Lo spettacolo
Lacrime per Effetto Bosco, quel cambiamento possibile per attrici e detenuti a Gorizia
Grande successo per lo spettacolo inserito nella rassegna Se io fossi Caino. Il teatro come momento di riscatto e rinascita.
Tanta commozione tra protagonisti e pubblico. Un successo: non solo per lo spettacolo ma per ciò che l’attività teatrale rappresenta per i detenuti. Un momento di libertà, un’occasione di riscatto, di mettersi a nudo e, soprattutto, di ripartire. L’ampio overbooking fatto registrare a Gorizia dal primo spettacolo del festival di teatro e arte "Se io fossi Caino", andato in scena nel pomeriggio di oggi nella casa circondariale di via Barzellini a Gorizia, ha ampiamente ripagato in termini di emozioni i protagonisti della piéce.
Ideato da Fierascena il progetto curato dalla direttrice artistica Elisa Menon ha portato sull’asettico palcoscenico del cortile interno del carcere sette detenuti e tre attrici che, accanto alla stessa Menon, hanno ricreato con pochi e semplici oggetti il groviglio di alberi in cui si svolge e su cui fa riflettere “Effetto bosco”. La rappresentazione, della durata di circa un’ora, ha visto la partecipazione di un centinaio di persone fra cui non potevano mancare storici amici della struttura come don Alberto De Nadai ma anche autorità civili, militari e religiose fra cui gli assessori comunali Romano e Oreti, il vescovo di Gorizia Carlo Alberto Maria Radaelli, l’ex direttore Alberto Claudio Quagliotto e il magistrato di sorveglianza di Udine Katjuscia D’Orlando.
A introdurre lo spettacolo la neo-dirigente Caterina Leva: «Questa iniziativa si svolge da cinque anni nel nostro carcere ma è per me la prima volta e sono quindi un po’ emozionata. Oggi vedremo l’esito di un lavoro faticoso condotto negli scorsi mesi, nato grazie all’empatia e alla professionalità di Elisa ma anche alla disponibilità del personale e degli stessi detenuti che si sono messi in gioco superando paure iniziali».
«È sempre un’esperienza bellissima, ma ciò che è più importante è che il carcere sia in mezzo alla città, per cui le persone non sono cacciate via ma anzi: con iniziative come queste si permette alla cittadinanza di esserci. E grazie al teatro, l’attore che recita interpretando qualcun altro dice sempre qualcosa di se stesso». Così il vescovo, le cui parole sono state riprese dal magistrato di sorveglianza che ha parlato dell’istituto di Gorizia come luogo di riavvicinamento all’esterno grazie all’ampia offerta di attività trattamentali che permettono di crescere a chiunque voglia cogliere l’occasione.
«Desidero innanzitutto ringraziare la Regione che ci sostiene con finanziamenti provenienti da un bando per attività culturali: un segno importante che permette di riconoscere il valore profondo di questa iniziativa, resa possibile grazie all’ente di formazione professionalizzate Soform che ha proposto il corso di tecnica e allestimento di spettacoli teatrali da cui siamo partiti» ha spiegato Elisa Menon prima di lasciare spazio alla rappresentazione. Nessun palcoscenico, nessuna scenografia: cinque sacchi neri pieni di foglie secche che vengono subito svuotati e delle scope montate alla partenza dell’azione sono tutto ciò che serve a suggerire il bosco.
Un bosco in cui si può avere paura, esattamente come in carcere: ma in entrambi si può anche trovare un rifugio sicuro ai timori, in entrambi è nascosta la possibilità di rinascita e di cambiamento. Perché, come si dice in uno dei monologhi che scandiscono lo spettacolo, «c’è sempre un punto di luce, anche qui». Uno alla volta, attrici e attori prendono la parola, mentre agiscono in modo lento e collettivo: e ciò che trasparisce è un profondo senso di stima, una grande complicità e appoggio incondizionato. Tutti sono uguali su questo palcoscenico di cemento, “costruito” al livello degli spettatori che si lasciano coinvolgere e intervengono con frequenti applausi fino a commuoversi: perché, purtroppo, reale è il timore che «esci dal bosco come un uomo nuovo, ma non se ne accorge nessuno».
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