Lettere - Di lavoro si muore

Di lavoro si muore

LA LETTERA

Di lavoro si muore

Di S.F. • Pubblicato il 19 Gen 2024
Copertina per Di lavoro si muore

L’ex esposto amianto si fa portavoce di un corposo ragionamento sul mondo del lavoro prendendo in considerazione molti aspetti che riguardano il nostro territorio.

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In una brutta giornata per la città visto il grave incidente sul lavoro avvenuto questa mattina in Cantiere a Monfalcone, riceviamo una lettera di Luigino Francovig. Ancora una volta, l’ex esposto amianto si fa portavoce di un corposo ragionamento sul mondo del lavoro. Francovig prende in considerazione i dati degli infortuni mortali, quelli degli infortuni temporali e delle malattie professionali riconosciute. L’autore affronta anche le realtà del lavoro in trasferta e di quello svolto a casa.

Marca l’attenzione sulle «vittime di scelte politiche» e definisce «un crimine di guerra in tempo di pace» la diagnosi delle malattie che derivano dal contesto lavorativo. Francovig invoca pure che la protezione e la sicurezza diventino una «questione sociale e culturale per la politica» in un tempo di transizione evolutiva che stanno vivendo i gli operai. Denuncia altresì la mancanza di strategie di governo che sarebbero necessarie a garanzia dei processi evolutivi delle realtà lavorative dove non possono esistere «diritti contrattabili» ma dove è necessaria una politica che «incontri il popolo». S.F.

Parlerò senza la loro presenza, i lavoratori e senza un loro mandato. Parlerò di loro. Quindi con grande rispetto, con grande umiltà, senza ambizione di avere tutte le verità e soluzioni, senza mettere bandierine, vorrei portare alcuni punti da condividere, sperando diventino una opportunità per una missione comune. Parlare è rompere il silenzio, sul lavoro, sui lavoratori, sulle aziende innovatrici, sulle protezioni della salute e della sicurezza sul posto di lavoro e a casa. Accendo la luce e vedo una catasta di problematiche nella quale va trovato un bandolo. Non è una materia infettiva, interessa solo chi lavora, migliaia di persone, i lavoratori, chi mantiene lo Stato onestamente.

Questo tema è quello che ti entra direttamente dentro il corpo. Causa la globalizzazione, allo scontro di classe, alla scomparsa della contrattazione, i lavoratori e i loro rappresentanti sono diventati vittime. Subiscono conseguenze drammatiche sulla sicurezza e sulla salute, infortuni, morti, malattie professionali mai viste. Cito un monitoraggio dell’Osservatorio Nazionale Morti sul Lavoro di Bologna, dell’Inail, dell’Inca Cgil: gli infortuni mortali nel 2021 sono stati 1090; nel 2022: 1361 e nel 2023: 1484. Gli infortuni temporanei o permanenti invece – ma pur sempre traumi che segnano la vita – nel 2021 erano 584.089; nel 2022: 697.773 e 750mila nel 2023. Le malattie professionali riconosciute sono state 55.205 nel 2021; nel 2022: 60.774 mentre nel 2023 è stato registrato un loro aumento del 21%. Va anche tenuto in considerazione il raddoppio delle malattie per i lavoratori stranieri esposti ai lavori più disagiati. Circa un terzo degli infortuni mortali avviene in viaggio - andando e tornando al lavoro - ma anche dovuto al tipo di professione come per gli autotrasportatori, i rider o altri.

Sottolineo anche il posto di lavoro, a casa, posto dimenticato ma pieno di pericoli, 59 sono stati i morti nel 2023, dove ci vivono i bambini. Numeri che vanno aumentati di un 30% dovuti ai lavoratori non iscritti all’Inail, dei lavoratori in nero e dei precari. Attenzione! Sui posti di lavoro ci sono tutta una serie di esposizioni che prese singolarmente possono rientrare nei limiti, ma insieme non diventano sommatorie ma moltiplicatrici sui pericoli per la salute. Sono persone, «vittime per scelta politica» - e per essa - sono solo cronaca. Sono tanti i cimiteri pieni di morti, tutti uguali fatti di dati anagrafici, storie abitative, storie lavorative, esposizione o rischi che dimostrano la causa del decesso. Cambiano nomi e date, non le diagnosi che diventano una condanna a morte, «un crimine di guerra in tempo di pace». Allora, per scelta politica, la protezione diventi una «questione sociale» ma anche «questione culturale». Di lavoro si sopravvive ma di lavoro si muore.

