La guerra tra traumi e speranze di Gianni Amelio, quell'umanità raccontata a Gorizia

La guerra tra traumi e speranze di Gianni Amelio, quell'umanità raccontata a Gorizia

la recensione

La guerra tra traumi e speranze di Gianni Amelio, quell'umanità raccontata a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 10 Set 2024
Copertina per La guerra tra traumi e speranze di Gianni Amelio, quell'umanità raccontata a Gorizia

Amelio ha estrapolato una partitura straordinaria dal romanzo La sfida dello scrittore Carlo Petrarca. L'opera presentata domenica al Kinemax di Gorizia.

Condividi
Tempo di lettura

Traumi di guerra. Tutta la paura e l’angoscia rosselliniana pare delinearsi nell’ultima pellicola di Gianni Amelio, approdata nelle sale italiane il 5 settembre e ancora fresca di red carpet dell’81ma Biennale di Venezia. Due volte vincitore al premio Sergio Amidei, il regista di origini calabre domenica ha presentato presso il Kinemax di Gorizia (città che ha ospitato parte del set) il suo ultimo lavoro insieme all’attore Alessandro Borghi, che nel film interpreta il personaggio tormentato di Giulio. Coautore della sceneggiatura insieme ad Alberto Taraglio, Amelio ha estrapolato una partitura straordinaria dal romanzo “La sfida” dello scrittore Carlo Petrarca.

«Io scrivo sceneggiature di ferro che poi evolvono – spiega Amelio – È un mestiere che svolgo da sessant’anni». Una prima stesura che lentamente cresce fino a divenire fiume in piena, offrendo secondo Borghi «opportunità di riflessioni in un processo di arricchimento» dove il corpo diventa solo «uno strumento». D’altra parte «non sarebbe nato il personaggio di Giulio - ammette il regista - senza l’incontro con Alessandro sette anni prima». Ad aprire la partitura è il lungo piano-sequenza notturno attraverso cui la macchina da presa gira intorno a un mucchio di cadaveri accatastati, dal quale compare improvvisa una mano insanguinata.

È quella del soldato siciliano (Giovanni Scotti) che in seguito racconterà ai compagni le proprie vicende. Una richiesta disperata di aiuto che gli donerà la salvezza, per poi vederlo condannato alla dannazione del tradimento e al plotone d’esecuzione. Grandioso film in bilico fra le note tragiche di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” del tedesco Erich Maria Remarque – dal quale a sua volta venne tratto un film - e la farsa della guerra del noto “Paths of glory” di Stanley Kubrick. Dove a vincere non saranno generali e soldati, o l’idealismo di un medico solo innanzi al proprio destino, quanto l’attaccamento alla vita nello sguardo profondo dei bambini.

«Qua non muore nessuno», sentiamo ripetere più volte e ribadirà la stessa Anna (Federica Rosellini) al piccolo malato di spagnola. Una realtà che riflette in maniera dura e senza remore la sofferenza attuale e quella appena trascorsa della pandemia, dove con una sinistra analogia fra le camionette militari del 2020 una lunga fila di camion carichi di cadaveri striscia nella notte, verso il luogo in cui i morti saranno affidati alle fiamme. Magistrali panoramiche riprendono mezzi e soldati mentre percorrono i sentieri lunari lungo il Tagliamento, fra Osoppo e Tolmezzo, con riprese girate nella nostra regione e nel Trentino.

E la facciata meravigliosa di Villa Manin - luogo in cui il comandante Stefano (Gabriel Montesi) dialoga con il generale (Luca Lazzareschi) - rievoca i fasti del palazzo nel quale il generale Broulard (Adolphe Menjou) si confronta con il colonnello Dax (Kirk Douglas) in “Orizzonti di gloria”. Echi e sussulti di una Storia che continuamente si ripete, dove all’apparenza «i giornali sono lo specchio del mondo», ma in realtà lo sono solo in parte, poiché affrontano la guerra tralasciando di approfondire quella pandemia che fra il 1918 e 1920 cancellò milioni di vite. Tragico momento storico durante il quale «sedici milioni di persone persero la vita, tra militari e civili», ricorda la didascalia conclusiva.

Vite spezzate di soldati ricoperti di sangue, quello stesso che sgorga dalla ferita di Giulio che si sta radendo, comune denominatore nella tempesta della vita. Dai tormenti interiori alle tempeste della guerra e all’influenza spagnola, Giulio tenterà di opporre resistenza salvando vite umane, inoculando la Neisseria ai soldati o causandone l’inabilità al ritorno in trincea. La battaglia più dura dovrà condurla attraverso un semplice microscopio e le scarse conoscenze di microbiologia del primo Novecento.

Anticipando la scoperta degli antibiotici, tenterà di coltivare l’agente patogeno in provetta e in piastra, fino ad auto iniettarsi una brodocoltura, e con un ultimo guizzo comprendere come invece si trattasse di un virus. Un film dove Cristo pare essersi smarrito altrove, perché «se c’era Dio non c’era questo macello qua», lamenta un soldato. E tuttavia, «la guerra è un dovere» e «combattere è necessario», ribadisce Anna dopo aver scoperto le mutilazioni e le infezioni batteriche provocate da Giulio ai suoi pazienti nel disperato tentativo di strapparli al fronte. La fucilazione di Vincenzo ancora una volta richiama il processo ai tre soldati di “Paths of glory”, definiti “vigliacchi” come ripeterà Stefano dei suoi pazienti autolesionisti.

Il vento ulula fra le montagne innevate, l’inverno porta con sé la polmonite virale. «Qua no i cura putei», risponde il soldato alla donna in cerca di un medico per il piccolo che sta morendo. Plurilinguismo di dialetti delle regioni diverse, parlati da soldati siculi, campani, lombardi o veneti, che in fondo si comprendono e sono accumunati dall’unica lingua della fratellanza ungarettiana. «Mi no go capio niente. Però si capisce tutto», ammette il soldato veneto al siciliano tratto in salvo. L’ospedale militare inizia a rigurgitare cadaveri di soldati e civili giovani, perché «questo morbo li preferisce giovani, come la patria», osserverà Anna con disprezzo.

Contaminazioni diverse fluiscono nel linguaggio filmico e nella tessitura della sceneggiatura, ma a far da contrappunto è un’unica grande voce. Quella corale di un’umanità ferita senza più religione, la cui speranza è tenuta in vita dai bambini, sui quali la macchina da presa indugia con estrema delicatezza fino all’ultimo respiro.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram e Whatsapp, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione