Nova Gorica

La lingua perduta che divide due fratelli, memorie e debutto a Nova Gorica

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La lingua perduta che divide due fratelli, memorie e debutto a Nova Gorica

Di Redazione • Pubblicato il 14 Nov 2024
Copertina per La lingua perduta che divide due fratelli, memorie e debutto a Nova Gorica

Ieri sera la pre-anteprima del secondo spettacolo di Inabili alla morte, questa sera il debutto ufficiale. Al centro due fratelli: un ex fascista e un ex partigiano comunista.

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Una lingua che sembrava dimenticata, anzi cancellata, che riaffiora da un passato tanto a lungo nascosto. È quando le carte vengono stravolte all’interno della psiche che si ritrovano fogli seppelliti dalla storia, come un fiume carsico che travolge tutto e poi si ritira, lasciando una confusione che diventa la trama centrale dello spettacolo. In una matassa complessa di fili, si intrecciano i personaggi di "V iskanju izgubljenega jezika", ossia Alla ricerca di una lingua perduta, secondo capitolo della trilogia Inabili alla morte.

L’opera, firmata da Janusz Kica, è andata in scena ieri sera al Teatro nazionale Sng di Nova Gorica in pre-anteprima raccogliendo numerosi applausi, al termine di due ore di rappresentazione (questa sera il debutto ufficiale alle 20, con sovratitoli in italiano e sloveno). Un racconto articolato e frammentato, quello proposto dalla co-produzione Sng Nova Gorica, Mittelfest e GO! 2025 e che, come il primo titolo della serie, trova ambientazione nel Novecento. Questa volta, però, a calcare il palco sono le storie di due fratelli e le rispettive famiglie, divise dal proprio destino prima ancora che dalla Seconda guerra mondiale.

Da una parte c’è Giuseppe Materazzi, o meglio Marjan Ramovš (Radoš Bolčina), politico di destra che fomenta l’odio anti-sloveno a Trieste negli anni Sessanta. Dall’altra il fratello Stane Ramovš (Aleš Valič), funzionario del Partito comunista jugoslavo a Lubiana dopo aver combattuto come partigiano titino. Tutto parte dall’ictus che colpisce Marjan, che dopo decenni ritorna a parlare in sloveno, sua lingua madre, ma non riconosce più nemmeno suo figlio. L’unica cosa che vuole è tornare nella sua vecchia casa appena oltre il confine italo-jugoslavo. Qui rincontrerà proprio Stane.

Due vite, le loro, che hanno preso strade completamente opposte fin da ragazzini, accumunate ora solo dall’odio verso il padre violento e irrascibile. A comporre questo mosaico di vite e frammenti, anche le storie dei rispettivi familiari che diventano ombre più o meno definite in mezzo a una memoria sempre più volubile. Personaggi che iniziano a prendere consistenza all’interno della trama ma che a un certo punto scompaiono, sedendosi in platea come rigettati da un copione che si scrive dialogo dopo dialogo. Una seduta onirica che pervade il pubblico stesso, spiazzato a sua volta.

La vicenda stessa del confine fa da sfondo a questo frugare disordinatamente negli archivi di una memoria sempre più increspata. La divisione tra fascismo e comunismo diventa allora un soprabito, superfluo quanto necessario, allo sbrigliare una trama che nasconde dolore in ogni suo angolo. Come quello di un uomo che si ritrova imbrigliato in un ufficio a osservare faldoni inutili, dopo aver combattuto (quasi per caso) per la propria libertà e finendo per raggiungere quello che sembrava a molti un sogno: il comunismo. Anche se alla fine la vita non è come se l’aspettava.

Il testo di Goran Vojnović, costruito in un linguaggio evocativo e simbolico, supera la narrazione realistica e si rivolge direttamente al pubblico in uno spazio di ricordi frammentati e mutevoli, sopra e sotto il palco. Questo diventa un territorio di memorie individuali e collettive, dove passato e presente si fondono, richiamando antichi traumi familiari che risuonano nel presente. La scenografia astratta, insieme a luci e musiche, contribuisce a creare un'atmosfera sospesa che riflette l’ambiguità del confine tra identità personale e collettiva. Un non luogo chiuso dentro uno stagno.

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