Di qualsiasi posto di lavoro si parli, ne esce fuori una fotografia che mostra un distacco sulla conoscenza dell’industria, del mondo produttivo, quindi, del come viene fatto un prodotto, della qualità di un determinato prodotto, dell’organizzazione del lavoro e di come lavorano i lavoratori, dei rischi e pericoli, della professionalità dei lavoratori. Di conseguenza, esiste la difficoltà a confrontarsi, ma anche il contrastare e il fare rivendicazioni. Gli operai sono racchiusi nel loro posto di lavoro con tutti i loro problemi. Insieme alle aziende innovative però, ci hanno permesso di superare le crisi del 2008, del 2011, del 2019, e oggi stanno dentro a un processo di transizione, non hanno scelta. In tutto questo, i veri emarginati sono i partiti rintanati chissà dove e le istituzioni, senza strategie per il governo dei processi. Tra distacco e sfiducia il passo è breve.

I ritardi di questi anni hanno accatastato una serie di problematiche, ma da qualche parte bisogna cominciare. Cercando il bandolo della matassa provo a fare il punto su alcuni temi locali partendo dalle esigenze dei lavoratori, da quello che è stato fatto e tenendo presenti le decisioni del Parlamento Europeo, come cornice di tutto questo. La protezione della salute e della sicurezza è la spina dorsale della transizione e del futuro sviluppo. Il tema dell’amianto è in evoluzione negativa. Sul tema cito due questioni: importazioni in Europa di manufatti e semilavorati da paesi in cui non è proibito l’amianto. L’esposizione di centinaia di migliaia di lavoratori durante le lavorazioni di ristrutturazioni di edifici per il miglioramento energetico. Lavori fatti con soldi pubblici dove non si richiede un certificato di verifica preventiva della presenza di amianto, di fibre vetrose presenti nell’edificio, e dove, l’esposizione al silicio è devastante, per numero di esposti. Anche nella nostra regione cominciano le conseguenze, i primi casi. Nei giorni scorsi l’Asugi ha elaborato un Documento sulle “Buone maniere” in edilizia, ma siamo in emergenza.

Del documento europeo sull’amianto, vorrei sottolineare un punto, che ci chiama in causa, che identifica e riconosce la scelta politica fatta dai comuni dell’ex provincia di Gorizia sui tubi di cemento amianto per il trasporto dell’acqua potabile. Vengono sottolineati come importanti i recenti studi italiani e l’applicazione del principio di precauzione, un esempio da seguire l’esperienza italiana, che è quella del nostro territorio. Inoltre, ci sono studi riconosciuti dell’Istituto Ramazzini di Bologna - condotti dal professor Brandi e fatti proprio dall’Osservatorio Nazionale amianto - che indicano le conseguenze nei tumori al fegato, ovaie, colon, stomaco. Quando pensiamo all’amianto lo colleghiamo al mesotelioma, purtroppo bisogna rendersi conto che non è solo cosi. La sicurezza sul lavoro è la spina dorsale per costruire il futuro, per dare garanzie ai lavoratori di un'unica vita, evitando che il lavoro provochi, come conseguenza, che una parte del corpo si ammali, e venga sentita come separata e come una vergogna. Una vita di sofferenza. Questi lavoratori vanno a lavorare per un futuro loro e della propria famiglia, del Paese Italia.

Mai più vittime, monumenti, testimonianze e perdite di tempo. Si rivendichino oggi i loro, i nostri diritti, non contrattabili. La condizione indispensabile è costruire un fronte ampio, un patto tra le forze politiche, istituzioni, sindacati, associazioni, medici, ricercatori, imprenditori, nella linea della Costituzione. Farsi carico della responsabilità morale, è la condizione per tornare a fare politica, tornare a scegliere e decidere, cioè fare quello che va fatto. Solo quando la politica incontra il popolo, i cittadini, e insieme scendono in piazza i temi si trasformano in conquiste vere che cambiano la vita. Questo è successo con la Resistenza, con le grandi riforme degli anni 70, il miglioramento sui diritti, la dignità e le conquiste dei lavoratori nei posti di lavoro. I lavoratori non hanno scelta, loro là ci sono. Di lavoro si muore! Facciamola finita, basta.

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