La grandezza della Contea di Gorizia nata dal genio di Enrico II e terminata con Leonardo

La grandezza della Contea di Gorizia nata dal genio di Enrico II e terminata con Leonardo

E di Enrico II

La grandezza della Contea di Gorizia nata dal genio di Enrico II e terminata con Leonardo

Di Vanni Feresin • Pubblicato il 07 Mar 2021
Copertina per La grandezza della Contea di Gorizia nata dal genio di Enrico II e terminata con Leonardo

Vanni Feresin racconta la dinastia dell'antico signore di Gorizia, la cui stirpe rese grande la Contea tra Trecento e Quattrocento.

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Enrico II fu uomo potente e saggio: concesse nel 1307 alla parte alta o “terra superiore” i privilegi di città, la quale godeva fin dal 1210 del diritto di mercato. A Gorizia venne concesso il sigillo nel cui corpo centrale era raffigurato il castello, composto su tre piani e coronato di merli a coda di rondine o ghibelline, dominato dal mastio possente, merlato e munito di torricelle in legno e di sporti. La città era un esempio di autonomia medievale: il principale organismo connesso al suo governo era costituito dagli Stati Provinciali, composti da rappresentanti della nobiltà, dai cittadini, ma non dal clero.

Il loro compito era quello di affiancare il conte nel governo della contea: molte le attribuzioni, dal governo locale, ai dazi, agli annonari, alla fiscalità, nonché alla battitura di moneta, fino alle questioni legislative, militari e politiche. Non mancheranno, da parte degli Stai provinciali, tentativi di condizionare il potere sovrano. Con l’importante concessione del 1307 le attività artigianali e commerciali fiorirono liberamente all’interno delle mura; ai cittadini però spettava la manutenzione della casa del Comune, delle porte e delle mura del castello, per cui riscuotevano alcune tasse, come quella sul sale.

Enrico II fu anche un raffinato stratega e nelle contese con i patriarchi seppe intraprendere sagge alleanze, come sottolinea Sergio Tavano nella sua opera monografica “I Goriziani nel medioevo conti o cittadini”:
il patriarcato, profondamente lacerato nel suo interno, non costituiva più la potenza terribile dei decenni precedenti: occorreva però preliminarmente dominarlo. Enrico II, accostatosi a Gherardo da Camino, il “buon Gherardo” ricordato da Dante e il più potente che premesse il patriarcato da occidente, ne sposò la figlia Beatrice (1297). Alla morte di Raimondo della Torre, Enrico II tentò invano di far eleggere patriarca lo zio materno, Corrado, e, mirando oltre i confini del Friuli, non esitò a scontrarsi con i comuni di Udine, Cividale e Gemona. Non gli fu facile piegare i patriarchi e la nobiltà friulana: solo nel 1313 il patriarca Ottobono (1302 – 1315), stipulando la pace con il conte, ne riconosceva la superiorità e gli conferiva la carica di capitano generale.

Enrico II, fiducioso della neutralità di Venezia, procedette verso Treviso, lasciando che Cangrande della Scala mirasse a Padova; una volta vinta la città lo Scaligero si mosse verso Treviso e a questo punto Enrico intervenne da avveduto uomo politico e conquistò la città, lasciando quelle libertà comunali delle quali aveva già goduto con i nobili da Camino e fatte salve da Federico d’Asburgo. Anche Padova rimarrà con Enrico, proclamandolo Signore a discapito di Cangrande.

L’apice della sua politica si ebbe con la nomina a podestà di Trieste, nonché vicario generale della Marca trevigiana nel 1320. Nel momento in cui il suo interesse cadde sulla città di Verona, in un tentativo di creare un anello intorno al patriarcato di Aquileia per realizzare uno stato che andasse dalle Alpi al mare, la morte sopraggiunse il 23 aprile 1323, non senza lasciare il sospetto di un avvelenamento ordito dallo stesso Cangrande della Scala.

