«Tra Israele e Hamas non è la solita guerra», Toni Capuozzo ospite a Gorizia

«Tra Israele e Hamas non è la solita guerra», Toni Capuozzo ospite a Gorizia

l'intervista

«Tra Israele e Hamas non è la solita guerra», Toni Capuozzo ospite a Gorizia

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 18 Ott 2023
Copertina per «Tra Israele e Hamas non è la solita guerra», Toni Capuozzo ospite a Gorizia

Il celebre inviato di guerra sarà ospite domenica mattina per il Fake news festival, poi la tappa a Monfalcone: «Guardare passato con distanza».

Condividi
Tempo di lettura

Ha osservato da vicino i grandi conflitti degli ultimi decenni, muovendosi in quella difficile terra di mezzo dove l’informazione rischia ogni giorno di diventare propaganda. A Toni Capuozzo, però, il pubblico ha sempre riconosciuto l’onestà nel raccontare ciò che sta accadendo, indipendentemente quali siano le parti in causa. Domenica alle 11, il celebre inviato di guerra sarà ospite a Gorizia dell’anteprima del Fake news festival, per parlare del “confine” tra verità e menzogne, al Grand Hotel Entourage.

Lo stesso giorno, alle 18, farà tappa anche a Monfalcone, dove sarà ospite di Krisis Lab, Istituto di musica “Vivaldi” e circolo Heimat per l’incontro “Nessuno più canta per strada”. Introdotto da Federico Razzini e intervistato da Adriano Segatori, Capuozzo incontrerà il pubblico in via Galilei 93. Saranno due appuntamenti dove inevitabilmente emergeranno anche le fake news “moderne”, come quelle che stanno già iniziando a circolare attorno alla guerra riemersa tra Israele e Hamas, “un qualcosa di nuovo rispetto al passato”.

Quindi non è la “solita guerra” nella striscia di Gaza?
Direi di no. La storia tra Israele e il mondo arabo è stata segnata da convulsioni continue ma quanto visto in questi 10 giorni è senza precedenti. Rischia di cambiare per sempre la storia di quelle terre per i prossimi 10 o 20 anni, nulla tornerà come prima. Come è stato per la Guerra dei sei giorni, quando Israele ha preso Cisgiordania e liberato tutta Gerusalemme, negli anni Sessanta.

Si dice che la verità è la prima vittima della guerra. Anche quando le immagini sono senza veli, come le vediamo oggi sui social?
Bisogna guardare alla sostanza dei fatti, nessuno può dire che non ci sia stata un’infiltrazione di Hamas mirata a uccidere più civili possibili. È Chiaro che poi con un conflitto molto divisivo, ci sono diverse interpretazioni e sottolineature. Oggi si dovrebbe guardare i bambini uccisi nei kibbutz e a Gaza con la stessa pietà, così come dovrebbe esserci sempre, ma è ovvio che se uno pubblica solo le immagini dei bambini a Gaza - come accade sui media arabi - non c’è la stessa propensione di notizie per le stragi di Hamas. Bisogna avere presente due realtà, ci sono ragioni e torti. La guerra è orrore per qualunque ragione sia combattuta, così come gli Alleati hanno chiuso la Seconda guerra mondiale con due bombe atomiche.

Ieri l’Ucraina, oggi la Palestina… la guerra “da vicino” è diventata un broadcast di immagini?
Oggi viviamo in un mondo in cui l’immagine è decisiva, se il prodotto non ha l’immagine buona non va sul mercato. Conta molto più di più della parola scritta, anche perché c’è una soglia d'attenzione più bassa nei giovani e anche nell’età adulta. Molti pensano di aver letto i quotidiani solo con i titoli, le immagini sono perfette per avere una visione binaria. Difficilmente la realtà è interpretabile solo in un modo, ci sono le immagini del dolore. Ci sono tutte le domande a cui dare risposta sulle cause ma queste rimangono dietro all’immagine ed è un cortocircuitò della ragione.

