S di SEDEJ FRANCESCO BORGIA
La guerra e la morale, la lettera dell'arcivescovo di Gorizia nel 1919
La lunga lettera dell'arcivescovo alla fine della guerra, dopo l'esilio iniziato nel 1915.
9 febbraio 1919: pubblicazione della lettera pastorale dell’arcivescovo al termine del conflitto. L’Arcivescovo, rientrato dall’esilio perdurante dall’estate del 1915, dedica una lunga lettera pastorale alla situazione disperata, sia temporale sia spirituale, in cui si trovavano a vivere le popolazioni locali e quelle dell’Europa completamente devastata dal più grande conflitto della storia del mondo. Il suo pensiero va anche letto con gli occhi del momento storico, infatti il principe arcivescovo non risparmia dure sottolineature e critiche sia al precedente governo imperiale e sia al Regno Sabaudo che vieta l’istruzione cattolica.
Chiede un esame di coscienza generale a tutti gli uomini e le donne, soldati e civili, e dedicata una parte consistente dello scritto all’educazione dei figli e dei fanciulli attraverso una rinnovata fede sia nelle famiglie, sia nelle parrocchie [che si devono spendere nell’erigere oratori, società e istituti cattolici che siano di aiuto all’educazione delle giovani generazioni], sia allo Stato che deve aiutare le famiglie a riscoprire i veri valori. L’ultima parte della lettera è dedicata al crollo dei costumi morali avvenuta dopo la fine della guerra e alla piaga dei balli che rischiano di minare nei fondamenti la società e di “guastare” del tutto la gioventù.
Dopo il ritorno di noi profughi Goriziani alle nostre terre nutrivamo speranza, che sarebbe stato il fine del terrore e del dolore e che tosto avremmo dato mano a restaurare e rinnovare la nostra patria desolata e rovinata. Invece l’uomo propone e Dio dispone. Le su rovine non sono le nostre. Imperocché Egli estende la sua provvidenza non solo sulla nostra terra e sulla nostra gente, ma anche su tutto il mondo e su tutte le umane generazioni. Iddio guarda dal suo alto trono non solo al presente, ma anche al passato ed al futuro. Egli guida ogni cosa, le nazioni e le vicende tutte al suo fine con mano potente e sapiente secondo le sue eterne e sante intenzioni!
Or dai successi guerreschi dell’anno scorso pare possasi intravedere il piano divino, giacché gli antichi nemici della S. Chiesa furono abbattuti ed umiliati: i Turchi, i Russi ed protestanti germanici, né fu risparmiato il governo che ipocritamente ostentava il cattolicesimo. Ma purtroppo di questo universale rovesciamento non si vede ancora la fine. Guardate le nazioni, le quali hanno rigettato da sé i principi cristiani della giustizia e della carità e abbracciarono i principi revoluzionari [Sic!], ecco che esse non possono giungere alla pace. Così Dio punisce duramente i peccati, che le nazioni nonostante i terribili divini castighi continuano a commettere.
E però giustamente si dice: che la storia è il tribunale del mondo Essendo Iddio giudice, dice la S. Scrittura, questo umilia e colui esalta. Il Signor tiene in mano una coppa con vino mescolato ad aromi e lo mesce: gli empi tutti della terra ne sorbiranno le fecce (Salm, 74, 8, 9). Sembra in verità che Iddio voglia punire i peccatori fin da questo mondo. Chi perciò crede di stare, si guardi di non cadere. (1 Cor. 10. 12).
Dopo questa orribile guerra, che duro ben cinque anni e che devastò le nostre belle contrade, non è meraviglia, che nel corso di un solo anno non si abbia fatto quasi nulla per il loro risorgimento. È ben vero che le rovine delle nostre case, delle chiese, dei santuari e dei villaggi invocano pietà, ma è voce che grida nel deserto.
Ora la rovina maggiore si vede nei costumi e nella economia domestica. Quantunque non sia ancor la fine della guerra in Europa e le conseguenze di quella come la fame, le carestie e le malattie desolino l’uman genere, tuttavia gli uomini s’ingolfano pazzamente nei balli, nelle gozzoviglie e nelle prodigalità; quasi costoro non fossero stati in nulla tocchi da una sciagura, di cui non v’ha esempio nel mondo.
[…] Purtroppo questa infelice guerra a cagione della sua lunga durata ha lasciato dietro a sé nelle nostre terre, contrariamente a ciò che da principio aspettavamo, delle funestissime conseguenze. È tali sono l’incredulità, il dubbio sulla divina provvidenza, la trascuranza della preghiera, dei santi sacramenti e della S. Messa; orribili bestemmie, un’impudente trasgressione dei quinto, sesto e settimo comandamento, l’avidità, la vanità, lo scialacquamento, l’accidia e il guasto della gioventù: questi purtroppo sono i frutti marci d’una guerra di cinque anni. È necessaria quindi una radicale e perfetta rigenerazione in Gesù Cristo qualora vogliamo sanare tutte le piaghe. E però vi esorto con S. Paolo: Rinovatevi [Sic!] nello spirito della mente vostra e rivestitevi dell’uomo nuovo, il quale fu creato nella giustizia e nella vera santità (Agli Efes. 4, 23 – 24).
E per ottenere un tanto fa d’uopo in primo luogo riconciliarsi col Signore, conseguire il perdono dei peccati, la grazia santificante, la vita soprannaturale, la pace e la purità del cuore e le grazie necessarie per una vita cristiana. Raccomandiamo quindi a tutti i soldati reduci dal campo di battaglia, che facciano una buona confessione e possibilmente una confessione generale, qualora non l’avessero per anco fatta. Mostrate il vostro coraggio ancora contro il massimo nemico del genere umano, il demonio; combattete contro le vostre passioni, affinché non rimaniate loro schiavi.
Durante questa lunga guerra molto danno ebbe pure a patire la vita di famiglia, imperocché i diversi membri di una stessa famiglia furono separati l’un dall’altro, anzi qualcuno è ancora lontano dagli altri e forse non si riunirà più con loro: la famiglia fu senza capo, il vincolo coniugale in alcuni casi si rallentò o forse anche si sciolse. E però sono a temersi delle dissensioni famigliari, se non pur anche delle separazioni. – Dilettissimi, se mai qualcheduno cadde più per fragilità che per malizia, ne chieda perdono all’offeso e procuri emendazione. Fratelli, così ci insegna S. Paolo, se alcuno cadde avventatamente in qualche peccato, voi che siete animati dal buon spirito, istruite un tale con mansuetudine e guardatevi, affinché non siate pur voi tentati. Ciascuno porti il peso altrui e così osserverete la legge di Cristo (Galati 6, 1 – 2).
La vostra giustizia sia vera, giacché sa sopportare i falli altrui, mentre la falsa li condanna e s’irrita. Tra i coniugi non vi siano né inimicizie, né dissensioni, altamente ne soffre l’educazione dei figli ed in generale tutta la famiglia. Rispecchiatevi nella s. famiglia di Nazaret, nella quale regnava la carità, la pace, la santità ed ogni virtù.[…] Un secondo funesto effetto della guerra presente è che la gioventù fu abbandonata a sé stessa e però tralignò assai. Per la maggior parte i figliuoli furono senza sorveglianza, senza scuola, senza lavoro e quindi restarono molto indietro nell’istruzione specialmente in quella che è di massima importanza della dottrina cristiana: ed invece impararono il vizio e malvagio costumi. Le virtù cristiane, che sono l’ornamento più bello dei giovani cuori, purtroppo esularono. Essendo così le cose, si ha davanti a sé un brutto pronostico per l’avvenire [..].
Ora unico rimedio a tanto male è che la gioventù sia ben istruita nelle dottrine della fede cattolica, e che abbia per base Gesù Cristo, il quale è la verità, la via e la vita. Un’educazione invece che non abbia per base la religione o che professi principi contrari alla fede cattolica non solo si è mai sempre addimostrata insufficiente, ma anzi nociva. Chi ha poi il delicato incarico di educare la gioventù, deve in primo luogo aver di mira che questa non capiti nelle mani di società o incredule o di tanto spinta nazionalità, per le quali la nazionalità è sopra la stessa fede e che cercano di guadagnarsi la gioventù ingolfandola in divertimenti d’ogni genere ed allontanandola dalla chiesa cattolica.
