Il gruppo Seppenhofer alla scoperta del Montenegro

Il gruppo Seppenhofer alla scoperta del Montenegro

SPELEOLOGIA

Il gruppo Seppenhofer alla scoperta del Montenegro

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 22 Nov 2024
Copertina per Il gruppo Seppenhofer alla scoperta del Montenegro

In un incontro, il racconto della spedizione della scorsa estate. Previste altre due conferenze il 13 e 19 dicembre.

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Non c’è limite all’immaginazione né alla scoperta di quell’affascinante mondo nascosto nel sottosuolo che per buona parte rimane inesplorato all’umanità. Si è svolto nella serata di giovedì - presso la Sala Dora Bassi - l’incontro organizzato dal Centro ricerche carsiche “Carlo Seppenhofer” per illustrare alla cittadinanza la sua prima spedizione in Montenegro.

«Abbiamo un territorio unico – ha commentato l’assessore a Go!2025 Patrizia Artico – che grazie alla passione incredibile di questo gruppo svela le sue ricchezze. Una passione tutta goriziana che, partendo da quel bagaglio di storia cultura e arte, ci consente di trasferirci in altre realtà, altri mondi».

«Lo speleologo è un ricercatore – spiega il presidente del Club per l’Unesco Adriano Chinni – perché s’introduce in quei meandri dove nessun altro mette piede». Una spedizione patrocinata anche dal comune di Gorizia e dal Lions Club, alla quale hanno partecipato – oltre al gruppo del “Seppenhofer” – i gruppi lombardi “Speleo club Orobico” di Bergamo e il “Gruppo Grotte Milano”.

«Per la scienza della Terra queste scoperte sono fondamentali – ha rimarcato Chinni – Perché la Natura non conosce confini e ci offre un patrimonio planetario». Un viaggio straordinario che supera la fantasia di Jules Verne per condurci nel cuore della Terra, attraverso sale immense e ripidi camini che s’aprono improvvisi nella vastità delle rocce.

«Sono tornato indietro di 50 anni – racconta nostalgico il presidente del Lions Club Gorizia Marco Terenzio – Quando io e Oreste, altrimenti detto “Il Pignataro”, andavamo per grotte. Ricordo che una volta stavamo scendendo nel pozzo da 80. Allora si scendeva in corda e si saliva in scaletta. A un certo punto la scala venne giù e lui cadde per dieci metri. Per fortuna non si fece granché. Per confortarlo gli offrii una fetta di salame con latte condensato. La follia più grande è quella degli speleosub e il Fontanon di Goriuda ha assistito a tante vicende quasi drammatiche».

Un’esplorazione in realtà propedeutica a quelle che seguiranno, come sottolinea lo stesso presidente Maurizio Tavagnutti. «Si è trattato di un primo passo verso ciò che metteremo in atto per Go!2025 – specifica – perché del Montenegro esisteva qualche notizia, ma si conosceva ben poco».

L’eccezionale viaggio ha inizio al confine fra Bosnia, Albania e Serbia, vicino alla capitale Podgorica. In quel territorio montuoso e disabitato che si estende intorno al monte Pasjak i fenomeni carsici sono piuttosto intensi, caratterizzati da carbonati del Cretaceo e del Giurassico.

«Abbiamo raggiunto il punto d’interesse in quattro ore – prosegue mostrando le immagini di reportage – Il carsismo di quell’area è formato da rocce pulite, con fenomeni carsici superficiali evidenti e faglie grandi». Tredici speleologi impegnati per dieci giorni in un’intensa attività di raccolta dei dati, che la sera rientravano nelle baite di ritorno dalla montagna per rielaborare le informazioni raccolte.

«Disegnavano i rilievi seduta stante e con l’aiuto delle carte topografiche si stabiliva l’esplorazione successiva». Dal Lago Bukumirsko si procedeva a piedi con le spalle cariche di materiale, per esplorare le immense voragini che si aprivano d’improvviso. «Mi ricordavano le esplorazioni degli anni Settanta sul Monte Canin – narra Tavagnutti – Solo che qui le voragini erano enormi».

Una ricchezza straordinaria, che ha consentito di monitorare 24 grotte tra pozzi e gallerie. «Abbiamo rinvenuto pozzi profondi 30 o 40 metri, ma a sorprenderci era l’enormità delle sale». Baratri favolosi sul fondo dei quali resiste la neve immacolata e il ghiaccio. Grotte rilevate per intero, fotografate e posizionate sulle carte, le cui informazioni saranno trasmesse alla Società Geografica Italiana che ha patrocinato la spedizione.

Fra le immense cavità scoperte, quella che misura 50 metri per 30 di altezza: la fantastica Grotta del Cervo, così chiamata per gli antichi resti rinvenuti dagli speleologi. «Abbiamo trovato il palco e le due mascelle – riferisce – Poteva trattarsi di un erbivoro, ma presentava anche due canini. La presenza di un cervo a quell’altezza, in un luogo dove non esiste alcuna foresta, fa supporre si tratti di resti di altre epoche».

Dopo il misterioso cervo il gruppo s’imbatte nel coleottero troglobio del genere Anthroherpon, mai osservato in Montenegro. A lasciare stupiti i ricercatori è tuttavia la presenza delle maestose sale originate dalle faglie, sul cui pavimento si ritrovano numerosi detriti. «Abbiamo raccolto dei campioni da analizzare, in alcuni sono stati ritrovati radionuclidi». Componenti che testimoniano della guerra passata, nonostante la radioattività rilevata sia in quantità bassa.

Il passo successivo ha visto il gruppo districarsi fra mappatura e registrazione dei fenomeni carsici superficiali, come i “mäandekarren”, che in alcuni punti si interrompono e in altri si estendono lungo un pendio. Oppure le “kamenitze”, che offrono vaschette di corrosione con canale di deflusso e altre particolari, o i “wandkarren”, solchi che corrono lungo le pareti rocciose.

Ma le sorprese non finiscono qui, perché nelle umide giornate di pioggia il gruppo parte alla ricerca delle risorgive poco distanti. Risalendo il torrente ne scoprono diverse: pozze trasparenti ricche in biodiversità, dove i ricercatori hanno la fortuna di ritrovare una salamandra del genere Europroctus - segnalata solo in Grecia e Sardegna, ma mai in Montenegro – un ululone dal ventre giallo e piccoli gamberetti Niphargus.

L’esplorazione è complicata dall’ingresso che va restringendosi e spinge gli speleologi a strisciare sul fondo. Fatica ricompensata da meravigliose sale e camini ricchi in concrezioni. «Non sempre è stato possibile avanzare – ha ammesso il presidente con rammarico – Dopo un grosso lavoro per tirare via delle pietre, ci siamo ritrovati innanzi a un sifone e abbiamo dovuto fermarci».

Un lavoro semplificato da due droni, che hanno consentito di localizzare le località con estrema precisione, lasciando apprezzare l’interno della grotta senz’arrampicarvisi. Un’area immensa, quella del massiccio esplorato, che si estende per oltre una decina di chilometri alla quota di 1500 o 1600 metri.

«Noi abbiamo visto due o tre pinnacoli – riferisce il capospedizione Lorenzo Marini – Il problema è trovare i sentieri per avvicinarsi alle zone interessanti». Un racconto impressionante che troverà spazio anche nelle prossime conferenze, come quella che si terrà il 13 dicembre, incentrata sulla ricerca delle acque potabili di Gorizia e del Timavo. Seguirà l’incontro del 19 dicembre dedicato alla storia di Elisa Seppenhofer e della cognata, tra le prime donne ad arrampicare nella nostra regione. 

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