L'Italia dopo le unioni civili, problemi e soluzioni con la rete Lgbtq a Gorizia

L'Italia dopo le unioni civili, problemi e soluzioni con la rete Lgbtq a Gorizia

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L'Italia dopo le unioni civili, problemi e soluzioni con la rete Lgbtq a Gorizia

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 27 Mag 2024
Copertina per L'Italia dopo le unioni civili, problemi e soluzioni con la rete Lgbtq a Gorizia

Una data che forse non sono in molti a ricordare è quella del 20 maggio 2016, giorno in cui è stata varata la legge Cirinnà. Cos'è cambiato in Italia.

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Una data che forse non sono in molti a ricordare è quella del 20 maggio 2016, giorno in cui è stata varata la cosiddetta “Legge Cirinnà” che regolamenta le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Un bene, si potrebbe pensare: ma in verità non è così, se si parte innanzitutto da una riflessione sul diverso nome che hanno le unioni etero e omosessuali. “Unioni civili: punto di arrivo o di partenza?”, titolo dell’incontro tenutosi ieri al Trgovski dom di Gorizia, pone una questione che è dunque fasulla poiché al momento non si è partiti né tantomeno arrivati da nessuna parte.

Condotto da Alice Onor di Arcigay e realizzato a cura di Fvg Pride, Arcigay Arcobaleno e Rete Lenford-Avvocatura per i diritti Lgbtq, l’evento - all'interno del programma di èStoria - ha permesso di fare chiarezza sulla situazione attuale in Italia non solo dal punto di vista legale ma anche sociale e psicologico e, per comprendere tutto questo, si è partiti dal racconto in prima persona di Martina Crasso, neo-mamma arcobaleno: «Quando si parla di unioni civili si pensa siano una specie di matrimonio e che l’unica differenza sia nel nome ma, se così fosse, sarebbe comunque già una discriminazione avere un nome diverso».

«Ed è qualcosa che si percepisce nella vita quotidiana, quando ad esempio devo presentare la persona che ho al mio fianco: dovrei definirla “la mia unita civilmente”, che suona davvero difficile. In Italia poi non esiste a oggi la possibilità di diventare genitore con percorsi di procreazione medicalmente assistita mentre la fecondazione eterologa è ammessa per le coppie eterosessuali: si può solamente andare all’estero, né si può adottare. Chi intraprende il percorso di fecondazione assistita e poi partorisce si scontra poi con il fatto che il figlio è solo di chi l’ha partorito, per cui l’altro genitore non ha alcun diritto anche in caso succeda qualcosa al compagno, per cui il piccolo resterebbe orfano».

Patrizia Fiore, referente territoriale del Fvg di Rete Lenford incalzata su quali siano altre differenze giuridiche fra matrimonio e unioni civili afferma che «forse la domanda preliminare che dovremmo porci è perché ci siano delle differenze e la risposta è che le unioni civili sono basate su un presupposto discriminatorio. La legge italiana e la nostra costituzione vietano le discriminazioni sessuali eppure si è ragionato come i segregazionisti, come quando negli Stati Uniti le persone di colore avevano posti diversi sugli autobus. Si è pensato cioè che persone omo ed eterosessuali siano diverse, che il matrimonio abbia come presupposto il paradigma eterosessuale e che debba sempre essere potenzialmente procreativo, come detto dalla corte costituzionale».

«Come avvocati e attivisti cosa possiamo fare? Abbiamo una proposta normativa che giace già da un anno e mezzo, ma non verrà mai discussa in questa legislatura perché fra le altre cose propone l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, la possibilità di accedere alla fecondazione assistita e la trascrizione immediata degli atti di nascita». Un’altra questione di cui si sente spesso discutere, nei salotti televisivi come in quelli domestici e virtuali, è il “danno” che potrebbe derivare a un bambino dall’avere una coppia con due genitori dello stesso sesso.

Margherita Bottino, psicologa e psicoterapeuta che da tempo si occupa di questo aspetto, a supporto della propria esperienza ha citato numerose fonti autorevoli come studi condotti dall’ordine degli psicologi italiani e dalla American academy of Pediatrics: «Ormai abbiamo delle evidenze sul lungo termine e si è visto che se i bambini stanno bene o meno non dipende affatto dal genere dei due genitori ma dalla qualità delle relazioni all’interno della casa, poiché le competenze genitoriali possono esserci o no in ogni tipo di famiglia».

«Una serie di quotidiane complicazioni come l’incertezza data dal fatto che a livello giuridico l’unione civile non abbia lo stesso valore di un matrimonio e che alla fine dei conti il piccolo risulti giuridicamente figlio solo di una persona mentre l’altro, per esempio, può andarlo a prendere a scuola solo se fornito di delega. Sono aspetti di uno stress da minoranza che solo un riconoscimento ufficiale potrebbe allentare». Il senso di incertezza è spesso alla base della rinuncia all’esperienza delle genitorialità, così come i timori per le discriminazioni che il bambino potrebbe trovarsi a gestire.

Ma un problema maggiore potrebbe innescarsi se, come accaduto a Padova, le procure decidessero di annullare gli atti di nascita dei bambini di coppie omogenitoriali: una decisione che è stata bloccata in primo grado per il riconoscimento dello status di figlio dei 33 piccoli coinvolti. «Negare all’improvviso a questi bambini una famiglia sarebbe un terremoto, causa di stress nei genitori e, a cascata, sui figli: e di questo bisognerebbe tenere conto», chiosa Bottino.

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