Per quanto concerne la discendenza comitale, il primo figlio di Enrico II, Mainardo VI, era morto nel 1319 e l’eredità doveva passare a Giovanni Enrico, figlio di Beatrice di Baviera, sposata nel 1321, il quale aveva appena due mesi al momento della morte del padre. La vedova resse la contea con grandi capacità e fu coadiuvata dal cognato, Alberto III, e dal figlio di questi, Alberto IV, nonché da Enrico duca di Carinzia, re di Boemia e di Polonia. Nel 1327 morì Alberto III, nel 1335 seguì anche re Enrico e nel 1338 scomparve, a solo quindici anni, anche Giovanni Enrico e così la contea passò in forza di cose ai cugini Alberto IV, Mainardo VII ed Enrico III (figli di Alberto III).

La parte tirolese era già passata agli Asburgo in quanto non venne assicurata al giovane Giovanni Enrico. Vista l’estrema debolezza temporale dei conti, il patriarca Bertrando di San Genesio reagì al potere della signoria conquistando Venzone e assediando, nel 1340, il castello di Gorizia senza però farlo capitolare. Alla morte violenta di Bertrando (ucciso nella piana della Richinvelda anche per mano indiretta del conte) salirono sulla cattedra di Aquileia prima Nicolò di Lussemburgo (1350 – 1358) e poi Ludovico della Torre (1358 – 1365). Proprio in quegli anni le pressioni degli Asburgo erano aumentate a discapito della contea e del patriarcato.

Nel 1361 Rodolfo d’Asburgo sconfisse l’esercito patriarcale, sostenuto anche da Mainardo VII al quale era stata tolta l’importante città di Tolmino, e a sostegno del patriarca umiliato intervenne il re d’Ungheria, Luigi I, che voleva espandersi in Friuli proprio per contrapporsi a Venezia. Bisognerà attendere la nomina di Marquarto di Randeck (1365 – 1381) perché le tensioni interne andassero allentandosi.

Enrico III governerà fino al 1363 e alla sua morte Lienz andrà ad Alberto IV che a sua volta la lascerà in eredità, nel 1374, alla casa d’Austria. Mainardo VII, ultimo figlio di Alberto III, avrà invece quattro figlie femmine dal primo matrimonio e due maschi dal secondo; nel 1385 i due giovanissimi figli, sotto la tutela di Giovanni di Gurk, gli succedettero, uno con il nome di Enrico IV e l’altro con quello di Giovanni Mainardo.

Nel 1394 Enrico IV, ormai maggiorenne, iniziò il suo regno che durerà sessant’anni fino al 1454: ridivenne avvocato della chiesa di Aquileia, ottenne il titolo di vicario generale e poi amministratore di Feltre e Belluno. Gli Asburgo lo elevarono al grado di Capitano di Carniola e Venezia lo investì del grado di Maresciallo del Friuli. Intanto la situazione del patriarcato stava degenerando, infatti sotto Ludovico di Teck, nel 1420 ebbe termine il potere feudale proprio a causa del duro intervento di Venezia, non senza l’immobilismo della nobiltà friulana profondamente divisa al suo interno.

Enrico IV tentò invano di contrastare l’avanzata di Venezia, anche con l’ausilio degli ungheresi, ma nel 1424, insieme al fratello Giovanni Mainardo, venne ricevuto dal doge che li investì dei feudi già precedentemente ottenuti dai patriarchi, nonché consegnò loro il bastone di maresciallo del Friuli e lo stendardo bianco e rosso. Come sottolinea Sergio Tavano, in questo modo:
Venezia volle fondare le sue pretese su tutti i possedimenti dei Goriziani, suscitando la reazione più vivace dell’imperatore che invece considerava i conti di Gorizia fra i suoi principi, non subordinati ad altro potere che al suo.