La notizia è quindi schiava dell’immagine?
Nella mia gioventù, ci sono state immagini simbolo come quelle del Vietnam, perché rappresentavano il simbolo di una causa o di un conflitto. Oggi l’informazione è basata solo sulle immagini, quante persone leggono analisi approfondite? Ci si affida all’aver visto, l’immagine sostituisce l’informazione e questo riveste di superficialità ogni giudizio e atteggiamento.

A Gorizia il confine ha nascosto tante verità per anni: è giusto scavare per andare avanti?
È giusto ma senza volontà di vendetta, bisogna farlo con la saggezza di chi ha capito che il confine non è più uno strumento di separazione ma di condivisione. Si può e si deve parlare su quello che è stato, esattamente come vedi gli album di famiglia. Serve una distanza non solo di tempo ma che si è andata costruendo con le trasformazioni, non solo internazionali e di valori, e i nazionalismi sono andati attutendosi. Abbiamo visto che con la morte di Tito, la Jugoslavia si è sfaldata e oggi quella frase (la scritta NAŠ TITO sul monte Sabotino, ndr) ti accorgi che era fatta di cartone e puoi guardarla con il disincanto del tempo che è passato, così come vedi l’arco della vittoria a Bolzano. Quello è il documento di un tempo, sono sempre contrario a cancellare la storia. Molte delle cose scritte sui monumenti suonano retoriche, ma siamo stati anche questo.

Quando è possibile, bisogna trarne insegnamenti, come dall’esodo istriano: la storia che uno può addebitare a Tito e ai suoi uomini come rivincita sull’Italia fascista è anche la storia di una comunità che ha saputo ricostruirsi senza revanscismi. Non ho mai sentito nessuno di loro parlare di riconquistare territori, non sono diventati profughi di professione. Oggi in Cisgiordania ci sono i campi profughi del 1948, sono temi su cui bisogna guardare con un occhio più laico.

Tornando all’attualità, l’attentato di lunedì a Bruxelles ha riacceso l’allarme sul terrorismo islamico interno all’Europa. Siamo tornati indietro nel 2015?
In questi ultimi anni ci sono state iniziative terroristiche meno eclatanti del passato, siamo sfuggiti in qualche modo. Certamente la sconfitta dell’Isis ha ridotto le potenzialità del fondamentalismo islamico ma non è scomparso nelle persone e nelle predicazioni. È una realtà viva e vegeta. Quanto accaduto in Belgio, comunque, non sembra rimandare a Gaza ma al falò del Corano in Svezia (accaduto a fine giugno scorso, ndr). L’attentato ha cercato gli svedesi perché rappresentavano per lui il Paese che ha consentito quel rogo.

Passando a una zona più vicina a noi, si è tenuto in questi giorni il nuovo summit sui Balcani occidentali. Dopo le ultime tensioni tra Serbia e Kossovo c’è ancora spazio lì per l’Europa? O viceversa?
I Balcani sono un grosso fallimento dell’Europa, nell’ansia di andare incontro alle legittime aspirazioni di sloveni e croati si favorì un’ostilità crescente. Ricordo bene la Bosnia dove l’Europa acconsentì a un referendum sull’unità e fece precipitare le cose. Siamo riusciti a portare dentro Paesi geograficamente più distanti come quelli baltici ma non abbiamo saputo guidare il cammino di quelli più vicini. È difficile che tu sia un faro della politica estera se non controlli le contraddizioni nel cortile di casa tua. Infatti se l’Europa non ha l’aiuto degli Usa non sa cosa dire, come per la Libia.

Come Unione europea siamo un nano politico, così come accaduto per l’invasione russa in Ucraina: avremmo dovuto sostituire l’allagamento della Nato a quello dell’Europa. Ora le cose si sono fatte più difficili rispetto anni fa e ha comportato uno schierarsi del mondo. In Bosnia passi da un cantone pro-Russia a uno pro-Ucraina, la stessa cosa succede in Kossovo. Queste divisioni pesano anche sul Medio Oriente, il mondo attraversa un giro di giostra da un modello quasi unipolare a uno in cui ci sono potenze cresciute che predicano una redistribuzione delle influenze sul mondo, come la Cina.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione

×