Per ovviare ad una tale rovina della gioventù devono i buoni cattolici fondare e stabilire delle società, che abbiano lo scopo di tener lontano i giovani dai pericoli suaccennati. Sì, erigiamo oratori, società cattoliche e congregazioni per ambo i sessi, affinché in esse la gioventù vi trovi il dilettevole, l’utile e il necessario.
E tanto più sarà ora dovere delle società cattoliche di dare una compiuta istruzione morale-religiosa ai suoi membri, in quanto che secondo le leggi scolastiche italiche nelle scuole o non vi si darà tale istruzione ovvero molto più ristretta. Tuttavia è bene qui rammentare che le suddette leggi danno facoltà ai genitori di poter esigere nelle scuole inferiori l’istruzione religiosa per i loro figli.
Oltreacciò [Sic!] la gioventù presentemente in particolar modo deve acquistarsi i più retti concetti religioso-morali, perché gli stati, che sorsero sulle rovine degli stati centrali, concedono a tutto il popolo molti diritti per la vita pubblica ed anzi cercano la sua cooperazione nel campo politico.
Quindi appare maggiormente la necessità che i giovani sieno istruiti nelle importanti questioni di vita politica, sociale ed economica, affinché sappiano scioglierle secondo il dettame della coscienza e dello spirito cristiano. Vogliamo noi che le future generazioni sieno sempre migliori: allora non risparmiano fatica per istruire la gioventù presente. Insegniamo come debba nobilitare il proprio cuore, e come fare forza alla famiglia: istilliamo nel suo cuore l’amore alla famiglia, alla patria e alla chiesa: istruiamo a rispettare l’autorità, ad osservare l’ordine e la disciplina.
Facciamo che apprenda un modo civile di trattare col prossimo; che impari la mortificazione, la temperanza e la parsimonia. Inculchiamole che coll’esercizio di queste ed altrettali virtù essa non diverrà giammai cupa né triste, ma che invece proverà una vera gioia e che potrà godere dei piaceri e divertimenti onesti.
Una grande epoca è sorta dopo questa guerra mondiale e quindi pur grandi compiti. Ma per poter raggiungerli è necessaria la cooperazione dei popoli. Uniamoci quindi ed organizziamoci, né restiamo addietro dei nemici della nostra fede e della Chiesa. Istruiamoci bene sui nostri diritti, adempiamo i nostri doveri verso lo stato, abbiamo cura non solo del bene nostro privato, ma ancora del bene pubblico, e sappiamo pure sacrificare il nostro utile, al benessere della Chiesa, della nazione e dello stato. Date a Cesare, ciò che è di Cesare ed a Dio ciò che è di Dio (Matt. 22, 21).
Ma per giungervi ad un tanto, dovrassi [Sic!] molto lavorare: tanto più che questa orribile guerra, come dicemmo già sopra, apportò una grande corruzione di costumi. Quanti assassini, quante aggressioni, quanti latrocini, quanta oziosità, quante oscenità e in parole, ed in opere e quante terribili bestemmie! Se questi vizi erano ancor prima della guerra, si deve dire nondimeno che ora si sono aumentati spaventevolmente. E noi pretendiamo che Iddio alleggerisca la sua mano e cessi dal punirci! Cessino prima i luridi discorsi e le orribili bestemmie: ciò appunto provoca la divina vendetta sul popolo e sul paese.
È invero una lingua diabolica, dice s. Bernardino da Siena (Serm. 33), quella che si muove per bestemmiare Dioi, il quale la creò e la redense col suo preziosissimo sangue. La bestemmia è un peccato proprio del demonio, una loquela d’inferno; e come lo Spirito Santo parla per bocca dei giusti, così parla il diavolo per bocca dei bestemmiatori. Sì la bestemmia è il peccato che più offende Dio, perché lo colpisce proprio direttamente, tanto più che più frequente v’ha unita qualche eresia, la disperazione e l’odio di Dio: mentre glia altri peccati traggono origine più dall’ignoranza e dalla fragilità umana.
Ma ciò che aumenta la malizia di questo peccato è lo scandalo che si dà con esso. Si può chiamarlo una male epidemico. Lo si apprende con grande facilità; i figli lo imparano dai genitori, i garzoni dai maestri, i servi dai padroni, i giovani dai vecchi, i piccoli dai grandi. Anzi in qualche famiglia non lasciasi altra eredità fuori di questo vizio.