Dopo la morte di Enrico gli succedettero in pochi anni il fratello Giovanni, poi i figli Ludovico (morto nel 1457) e nel 1462 Leonardo, ultimo conte di Gorizia. Quest’ultimo rimase solo al governo per quasi quarant’anni, tentò di sposare una Visconti di Milano ma ottenne Paola Gonzaga dalla quale credeva di poter ricavare una ricca dote e una discendenza maschile; probabilmente ebbe un’unica figlia scomparsa ancora bambina. Come scrive Sergio Tavano:
nell’azione tendente a fiaccare e ad assorbire Gorizia e la sua contea, Venezia approfittò della circostanza per costruire una fortezza a Gradisca, proprio nel territorio della contea: era facile camuffare un intento con l’altro. Per reagire Leonardo si volse ancor più decisamente verso gli Asburgo. Massimiliano lo prese sotto la sua protezione e ottenne da lui la permuta di territori esposti a Venezia (Cormons, Castelnuovo, Codroipo e Latisana) in cambio di castelli più a settentrione; di conseguenza veniva spostata ancor di più verso le terre transalpine l’asse della politica goriziana, che del resto aveva sempre guardato con preferenza in quella direzione, sia per ciò che riguarda le alleanze sia per i legami matrimoniali.

La Principesca Contea era a tutti gli effetti un insieme unitario, consolidatosi in cinque secoli di storia. Leonardo anche se molto attaccato ai possedimenti e geloso della propria dignità di Principe del Sacro Romano Impero vedeva in Massimiliano l’unica alternativa affinché la contea non cadesse nelle mani venete e non venisse smembrata; anche i sudditi di Leonardo guardavano alla contea come ad uno stato unitario e inscindibile, e anche loro sapevano che solo la potenza imperiale era l’unita salvezza alla Serenissima. Nel 1497 spirò la moglie Paola Gonzaga.

Leonardo decise di non sposarsi dopo vedovo, come avevano fatto suo padre e suo nonno, arrendendosi al destino di morire senza discendenza. Il 27 febbraio 1497 si realizzò il contratto di scambio con l’imperatore Massimiliano I. Il conte concedeva all’imperatore, inizialmente per dodici anni, i castelli di Cormons, Belgrado, Codroipo, Castelnuovo, Latisana e Flambro ottenendo in cambio la valle del Vipacco presso Gorizia e le vecchie signorie in Alta Carinzia (Kirchheim, Oderdrauburg, Pittersberg) e Moosburg. Gli ultimi anni del conte furono molto tormentati da una vecchia malattia e da una serie di dispiaceri.

Leonardo morì il 12 aprile 1500, domenica delle Palme, inumato già il giorno successivo nella chiesa parrocchiale di Lienz. L’imperatore Massimiliano protestò per i costi eccessivamente ingenti delle esequie che si svolsero solo un mese più tardi. L’ultimo conte è ricordato ancora oggi, nella cappella di Sant’Anna della Chiesa Cattedrale di Gorizia, da una lapide murata nella quale si vedono le armi del Tirolo, dei Gonzaga, della Carinzia e di Gorizia, e si legge in tedesco Leonardo per la Grazia di Dio conte palatino della Carinzia, conte di Gorizia e del Tirolo, avvocato delle case d’Iddio di Aquileia, di Trento e di Bressanone, ha fatto fare questa lapide, nell’anno […].

Sergio Tavano nella premessa alla monografia “I Goriziani nel medioevo: conti e cittadini” a pagina 12 ricorda che
la contea di Gorizia nell’aprile del 1500 passò tra i possessi degli Asburgo e il suo titolo visse fino all’ultimo imperatore, Carlo I: portava con sé l’indicazione d’un’identità precisa. Le coordinate, in senso territoriale e soprattutto in senso politico – istituzionale, si può dire che fossero stabilite già dal diploma di Ottone III del 28 aprile 1001: alla fine la contea ebbe e mantenne una sua identità culturale, omogenea nella varietà delle parlate. Si può dire liberamente che la contea resistette oltre ogni condizionamento fino al 1923, quando la soppressione della provincia di Gorizia dissolse un legame che era stato dinastico ed era divenuto nei secoli culturalmente unitario.


Nella foto: Leonardo e Paola di Gorizia (entrambi in rosso) in preghiera davanti alla Madonna della Misericordia, affresco (1490-96) della cappella del castello austriaco di Bruck presso Lienz.

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