[…] Non posso omettere qui un altro orribile effetto della guerra ed è la scostumatezza e l’impudicizia, che fa impunemente mostra di sé per le nostre contrade e che guasta sino al midollo la moderna società. Ciò che risparmiò il ferro ed il fuoco, minaccia di rovinare questa peste sempre più crescente. Che altro han di mira quelle ineleganti, invereconde e scandalose mode del sesso femminile ormai non solo nelle città, ma pur anche nelle campagne? Dove tendono quei continui balli perfino nel tempo sacro dell’avvento e della quaresima? Dove quelle libertine rappresentazioni nei cinematografi e nei teatri, quelle lubriche novelle, quei romanzi, quei giornali illustrati ed altre impure invenzioni?
Né è cosa nuova nella storia, che l’immoralità mandi in rovina le nazioni intere; e Dio nol voglia, ciò sarà pur di noi se non vi porremo rimedio. Già per motivi temporali dovremmo opporci a cotali vizi. Tanta purità di costumi esige san Paolo dai cristiani che non vuole nemmeno che questi nominino simili impurità (Agli Efesini 5,3).
Purtroppo che queste nostre parole faranno poca breccia nel cuore di quelle persone, che sono già tocche da questo vizio, tuttavia crediamo opportuno accennare ad una società, che vorremmo si istituisse contro una sì procace moda di vestire. E qui mi viene a proposito il dire qualcosa su quel pericoloso divertimento che è il ballo, il quale si tiene anche in questo nefasto tempo di lutto e di universale dolore.Il ballo ossia il muovere il corpo a tempo e battuta sarebbe per sé un divertimento lecito, ma le circostanza che l’accompagnano sono tali, che lo rendono illecito e contrario al buon costume cristiano. S. Francesco di Sales, esemplare di mitezza, amabilità e prudenza, ecco ciò che dice intorno al ballo: I Balli, le danze e simili tenebrosi convegni tirano dietro a sé d’ordinario i peccati ed i vizi, che dominano in un dato luogo, come p.e. contese, invidie, beffe, amorazzi; e come questi esercizi di moto dilatano, a chi li fa, i pori del corpo, così aprono pure i pori del cuore, di modo che se qualche serpe viene allora a sibilare negli orecchi parole lascive, civetterie, lusinghe o se qualche basilisco si fa a lanciare sguardi impudici e occhiate amorose, i cuori si lasciano facilmente sorprendere e avvelenare.
Quasi sempre, o Filotea, questi sconvenienti divertimenti riescono pericolosi; infatti dissipano lo spirito di pietà, illanguidiscono le forze, raffreddano la carità e risvegliano nell’anima un vespaio di maligni affetti, dunque è necessario usarne con grande circospezione (S. Franc. Di Sales Filotea 1. III. C. 33). D’ordinario i balli si fanno di notte e là all’oscuro è facilissimo far succedere brutti incidenti; e di poi si prolungano le veglie e quindi si trascurano le sacre funzioni, le orazioni, e non solo i doveri verso Dio, ma anche versoi i doveri di casa. Il ballo è una peste per la virtù e la tomba del pudore. Può ben essere che alcuno per una o due volte che si rechi al ballo non ne senta tosto i cattivi effetti ma può ei ciò ripromettersi col continuare ad andarvi? […]
Ora mi rivolgo a voi, padri, madri, educatori, sacerdoti e sindaci: impedite quei balli si frequenti e sì perniciosi, affinché la nostra gioventù non si guasti del tutto e spiritualmente e corporalmente e Dio non prolunghi i suoi castighi. Combattiamo il libertinaggio, l’ubriachezza, le nottolate e i balli, e invece procuriamo di istituire delle associazioni di temperanza, delle confraternite e società cattoliche che guidino i loro soci alla virtù; in tal modo si ritornerà alla vita onesta e pia d’una volta. Sia cura comune di rialzare la nostra fede ed i nostri costumi colle SS. Missioni: prepariamo il popolo ed istruiamolo alle nuove esigenze della vita pubblica. […]
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